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Concetti Chiave

  • Dante's prayer to the Virgin in canto XXXIII is structured into two parts: praise (verses 1-21) and supplication (verses 22-39), highlighting Mary's terrestrial and eternal roles.
  • The prayer is rooted in historical sources, drawing from evangelical texts, liturgical writings, and medieval hymns, particularly those of Saint Bernard.
  • The Virgin is depicted as a mediator between humanity and God, embodying mercy, piety, and magnificence, and is vital in the redemption narrative post-Adam's sin.
  • Dante's vision of divine light reveals the unity of the universe in God, with his inability to fully capture this in words highlighting the transcendence of the experience.
  • The final vision includes a representation of the Trinity as three interlinked circles, reflecting the unity and distinct attributes of the divine persons.

"Vergine madre, figlia del tuo figlio, la più umile e la più alta di tutte le creature, termine immutabile del decreto divino (per la redenzione dell’umanità),

La celebre preghiera alla Vergine che apre il canto XXXIII ha innumerevoli fonti storiche, dai testi evangelici a quelli liturgici, dagli scritti degli innografi medievali a quelli di San Bernardo (Benvenuto da Imola, il Buti e altri antichi commentatori sostengono che Dante, nella sua preghiera, avrebbe addirittura copiato una pagina di San Bernardo). Essa si può sostanzialmente dividere in due parti: la lode ( versi 1-21 ) e la supplica (versi 22-39). Le prime tre terzine alludono al ruolo terreno della Vergine nella storia della redenzione umana: i versi 1-3, che contengono l'invocazione. riassumono questo aspetto storico. Nei versi 10-13 Dante passa dall'aspetto storico a quello eterno, dagli atti di Maria alle sue virtù, contrapponendo al suo ruolo celeste (meridiana face di caritate) il suo ruolo terreno (di speranza fontana vivace) Le terzine seguenti (introdotte da un movimento graduale: se' tanto grande e tanto cali..., paragonabile a quello del verso 4 ) si riferiscono all'aspetto permanente della Vergine come madre di grazia e mediatrice; i versi 19-21, che concludono l'elogio vero e proprio, sintetizzano quest'ultimo compito, elencando le virtù di Maria: la misericordia verso l'umanità, la pietate verso Dio e l'umanità, la magnificenza nel suo operare.

Indice

  1. Analisi della preghiera di Dante
  2. Ruolo della Vergine nella redenzione
  3. Intercessione della Vergine per Dante
  4. Sguardo della Vergine e consenso divino
  5. Visione di Dante e memoria
  6. Descrizione della luce divina
  7. Rappresentazione della Trinità
  8. Mistero dell'incarnazione
  9. Similitudine del geometra

Analisi della preghiera di Dante

Da questa breve analisi risulta chiaramente che nei versi di questo elogio le immagini e le figure presentano, in un movimento ampiamente comprensivo, il destino del mondo. Canto 33 Paradiso - Parafrasi articoloPer tale motivo la seconda parte, quella della supplica, che a una prima lettura può sembrare autobiografica, non deve essere considerata una lirica confessione di debolezza e di sconforto ( come sarà la preghiera alla Vergine del Petrarca ), bensì un'altra affermazione che la vicenda del pellegrino-Dante e la vicenda esemplare dell'umanità, dal peccato alla salvezza.

Non crediamo utile insistere sui vari aspetti di questi due momenti o di vedere la poesia solo "dal punto in cui l'inno si fa preghiera" (Bacchelli), ma piuttosto porre in rilievo che "Dante è nella prima parte sobrio, rapido nelle sintesi, disdegnoso dei passaggi larghi ed esplicativi; mentre nella seconda... si concede ad una cantante amplificazione, quasi ad una narrazione sofferta e gaudiosa insieme" (Vallone), cosicché c'è nella sua preghiera "l'eloquenza di una iscrizione su un monumento alla vittoria" (Bianchi) e la "dolcezza d'un poema d'amore" (Auerbacht).

