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Concetti Chiave

  • Pasolini was deeply pedagogical, often provoking audiences to teach, leading him to constantly deconstruct his thoughts and language.
  • He explored the concept of 'segnologia', analyzing communication beyond traditional language, considering cinema a potent contemporary medium.
  • Pasolini frequently addressed youth, even when criticizing them, highlighting generational conflicts and societal expectations.
  • His observations on the 'capelloni' symbolized cultural and political dissent, evolving from social commentary to political statements in the 60s and 70s.
  • Pasolini criticized the media's role in shaping ideology, contrasting it with literature's truth-telling potential and exploring themes of consumption and identity.

Indice

  1. L'ossessione pedagogica di Pasolini
  2. Il rapporto con i giovani e la provocazione
  3. Il linguaggio dei capelli lunghi
  4. La rivoluzione culturale dei capelloni
  5. La sottocultura e la rivoluzione non marxista
  6. Il linguaggio dei capelli e la politica
  7. La fusione di destra e sinistra
  8. La moda e la sottocultura al potere
  9. La libertà dei giovani e la non libertà
  10. Il ruolo dell'intellettuale e il potere
  11. L'ossimoro e la provocazione di Pasolini
  12. Il successo e la censura nei media

L'ossessione pedagogica di Pasolini

Pasolini ha un’ossessione pedagogica che viene definito da altri come la sua assoluta volontà sempre di essere didascalico sempre di dare un insegnamento al suo pubblico, anche quando questo insegnamento di traduceva in una forma di provocazione, in questa sua volontà Pasolini si trova ad un certo punto a dover continuamente destrutturare il proprio pensiero e il proprio linguaggio.

La sua attenzione ai segni , ‘segnologia’, è la riflessione che lui dopo aver scritto le nuove questioni linguistiche affronta il tema della lingua alta e della lingua bassa ma anche dei segni , cioè del modo in cui gli uomini parlano anche senza il linguaggio. È chiaramente un tema che lo aveva stimolato perché lui era passato a ritenere che il cinema fosse un linguaggio più adatto alla contemporaneità, il che non lo spinge a definirsi un cineasta, lui si definisce un poeta però ovviamente la lingua della poesia è una lingua più elitaria mentire quella del cinema è una lingua segnica, più forte, quindi lui sostituisce le parole con i volti. Lui è molto attento alla tradizione letteraria per cui le sue opere sono in buona parte di ispirazione letteraria.

Questo testo indipendente dal fatto che affronta il tema chiave, ovvero il rapporto tra le generazioni.

Il rapporto con i giovani e la provocazione

Lui si rivolge sempre ai giovani, anche quando li deve bastonare, anche quando ne deve parlare male e anche quando gli deve dire che sono dei qualunquisti, come fa nel 68 nel “PCI ai giovani” dice “siete qualunquisti, siete figli dei vostri padri e io vi odio”. Nel corriere della sera lui scrive questa cosa contro i capelli lunghi che è un’altra presa di posizione fortemente provocatoria dato che il suo pubblico è prevalentemente giovane. Gli scritti del corriere della sera sono stati raccolti in due raccolte , abbiamo gli scritti corsali fino al 74’ e le ‘ lettere luterane ‘ dell’ultima parte della sua vita, chiaramente dopo la sua morte le lettere luterane sono state pubblicate.

Il linguaggio dei capelli lunghi

“La prima volta che ho visto i capelloni, è stato a Praga. Nella hall dell’albergo dove alloggiavo sono entrati due giovani stranieri, con i capelli lunghi fino alle spalle. Sono passati attraverso la hall, hanno raggiunto un angolo un po’ appartato e si sono seduti a un tavolo. Sono rimasti lì seduti per una mezzoretta, osservati dai clienti, tra cui io; poi se ne sono andati. Sia passando attraverso la gente ammassata nella hall, sia stando seduti nel loro angolo appartato, i due non hanno detto parola (forse — benché non lo ricordi — si sono bisbigliati qualcosa tra loro: ma, suppongo, qualcosa di strettamente pratico, inespressivo).

Essi, infatti, in quella particolare situazione — che era del tutto pubblica, o sociale, e, starei per dire, ufficiale — non avevano affatto bisogno di parlare. Il loro silenzio era rigorosamente funzionale. E lo era semplicemente, perché la parola era superflua. I due, infatti, usavano per comunicare con gli astanti, con gli osservatori — coi loro fratelli di quel momento — un altro linguaggio che quello formato da parole.

Ciò che sostituiva il tradizionale linguaggio verbale, rendendolo superfluo — e trovando del resto immediata collocazione nell’ampio dominio dei «segni», nell’ambito cioè della semiologia — era il linguaggio dei loro capelli.

