Concetti Chiave
- La figura di Vanni Fucci, ladro pistoiese, emerge nel poema di Dante per il suo forte impatto drammatico e la sua spavalderia.
- Vanni Fucci è costretto a confessare il suo furto sacrilego avvenuto nella sagrestia della chiesa di Pistoia, rivelando la sua natura ribelle.
- Il personaggio manifesta un odio profondo e una rabbia imponente contro Dio, Dante e sé stesso, rendendolo un esempio di superbia.
- La profezia di Vanni Fucci sulle future disgrazie di Dante è un atto di vendetta, carico di astioso compiacimento e linguaggio oscuro.
- Dante punisce Vanni Fucci con la sua stessa rabbia e umiliazione nell'Inferno, dove serpenti lo avvinghiano impedendogli di bestemmiare.
Vanni Fucci: il ladro pistoiese
Quella di Vanni Fucci è una delle figure di più forte rilievo drammatico del poema; una di quelle con cui Dante si misura direttamente, persona a persona. Una figura a tutto tondo. Basterà che Virgilio domandi a Vanni, risorto dall'incenerimento, chi egli sia, perché il dannato, che ha riconosciuto Dante, superato subito lo smarrimento, spavaldamente declini il suo nome, Vanni Fucci, il suo soprannome, Bestia, la sua condizione di mulo (era infatti un bastardo della famiglia dei Lazzari: su questa sua condizione di mulo sìincentra il livore del ladro), la sua patria, Pistoia; ammette di aver menato una vita bestiale, insistendo per cinque volte in cinque versi su questa sua bestialità; ma tace ancora il genere della colpa, che più gli cuoce confessare.Vanni era infatti stato condannato dai tribunali terreni come omicida e predatore di strada, era dunque famoso in Toscana, sullo scorcio del Duecento, come violento: Dante, che lo ha a sua volta riconosciuto, lo costringe invece a confessare d'essere anche un ladro, anzi un ladro sacrilego. Non che qui il poeta, come fa più volte altrove, voglia svelare una magagna nascosta: il furto nella sagrestia della chiesa di Pistoia era avvenuto, pare, nel 1293 circa, e già del 1296 se ne conoscevano gli autori, tra cui Vanni Fucci; e uno di essi era stato impiccato.
Il verso "e falsamente già fu apposto altrui" serve solo a sottolineare che, diversamente dagli altri delitti di Vanni che erano stati d'immediato dominio pubblico, il furto era rimasto a luogo nascosto: si trattava dunque d'un furto commesso con la frode, non con la violenza. Dante personaggio conosce bene, come ormai tutti, gli autori del furto, ma da chiedere da Virgilio a Vanni qual colpa egli abbia commesso, per constrinerlo a confessare; vuole insomma umiliarlo. Si noti che Dante non gli vuol rivolgere direttamente la parola: a questo suo disdegno si contrappone l'insistenza dei tu nel successivo discorso di Vanni, ma qui complicato da riflessi politici, essendo Vanni un guelfo nero, cioè un avversario di Dante: avversario particolarmente fazioso anche se non certo uno dei capi della sua parte. Ma non bisogna esagerare l'importanza di questa componente politica: quando scriveva il poema, Dante in verità si era già staccato dalla compagnia malvagia e scempia dei Bianchi; e si pensi che l'antagonista bianco pistoiese di Vanni, Focaccia dei Cancellieri, è anche lui condannato da Dante all'Inferno.
La confessione
Costretto ad ammettere un peccato più ignobile delle violenza, Vanni si tinge di trista vergogna, cioè non di quella vergogna che, nata da pentimento, può anche redimere; e confessa guardando in faccia l'avversario del proprio peccato: il re tetano non ammette affatto di aver peccato in vita e di peccare ancora. Vanni invece, confessando, registra la sua umiliazione, gira il pugnale nella propria piaga, con disperazione rabbiosa. Prima aveva detto d'esser bestia: ora dice d'esser stato ladro: usa la parola cruda, senza eufemismi. Confessa, e immediatamente si vendica: Dante lo ha umiliato, e lui, perché non goda d'averlo visto tra i ladri, gli profetizza prossime sciagure.Un annunzio pieno di astioso compiacimento, reso più spaventoso dal linguaggio oscuro, che accenna a irresistibili forze. Mentre scriveva questi versi, Dante aveva da non molto visto, con la caduta dei Bianchi di Pistoia nel 1306 e col fallimento d'un tentativo aretino dell'anno successivo, la fine definitiva della sua parte e quindi della sua speranza di ritorno in patria; anzi, fu forse in seguito a questi avvenimenti che, secondo l'ipotesi di U. Cosmo, egli dovette lasciare per sempre la Toscana. La profezia segna il culmine dell'episodio: "E detto l'ho perché doler ti debbia!": qui il poeta spezza il canto XXIV. Il successivo comincia senza alcuno stacco: "Al fine de le sue parole il ladro...": ma la fine del canto costringe a una pausa, nella quale la figura di Vanni, l'odio e la rabbia di lui si consolidano, per così dire, nella fantasia del lettore. Il dannato si crede vincitore su Dante; pensa di esserlo anche contro Dio, e gli squadra contro le fiche. Ma Dio, invisibile, interviene immediatamente: serpi, cioè gli stessi dannati, lo stringono al collo, impedendogli di bestemmiare con la voce; avvinghiano strettamente le braccia sacrileghe. Vanni scompare, ridotto al silenzio, sconfitto. Un altro ladro, Caco, lo cerca, forse per punirlo ancora.