Ogni verso della prima terzina è la sintesi di quegli attributi che costituiscono l'eccezionalità della figura di Maria, di quegli aspetti umanamente paradossali che ne rivelano la misteriosa, divina maestà, Come Dio è misteriosamente uno e trino, così Maria è vergine e madre, creatura di Dio e, attraverso la persona del Verbo, che in lei assunse l'umanità, madre del suo Creatore. Il secondo verso ripropone le espressioni antitetiche del Magnificat (Luca I, 46-49): "L'anima mia magnifica il Signore... Perché ha rivolto i suoi sguardi all'umiltà della sua serva... Poiché grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente, e Santo è il suo nome", mentre il terzo, anch'esso di origine scritturale (cfr. Proverbi VIII, 22-30), scandisce con il vigore essenziale di ogni sua singola parola, il concetto della predestinazione, ab aeterno, dell'incarnazione e della Redenzione.

Ruolo della Vergine nella redenzione

tu sei colei che nobilitasti tanto la specie umana, che il suo Creatore non disdegnò di farsi umana creatura.

Nel tuo ventre si accese l’amore ( di Dio per gli uomini) per il cui calore è germogliata nell’eterna pace del paradiso la rosa dei beati.

L'amore di Dio verso l'umanità, spento dopo il peccato di Adamo, ha riaperto alle creature, attraverso l'incarnazione e la passione di Cristo, e, quindi, attraverso la mediazione della Vergine, le porte dell'Empireo.

In cielo sei, per noi beati, una fiaccola di carità ardente come sole meridiano, e in terra, fra i mortali, sei sorgente inesauribile di speranza.

Signora (donna: dal latino domina, "padrona", "signora"), sei tanto grande e hai tanto potere (presso Dio), che chiunque voglia la grazia divina e non ricorra a te, nutre un desiderio vano, come di chi voglia volare senza ali.

La tua bontà non solo viene in aiuto a chi l’invoca, ma molte volte previene spontaneamente la preghiera.

In te si raccolgono misericordia, pietà, munificenza, tutto ciò che di buono può esserci in una creatura.

Intercessione della Vergine per Dante

Ora questi (Dante), che dal luogo più basso dell’universo (cioè: dall’inferno) fino all’Empireo ha visto, ad una ad una, le diverse condizioni delle anime separate dal corpo,

ti supplica (il verbo è costruito, come in latino, con il dativo) affinché, per grazia divina, gli sia concessa tanta virtù, da poter contemplare la visione suprema di Dio.

Ed io, che non arsi mai dal desiderio di vedere Dio più di quanto ardo ora perché sia concesso a lui (Dante) di vederLo, innalzo a te tutte le mie preghiere, e supplico che non siano insufficienti,

affinché tu, con la tua intercessione, lo liberi da ogni impedimento terreno, così che possa apparirgli in tutta la sua grandezza Dio, la suprema beatitudine.

Ancora ti prego, o regina, che puoi ciò che vuoi, di mantenere puri, dopo una simile visione, i suoi sentimenti.

La tua tutela raffreni (in lui) le umane passioni: guarda Beatrice e quanti beati congiungono le mani in atto di preghiera per avvalorare la mia domanda!"

Sguardo della Vergine e consenso divino

Gli occhi da Dio amati e venerati, fissi sulla figura dell’orante, ci mostrarono quanto le fossero giunte gradite le devote preghiere;

poi si rivolsero alla luce eterna di Dio, nella quale non si deve credere che alcun’altra creatura possa penetrare tanto a fondo con uno sguardo così limpido (come quello della Vergine) .

La lezione s'invii è quella accolta dalla maggior parte dei commentatori moderni, mentre quelli antichi preferivano inii: "è tanto a dire come diventare simile di quella cosa ch'è considerata" (Lana). Secondo il Buti, invece, "iniare" significherebbe "far entrare", "mettere dentro".