Si trattava di un unico segno — appunto la lunghezza dei loro capelli cadenti sulle spalle — in cui erano concentrati tutti i possibili segni di un linguaggio articolato. Qual era il senso del loro messaggio silenzioso ed esclusivamente fisico?

Era questo: «Noi siamo due Capelloni. Apparteniamo a una nuova categoria umana che sta facendo la comparsa nel mondo in questi giorni, che ha il suo centro in America e che, in provincia (come per esempio — anzi, soprattutto — qui a Praga) è ignorata. Noi siamo dunque per voi una Apparizione. Esercitiamo il nostro apostolato, già pieni di un sapere che ci colma e ci esaurisce totalmente. Non abbiamo nulla da aggiungere oralmente e razionalmente a ciò che fisicamente e ontologicamente dicono i nostri capelli. Il sapere che ci riempie, anche per tramite del nostro apostolato, apparterrà un giorno anche a voi. Per ora è una Novità, una grande Novità, che crea nel mondo, con lo scandalo, un’attesa: la quale non verrà tradita. I borghesi fanno bene a guardarci con odio e terrore, perché ciò in cui consiste la lunghezza dei nostri capelli li contesta in assoluto. Ma non ci prendano per della gente maleducata e selvaggia: noi siamo ben consapevoli della nostra responsabilità. Noi non vi guardiamo, stiamo sulle nostre. Fate così anche voi, e attendete gli Eventi.»”

La rivoluzione culturale dei capelloni

Egli si sta riferendo a un periodo che è precedente al 68’ quando i ‘capelloni’ erano già una realtà . Periodo in cui la transizione non era ancora chiara, in cui il ‘capellone’ non era portatore di un messaggio necessariamente politico ma portatore di messaggio di costume.

Il capello lungo era la contrapposizione con lo stile borghese da bravo ragazzo della media borghesia americana .

“Io fui destinatario di questa comunicazione, e fui anche subito in grado di decifrarla: quel linguaggio privo di lessico, di grammatica e di sintassi, poteva essere appreso immediatamente, anche perché, semiologicamente parlando, altro non era che una forma di quel «linguaggio della presenza fisica» che da sempre gli uomini sono in grado di usare.

Capii, e provai una immediata antipatia per quei due. Poi dovetti rimangiarmi l’antipatia, e difendere i capelloni dagli attacchi della polizia e dei fascisti: fui naturalmente, per principio, dalla parte del Living Theatre, dei Beats ecc.: e il principio che mi faceva stare dalla loro parte era un principio rigorosamente democratico.”

-Qui c’è il tema della differenza, poi quando L loro diversità divenne più frequente , più numerosa li ho difesi da chi li attaccava (comunisti , fascisti).

Quindi difendendo i Capelloni, Pasolini difendeva anche la democrazia, cioè la libera espressione di se indipendentemente dal contesto storico e politico.-

“I capelloni diventarono abbastanza numerosi — come i primi cristiani: ma continuavano a essere misteriosamente silenziosi; i loro capelli lunghi erano il loro solo e vero linguaggio, e poco importava aggiungervi altro. Il loro parlare coincideva col loro essere. L’ineffabilità era l’ars retorica della loro protesta.

Cosa dicevano, col linguaggio inarticolato consistente nel segno monolitico dei capelli, i capelloni nel ’66-67?

Dicevano questo: «La civiltà consumistica ci ha nauseati. Noi protestiamo in modo radicale. Creiamo un anticorpo a tale civiltà, attraverso il rifiuto. Tutto pareva andare per il meglio, eh? La nostra generazione doveva essere una generazione di integrati? Ed ecco invece come si mettono in realtà le cose. Noi opponiamo la follia a un destino di “executives”. Creiamo nuovi valori religiosi nell’entropia borghese, proprio nel momento in cui stava diventando perfettamente laica ed edonistica. Lo facciamo con un clamore e una violenza rivoluzionaria (violenza di non-violenti!) perché la nostra critica verso la nostra società è totale e intransigente». “

-Siamo nell’età del boom economico, momento del benessere, civiltà del consumo, la civiltà del godimento che però toglie il piacere. Stare immersi continuamente in una civiltà del godimento ti impedisce la crescita e l’autonomia.