Il disprezzo per il sacrilego
E' chiaro che il disprezzo di Dante non è propriamente per il ladro ma per il sacrilego: lo stesso furto di Vanni, più che per il desiderio di ricchezza, poteva essere stato una volgare bestemmia, come ora, nell'inferno, il gesto triviale delle fiche. Infatti, il poeta sottolinea non la cupidigia, ma la sua superbia contro Dio, e lo avvicina a Capaneo. Dal De Sanctis in poi, s'è giustamente visto in Vanni un Capaneo degradato, come appunto lo definì il Croce.La sua punizione, come per il mitico re, consiste nella sua stessa rabbia: tutto l'episodio è una rappresentazione di rabbia imponente, originata dalla sensazione della sconfitta: contro Dante, i Bianchi, Dio; in definitiva contro sé stesso. Da rabbia proviene la stessa spavalda ostentazione di bestialità, prima nell'autopresentazione poi nel gesto; ostentazione che è essa stessa espressione di trista umanità. Una bestia è tale e basta, non pensa affatto di poter esser diversa: se Vanni ostenta la bestialità, è perché ne è cosciente, se ne è cosciente, evidentemente pensa che avrebbe potuto e potrebbe esser altro; se pensa ciò, più o meno consapevolmente deve soffrirne; l'umiliazione, la vergogna di essere scoperto son sentimenti che in una bestia non potrebbero concepirsi.
Di queste ribellioni titaniche, anche della massima, contro Dio, i romantici si compiacevano; facevano di Prometeo e di Satana rappresentati eroici d'un'umanità conculcata da una forza incommensurabilmente più alta. Ancora il Carducci, l'antiromantico erede dei romantici, poneva Vanni come personaggio-simbolo dell'azione aperta, anche se delittuosa, contrapponendolo ai coperti piccioletti ladruncoli bastardi che a suo parere agivano copertamente nell'Italia del suo tempo: "No. Vanni Fucci in faccia a Dio rubava / con la bestemmia in bocca e in fronte il riso...". Certo, Dante era ben lontano dall'ammirare questi atteggiamenti titanici, anzi proprio contro gradazioni nei vari episodi, sino a quello prossimo di Ulisse, la sua condanna morale e religiosa. Chi ha ammesso una tale quale simpatia del poeta per questa sua figura ha indubbiamente errato; Vanni è un superbo che Dio e Dante fieramente puniscono; che ha in sé stesso, nel suo odio, lo strumento del proprio castigo.
Domande da interrogazione
- Chi è Vanni Fucci e quale ruolo ha nel poema di Dante?
- Qual è la colpa principale di Vanni Fucci secondo Dante?
- Come reagisce Vanni Fucci alla sua umiliazione nel poema?
- Qual è il significato della profezia di Vanni Fucci nel contesto del poema?
- Come viene punito Vanni Fucci nell'Inferno di Dante?
Vanni Fucci è una figura drammatica nel poema di Dante, noto come un ladro pistoiese e un avversario politico di Dante. È costretto a confessare i suoi crimini, tra cui il furto sacrilego, e rappresenta un esempio di superbia e ribellione contro Dio.
La colpa principale di Vanni Fucci, secondo Dante, è il furto sacrilego, che rappresenta una bestemmia contro Dio. Dante disprezza Vanni non tanto per il furto in sé, ma per la sua superbia e ribellione.
Vanni Fucci reagisce alla sua umiliazione con rabbia e disperazione. Dopo essere stato costretto a confessare, cerca di vendicarsi profetizzando sciagure future per Dante, mostrando un atteggiamento spavaldo e ostentando la sua bestialità.
La profezia di Vanni Fucci è un annuncio di sciagure future per Dante, pieno di astioso compiacimento. Essa rappresenta il culmine dell'episodio, consolidando l'odio e la rabbia di Vanni nella fantasia del lettore.
Vanni Fucci viene punito nell'Inferno di Dante con la sua stessa rabbia e umiliazione. Serpi, rappresentanti dei dannati, lo avvinghiano impedendogli di bestemmiare, e un altro ladro, Caco, lo cerca forse per punirlo ulteriormente.