Ogni figurazione, ogni nome, anche il più augusto e il più sacro, non risultano più appropriati per la Vergine, della quale il Poeta ricorda solo lo sguardo, li occhi da Dio diletti e venerati, che ne rivelano l'intimo come nessuna parola di lode, nessuna rappresentazione poetica aveva finora fatto, Non una parola, non un sorriso, non un cenno d'assenso: "soltanto uno sguardo sovrumano, col quale e per il quale si compie il desiderio di Dante. Dio resta e resterà... nascosto in tutto il canto: né era possibile al nostro Poeta significare il consenso divino in un'immagine, ma quel consenso egli ha rappresentato indirettamente con questo sguardo, che ci dà il senso di trovarci di fronte al mistero della divinità'' (Fubini). Nulla può adeguarsi alla "eloquente regalità di quegli occhi lontani e misericordiosi... Beatrice, dal suo altissimo scanno, sorride - e non potrebbe non sorridere - all'estrema devota apostrofe di Dante: è l'ultima risposta di amante ad amante. La Vergine non può sorridere: è troppo distante e regale per un gesto di tenerezza umana: bastano quegli occhi fissi, a significare il suo assentimento" (Chimenz) e a riportare gli sguardi del pellegrino e di tutti i beati sulla luce di Dio, sfolgorante nella sua eterna immobilità, nella sua inattingibile profondità.

Visione di Dante e memoria

Ed io che mi avvicinavo al fine di tutti i miei desideri, portai al grado massimo di intensità, così come era giusto, l’ardore del mio desiderio.

Bernardo mi faceva cenno e sorrideva perché guardassi in alto; ma io mi ero già messo spontaneamente nella disposizione d’animo che egli voleva ( cioè: pronto a contemplare Dio ),

perché il mio sguardo, diventando limpido, penetrava sempre di più nel raggio della luce divina che è vera per sua propria essenza (diversamente dalle altre che sono un suo riflesso).

Da questo momento in poi la mia di vedere fu maggiore della nostra possibilità di esprimere con le parole ( ciò che vediamo), perché ogni linguaggio umano viene meno (di fronte a tale visione), e (anche) la memoria cede di fronte a ciò che va al di là delle nostre capacità.

Come colui che vede in sogno qualcosa, e dopo il sogno gli rimane impressa (nell’animo) l’emozione provata, ma il contenuto della visione non ritorna alla sua memoria,

in questa condizione mi trovo io, perché è scomparsa dal ricordo quasi tutta la mia visione, ma ancora sopravvive (distilla: fa piovere qualche stilla) nel mio cuore la dolcezza del sentimento che da essa si generò.

(Come viene meno, a poco a poco la visione) così la neve si scioglie (si distilla: perde la sua forma) al sole; così si perdevano al vento i responsi della Sibilla scritti sulle foglie leggiere.

La sentenza di Sibilla: la Sibilla Cumana scriveva i suoi enigmatici responsi su foglie subito disperse dal vento che penetrava nel suo antro (Virgilio - Eneide III, 441-452), così che di essi non restavano che singole parole, confuse, e di senso inafferrabile.

I versi 58-66 possono considerarsi il nodo centrale del canto XXXIII, perché il Poeta tenta di definire la sua visione: non il contenuto, ma quello che di essa, vivissimo, attuale, perenne, è rimasto nel suo cuore: il ricordo dell'impressione, o, come egli dice, della passione, con un latinismo di cui nessun vocabolo dell'uso moderno rende la pregnanza dei significati e il valore sentimentale. Questo tentativo trova la sua giustificazione in un passo di San Tommaso, il quale, parlando di San Paolo che, rapito al terzo cielo, vide l'essenza di Dio, afferma che "dopo che cessò di vederla, si ricordò di quelle cose, che in quella visione aveva appreso... rimaste, dopo il fatto, nell'abito del suo intelletto", sebbene "né potesse pensare tutto quel che aveva conosciuto, né esprimerlo con le parole" (Summa Theologica II, II, CLXXV, 4). A questa mirabile esperienza psicologica, un'estasi che ha lasciato dietro di se un'indefinita dolcezza, un gioioso stupore - si adegua perfettamente lo stile. L'esattezza dell'osservazione di un fatto umano (qual è colui che somniando vede) è subito trasfigurata dalla rarefazione della parola (l'altro alla mente non riede), la concretezza dei riferimenti precisi (cotal son io) si scioglie e si perde nell'incanto musicale di certe espressioni (mi distilla... il dolce che nacque da essa).