Passaggio inarticolato perché Paolini riconosce che il messaggio non era ancora politico ma ancora di costume quindi andava a investire le classi sociali , il rapporto tra le generazioni.-

La sottocultura e la rivoluzione non marxista

“Non credo che, se interrogati secondo il sistema tradizionale del linguaggio verbale, essi sarebbero stati in grado di esprimere in modo così articolato l’assunto dei loro capelli: fatto sta che era questo che essi in sostanza esprimevano. Quanto a me, benché sospettassi fin da allora che il loro «sistema di segni» fosse prodotto di una sottocultura di protesta che si opponeva a una sottocultura di potere, e che la loro rivoluzione non marxista fosse sospetta, continuai per un pezzo a essere dalla loro parte, assumendoli almeno nell’elemento anarchico della mia ideologia. “

-Quindi Pasolini la definisce una rivoluzione non marxsista , perché tiene conto dei rapporti tra le classi sociali e investe la società nel suo complesso mentre questa investiva solo il costume.

Egli introduce il concetto della “sottocultura”, distingue tra cultura e sottocultura . La sottocultura è il prodotto della cultura quando viene divulgata quindi una sottocultura di sinistra contrapposta a una sottocultura di destra . -

Il linguaggio dei capelli e la politica

“Il linguaggio di quei capelli, anche se ineffabilmente, esprimeva «cose» di Sinistra. Magari della Nuova Sinistra, nata dentro l’universo borghese (in una dialettica creata forse artificialmente da quella Mente che regola, al di fuori della coscienza dei Poteri particolari e storici, il destino della Borghesia).

La fusione di destra e sinistra

Venne il 1968. I capelloni furono assorbiti dal Movimento Studentesco; sventolarono con le bandiere rosse sulle barricate. Il loro linguaggio esprimeva sempre più «cose» di Sinistra. (Che Guevara era capellone ecc.)

Nel 1969 — con la strage di Milano, la Mafia, gli emissari dei colonnelli greci, la complicità dei Ministri, la trama nera, i provocatori — i capelloni si erano enormemente diffusi: benché non fossero ancora numericamente la maggioranza, lo erano però per il peso ideologico che essi avevano assunto. Ora i capelloni non erano più silenziosi: non delegavano al sistema segnico dei loro capelli la loro intera capacità comunicativa ed espressiva. Al contrario, la presenza fisica dei capelli era, in certo modo, declassata a funzione distintiva. Era tornato in funzione l’uso tradizionale del linguaggio verbale. E non dico verbale per puro caso. Anzi, lo sottolineo. Si è parlato tanto dal ’68 al ’70, tanto, che per un pezzo se ne potrà fare a meno: si è dato fondo alla verbalità, e il verbalismo è stata la nuova ars retorica della rivoluzione (gauchismo, malattia verbale del marxismo!).

Benché i capelli — riassorbiti nella furia verbale — non parlassero più autonomamente ai destinatari frastornati, io trovai tuttavia la forza di acuire le mie capacità decodificatrici, e, nel fracasso, cercai di prestare ascolto al discorso silenzioso, evidentemente non interrotto, di quei capelli sempre più lunghi.

Cosa dicevano, essi, ora? Dicevano: «Sì, è vero, diciamo cose di Sinistra; il nostro senso — benché puramente fiancheggiatore del senso dei messaggi verbali — è un senso di Sinistra… Ma… Ma…».

Il discorso dei capelli lunghi si fermava qui: lo dovevo integrare da solo. Con quel «ma» essi volevano evidentemente dire due cose: 1) «La nostra ineffabilità si rivela sempre più di tipo irrazionalistico e pragmatico: la preminenza che noi silenziosamente attribuiamo all’azione è di carattere sottoculturale, e quindi sostanzialmente di destra». 2) «Noi siamo stati adottati anche dai provocatori fascisti, che si mescolano ai rivoluzionari verbali (il verbalismo può portare però anche all’azione, soprattutto quando la mitizza): e costituiamo una maschera perfetta, non solo dal punto di vista fisico — il nostro disordinato fluire e ondeggiare tende a omologare tutte le facce — ma anche dal punto di vista culturale: infatti una sottocultura di Destra può benissimo essere confusa con una sottocultura di Sinistra».

Insomma capii che il linguaggio dei capelli lunghi non esprimeva più «cose» di Sinistra, ma esprimeva qualcosa di equivoco, Destra-Sinistra, che rendeva possibile la presenza dei provocatori.

Una diecina d’anni fa, pensavo, tra noi della generazione precedente, un provocatore era quasi inconcepibile (se non a patto che fosse un grandissimo attore): infatti la sua sottocultura si sarebbe distinta, anche fisicamente, dalla nostra cultura. L’avremmo conosciuto dagli occhi, dal naso, dai capelli! L’avremmo subito smascherato, e gli avremmo dato subito la lezione che meritava. Ora questo non è più possibile. Nessuno mai al mondo potrebbe distinguere dalla presenza fisica un rivoluzionario da un provocatore. Destra e Sinistra si sono fisicamente fuse.