O somma luce che tanto ti innalzi al di sopra della possibilità dell’umano intelletto, ridona alla mia memoria un’immagine, sia pur tenue, di quello che sei apparsa alla mia vista,

e fa che le mie parole siano tanto capaci, da poter descrivere per le genti future almeno una piccola parte della tua gloria,

perché ( coloro che leggeranno la mia opera) potranno avere un concetto più chiaro della tua trionfante grandezza se essa tornerà in parte alla mia memoria e potrò celebrarla in piccola misura in questi versi.

Io credo che, a causa dell’intensità del fulgore divino che la mia vista sopportava, sarei rimasto abbagliato, se i miei occhi non si fossero distolti da quel fulgore.

E mi ricordo che proprio per questo ( per il timore di rimanere abbagliato se avessi distolto subito lo sguardo ) mi feci ardito a sopportare ( l’intensità della luce divina ), tanto che congiunsi il mio sguardo con Dio.

O abbondante Grazia, per la quale osai penetrare con lo sguardo nella luce eterna di Dio, tanto che esaurii in essa ogni capacità di vedere!

Tutta l'ultima parte del canto si svolge per episodi drammatici, costituiti dalle successive tappe della visione e seguiti da un accompagnamento lirico, che è il commento degli episodi stessi, nel quale, accanto al rendimento di grazie a Dio, è espresso il sentimento del Poeta, l' "ansietà di dire e sgomento di non potere e pur ardimento di dire" (Del Lungo).

L'inizio del dramma è costituito dalla sopraffazione della luce divina, la quale, a differenza della luce solare che abbaglia, fortifica l'occhio e lo rende capace di una maagiore, contemplazione (versi 76-78). "Qui è l'impostazione del dramma: il seguito non sarà che lo sviluppo di questo momento. Sentite la sofferenza del raggio che penetra, perfora le pupille mortali di Dante; ma a tanta sopraffazione Dante non cede. non si atterrisce, non s'annienta [il suo atteggiamento è, dunque, l'opposto di quello del mistico, che si abbandona nel mistero divino]; con un'istantanea determinazione della volontà, reagisce facendosi ardito a sostenere, con gli occhi aperti, l'insostenibile luce. E all'ardimento risponde immediato il premio: gli occhi suoi, per entro la luce, vedono l'essenza divina." (Chimenz). A questo prologo del dramma sacro segue il commento lirico dei versi 82-84, nei quali, alla balda e lieta consapevolezza della prima vittoria, si unisce il sentimento della gratitudine.

Descrizione della luce divina

Nel profondo della luce divina vidi che era contenuto, legato in un amoroso vincolo d’unità, ciò che nell’universo appare diviso e sparso;

ciò che sussiste per sé e ciò che sussiste in dipendenza dalle sostanze e i loro rapporti, come fusi fra di loro, in modo così mirabile che le mie parole possono esserne una vaga illustrazione.

Credo di aver visto il principio costitutivo dell’unione di tutte le cose perché, dicendo queste cose, sento maggiormente dilatarsi di gioia il mio cuore.

In questa terzina il Poeta applica quanto ha già affermato nei versi 58-66: anche se la memoria non ricorda tutto, la certezza della visione nasce dal sentimento di gioia rimasto impresso nel suo cuore.

Nei versi 85-93 Dante tenta di esprimere, servendosi della terminologia scolastica, il concetto metafisico-teologico dell'unità, in Dio, delle infinite forme dell'universo. Ciò che è disperso nello spazio e nel tempo del mondo, ciò che è diverso e limitato, è tutto riunito in Dio. Il vincolo che lega le cose a Dio e le cose tra loro, è un vincolo d'amore, fondato sull'amore creativo di Dio, che ha tratto dal nulla ogni cosa perché ciascuna, tendendo a Lui, trovi la sua perfezione. Nell'essenza divina, le sostanze, gli accidenti, le loro proprietà e i loro rapporti coesistono senza che sia possibile distinguerli.

Un solo attimo ( il momento della visione divina) è per me causa di maggior oblio che non i venticinque secoli passati dall’impresa ( degli Argonauti), quando l’ombra proiettata dalla nave Argo suscitò lo stupore di Nettuno.

Che fé' Nettuno ammirar l'ombra d'Argo: Argo, che trasportava Giasone e i suoi compagni dalla Grecia verso la Colchide per conquistare il vello doro, fu la prima nave a solcare il mare (nel 1223 a. C., secondo la cronologia medievale), suscitando, con la sua ombra, lo stupore di Nettuno, dio del mare.

La visione di Dio ebbe la durata di un attimo, ma la mente del Poeta si sprofondò in essa tanto da non ricordare più nulla, come se si fosse immersa negli abissi del tempo. L'impresa di Argo, agli albori dell'umanità, giunge ancora a noi, dopo venticinque secoli (si noti come Dante la rievochi efficacemente, descrivendo non la nave, ma lo stupore di Nettuno), mentre della sua visione egli non ricorda se non la dolcezza dell'emozione. Questa rievocazione favolosa non è, come è sembrato al Casella, di danno "alla chiarezza del concetto e alla perspicacità del sentimento"; ma trasporta la narrazione della sacra visione nell'atmosfera dei miti antichissimi, " forse, sì, con una leggera deviazione del sentimento strettamente religioso, ma con un suggestivo accrescimento del senso leggendario della visione stessa" (Chimenz).

(Come l’ombra della nave fece stupire Nettuno) così la mia mente, tutta assorta, mirava fissa, immobile e attenta, e si accendeva continuamente di nuova gioia contemplativa.

Alla luce divina si diventa tali, che è impossibile che qualcuno mai voglia distogliersi da essa per guardare un altro oggetto,

perché il bene, che è l’oggetto verso il quale si muove ogni volontà, è raccolto tutto in quella luce; e fuori di essa non c’è che bene imperfetto (letteralmente: è difettivo ciò che lì è perfetto).

D’ora in poi le mie parole, sia pure limitate a quel poco che ricordo, saranno più insufficienti del balbettio di un lattante.

Non perché ci fosse più di un unico aspetto nella luce divina che io contemplavo, la quale luce è sempre quale era prima, immutabile,

ma, per il fatto che, mentre guardavo, le facoltà visive si rafforzavano in me, uno stesso oggetto (in questo caso: Dio), con il mutare delle mie capacità visive, passava da un aspetto all’altro.

Rappresentazione della Trinità

Nella profonda e luminosa essenza della luce divina mi apparvero tre cerchi di tre colori diversi ma della stessa dimensione;

e uno di essi appariva riflesso dall’altro come un arcobaleno da un altro arcobaleno, e il terzo appariva come un fuoco spirante in uguale misura dai primi due (quinci e quindi: da una parte e dall’altra).

I tre cerchi rappresentano le tre persone della Trinità, uguali fra loro (i giri hanno un uguale contenenza) e distinte negli attributi (i giri sono di tre colori) . Il primo cerchio è il Padre, il secondo, dal primo riflesso, è il Figlio, generato dal Padre, il terzo è lo Spirito Santo, che è amore e "spira" dal Padre e dal Figlio.

Volendo offrire una rappresentazione grafica e dando a contenenza il significato di superficie, si potrebbero pensare i tre giri come superfici concentriche, di cui due anulari e la terza (al centro) a disco pieno, oppure come tre cerchi iscritti, come tre meridiani, in una medesima sfera. In un caso come nell'altro la visione è inafferrabile, in termini umani, perché i tre cerchi sono assolutamente uguali, occupano lo stesso spazio, eppure sono chiaramente distinti. Nell'immagine ridotta all'essenziale, il linguaggio è quello astratto della matematica, ma ciò che suscita la commozione dell'animo non è il disegno, bensì il senso di stupore per quell'incomprensibile rivelazione, per quel mirabile mistero di luci iridate e fiammeggianti.

Mistero dell'incarnazione

Oh come è insufficiente e debole la mia parola rispetto al concetto! e questo, in confronto a ciò che vidi, è così poca cosa, che la parola "poco" non basta ad indicarlo (perché bisognerebbe dire "nulla").

O luce eterna che sei una sola nella tua sussistenza (sola in te sidi: in te sola ti posi), che sola ti intendi, e nell’essere intesa e nell’intenderti ti ami e gioisci!

Quel cerchio che appariva in te generato come luce riflessa (dal primo cerchio), dopo che l’ebbi guardato tutt’intorno per alquanto tempo,

mi apparve dipinto, nel suo interno, con il suo stesso colore, dell’immagine umana; per la qual cosa il mio sguardo si fissava tutto in esso.