La moda e la sottocultura al potere

Siamo arrivati al 1972.

Ero, questo settembre, nella cittadina di Isfahan, nel cuore della Persia. Paese sottosviluppato, come orrendamente si dice, ma, come altrettanto orrendamente si dice, in pieno decollo.

Sull’Isfahan di una diecina di anni fa — una delle più belle città del mondo, se non chissà, la più bella — è nata una Isfahan nuova, moderna e bruttissima. Ma per le sue strade, al lavoro, o a passeggio, verso sera, si vedono i ragazzi che si vedevano in Italia una diecina di anni fa: figli dignitosi e umili, con le loro belle nuche, le loro belle facce limpide sotto i fieri ciuffi innocenti. Ed ecco che una sera, camminando per la strada principale, vidi, tra tutti quei ragazzi antichi, bellissimi e pieni dell’antica dignità umana, due esseri mostruosi: non erano proprio dei capelloni, ma i loro capelli erano tagliati all’europea, lunghi di dietro, corti sulla fronte, resi stopposi dal tiraggio, appiccicati artificialmente intorno al viso con due laidi ciuffetti sopra le orecchie.

Che cosa dicevano questi loro capelli? Dicevano: «Noi non apparteniamo al numero di questi morti di fame, di questi poveracci sottosviluppati, rimasti indietro alle età barbariche! Noi siamo impiegati di banca, studenti, figli di gente arricchita che lavora nelle società petrolifere; conosciamo l’Europa, abbiamo letto. Noi siamo dei borghesi: ed ecco qui i nostri capelli lunghi che testimoniano la nostra modernità internazionale di privilegiati!»

Quei capelli lunghi alludevano dunque a «cose» di Destra.

Il ciclo si è compiuto. La sottocultura al potere ha assorbito la sottocultura all’opposizione e l’ha fatta propria: con diabolica abilità ne ha fatto pazientemente una moda, che, se non si può proprio dire fascista nel senso classico della parola, è però di una «estrema destra» reale.

Concludo amaramente. Le maschere ripugnanti che i giovani si mettono sulla faccia, rendendosi laidi come le vecchie puttane di una ingiusta iconografia, ricreano oggettivamente sulle loro fisionomie ciò che essi solo verbalmente hanno condannato per sempre. Sono saltate fuori le vecchie facce da preti, da giudici, da ufficiali, da anarchici fasulli, da impiegati buffoni, da Azzeccagarbugli, da Don Ferrante, da mercenari, da imbroglioni, da benpensanti teppisti. Cioè la condanna radicale e indiscriminata che essi hanno pronunciato contro i loro padri – che sono la storia in evoluzione e la cultura precedente — alzando contro di essi una barriera insormontabile, ha finito con l’isolarli, impedendo loro, coi loro padri, un rapporto dialettico. Ora, solo attraverso tale rapporto dialettico — sia pur drammatico ed estremizzato – essi avrebbero potuto avere reale coscienza storica di sé, e andare avanti, «superare» i padri. Invece l’isolamento in cui si sono chiusi — come in un mondo a parte, in un ghetto riservato alla gioventù — li ha tenuti fermi alla loro insopprimibile realtà storica: e ciò ha implicato — fatalmente — un regresso. Essi sono in realtà andati più indietro dei loro padri, risuscitando nella loro anima terrori e conformismi, e, nel loro aspetto fisico, convenzionalità e miserie che parevano superate per sempre.

Ora così i capelli lunghi dicono, nel loro inarticolato e ossesso linguaggio di segni non verbali, nella loro teppistica iconicità, le «cose» della televisione o delle réclames dei prodotti, dove è ormai assolutamente inconcepibile prevedere un giovane che non abbia i capelli lunghi: fatto che, oggi, sarebbe scandaloso per il potere.

La libertà dei giovani e la non libertà

Provo un immenso e sincero dispiacere nel dirlo (anzi, una vera e propria disperazione): ma ormai migliaia e centinaia di migliaia di facce di giovani italiani, assomigliano sempre più alla faccia di Merlino. La loro libertà di portare i capelli come vogliono, non è più difendibile, perché non è più libertà.”