Nel secondo cerchio appare, agli occhi di Dante, il mistero dell'incarnazione, per il quale la persona del Verbo, nulla perdendo della sua divinità (del suo colore stesso), assunse anche la natura umana (pinta della nostra effige).

Quanto più la visione assume qui un carattere simbolico, tanto più ciò che di inevitabilmente materiale è in queste immagini, viene completamente assorbito dalla musica della poesia, completamente materializzato nell'atmosfera inesprimibile che la parte precedente del canto ha saputo determinare.

Similitudine del geometra

Come il geometra che si concentra con tutte le sue facoltà mentali per trovare l’esatta misura del cerchio, e, per quanto pensi, non trova il principio di cui ha bisogno,

Dante allude, in questa similitudine, all'insolubile problema della quadratura del cerchio, cioè al problema dell'esatto rapporto fra la misura del diametro e quella della circonferenza.

in questa stessa situazione mi trovavo io di fronte a quella visione straordinaria: volevo comprendere come l’effigie umana si adattasse alla forma del cerchio e come potesse trovarvi luogo (cioè: volevo comprendere il mistero della coesistenza in Cristo della natura divina e di quella umana);

ma le mie ali non potevano farmi volare tanto in alto: se non che la mia mente fu percossa da un’illuminazione per mezzo della quale avvenne ciò che essa desiderava.

Incapace di comprendere con il proprio intelletto il mistero dell'incarnazione (il mistero più grande, accanto a quello della Trinità), la mente umana viene illuminata direttamente da Dio, che le infonde l'intuizione dell'unione delle due nature in Cristo.

A questo punto alla fantasia, che si era innalzata a tanto , venne a mancare la forza (di seguire l’intelletto in questa intuizione): ma già ogni mio desiderio e ogni mia volontà, erano mossi come ruota che gira con moto uniforme,

da Dio, l’amore che imprime movimento al sole e alle altre stelle.

Insieme con la fantasia, che, essendo virtù "organica" ( Convivio III, IV, 9 ), non può seguire l'intelletto nella sua intuizione del trascendente, viene meno anche ogni possibilità di rappresentazione poetica nel momento in cui Dante raggiunge il fine ultimo del suo viaggio, quel fine per il quale l'uomo è stato creato: la beatitudine eterna. In questo momento Dio guida l'intelligenza ( disio: ansia del conoscere ) e l'amore della sua creatura imprimendovi il moto uniforme di una ruota che gira intorno al suo perno: "l'intelletto creato e il libero volere, che è fulcro della personalità, non che annientati, sono anzi sublimati in un immutabile atto... di visione e d'amore" (Nardi), con un "moto circolare ed uniforme che esprime la perfetta concordia del volere umano col volere divino".

Domande da interrogazione

  1. Qual è la struttura della preghiera alla Vergine nel canto XXXIII di Dante?
  2. La preghiera si divide in due parti: la lode (versi 1-21) e la supplica (versi 22-39), con la prima parte che esalta il ruolo della Vergine nella redenzione e la seconda che esprime la supplica di Dante.

  3. Qual è il ruolo della Vergine nella redenzione secondo Dante?
  4. La Vergine è vista come colei che ha nobilitato l'umanità, permettendo l'incarnazione di Dio e riaprendo le porte del Paradiso attraverso la sua mediazione.

  5. Come viene rappresentata l'intercessione della Vergine per Dante?
  6. Dante supplica la Vergine affinché gli sia concessa la virtù di contemplare Dio, e chiede che la sua intercessione lo liberi da ogni impedimento terreno.

  7. Qual è l'importanza dello sguardo della Vergine nel consenso divino?
  8. Lo sguardo della Vergine, amato e venerato da Dio, rappresenta il consenso divino e rivela il mistero della divinità, senza bisogno di parole o gesti.

  9. Come descrive Dante la visione della Trinità e il mistero dell'incarnazione?
  10. Dante vede tre cerchi di luce che rappresentano la Trinità, con il secondo cerchio che riflette l'immagine umana, simbolizzando il mistero dell'incarnazione di Cristo.

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