Nel 1973 Pasolini non aveva ancora conosciuto il terrorismo, gli anni di Piombo. Questi ultimi vengono immediatamente dopo, i nuclei armati rivoluzionari di destra e le brigate rosse di sinistra si stanno costituendo. La strage dei lidaribus a cui lui fa riferimento, la strage di piazza fontana, le stragi di stato con le quali sostanzialmente il potere, i servizi segreti spaventavano la borghesia per spingerli a non votare per il partito comunista che in quel momento nel 1974 prese il massimo dei voti, di li a poco il PC, contestato dai giovani perché cercava di ottenere troppo potere, prendere potere attraverso la rivoluzione, nel ’74 il PC era nel suo massimo storico. Con le stragi è stato scoperto che si cercava di spostare il consenso verso destra per impedire che il PC prendesse il potere. C’era sempre la paura per la Russia, l’avanzamento dell’Unione Sovietica. I giovani erano oppositori sia di uno che degli altri, la guerra che si svolgeva all’interno delle generazioni, fra i ragazzi era una guerra di altro tipo. Una guerra fra due estremi. Pasolini sta dicendo delle cose profetiche: la libertà dei giovani sta diventando una non libertà, e che i segni della loro trasgressione non siano più i segni di una rivoluzione è quello che poi effettivamente la storia andrà a riconoscere successivamente.

Il ruolo dell'intellettuale e il potere

Pasolini dice “io so chi sono” in un’intervista al corriere della sera. So chi sono, afferma un messaggio molto forte: lo scopo della letteratura è quello di portare il sapere a chi la legge, io so i nomi dei responsabili, io so (il testo è totalmente un’anafora). Per il resto è una disquisizione sul potere e sul ruolo fra intellettuale e potere. Guardate solo l’ultima parte.

“L’impotente e l’intellettuale è tenuto solamente a servire.”

Si riferisce all’intellettuale dei giornali che non può dire quello che veramente è, deve dire quello che la politica vuole sostenere, quindi si fa condizionare dai grandi gruppi, fatta la legge viene scoperto l’inganno.

“Proprio perché io non posso fare i nomi dei responsabili, non posso denunciare la mia debole reale accusa contro la debole intera classe politica italiana e io faccio in quanto io credo alla politica, credo ai principi formali, credo nel parlamento, credo nei partiti. E, naturalmente, attraverso la mia particolare ottica che è quella di un comunista sono pronto a ritirare la mia nozione a sfiducia attraverso il fatto che un uomo politico non per opportunità, non perché sia venuto il momento ma per creare la possibilità di tale momento deciderà di fare i nomi dei responsabili dei colpi di stato e delle stragi che evidentemente egli sa come me non può non avere prove o almeno indizi. Probabilmente, se il potere americano lo consente, magari decidendo diplomaticamente di concedere un’altra democrazia a ciò che la democrazia americana si è concessa, questi nomi prima o poi saranno detti ma a dirli saranno uomini che hanno condiviso con loro il potere, come minori responsabili contro maggiori responsabili. Questo sarebbe un vero colpo di stato”

Effettivamente è andata così, a fare i nomi poi anche se non ci sono le prove fu il presidente della repubblica Cosiga che in un momento particolare, alla fine del suo mandato da presidente della repubblica, quando lo tirarono in ballo per uno scandalo impazzì un po’, si diceva che negli ultimi anni della sua presidenza uscì pazzo e lo disse, disse noi lo sappiamo, sappiamo chi erano. Effettivamente andò così, prima o poi bisogna che sia un politico a dire le cose. Chiudiamo con questi due momenti.

Intervista di Biagi, cominciamo da una prima parte e poi arriviamo a una seconda parte.

L'ossimoro e la provocazione di Pasolini

Intervista:

“Pasolini afferma che nelle sue opere definisce le cose per opposizione, ad esempio ragazza bionda e mora. La figura centrale delle sue opere è il contrasto.”

Pasolini suscita sempre reazioni provocatorie. La definizione che lui dà della sua opera è l’ossimoro, lui dice di fare un’opera ossimorica, mette insieme a cose opposte, ad esempio si rivolge ad un pubblico di giovani per parlarne male. Prendo la tradizione letteraria e la trasformo in una tradizione prosaica, vivo in contrapposizione ed è normale che io scateni reazioni provocatorie. Si definisce così, ossimorico.

“Per molto tempo, da ragazzo, ho creduto nella rivoluzione così come ci credono i ragazzi di oggi. Adesso non ho speranze, quindi non mi disegno più un mondo futuro, non credo più ai partiti, che cosa hanno da proporre? Tendo più verso una forma rapida che verso una scelta ideologica di qualche partito, questo sì.”

“La borghesia sta trionfando”

“la caratteristica dell’uomo non è tanto quella di vivere ma quella di essere un consumista. C’è una rivoluzione industriale in un certo senso che si rivela a tutto il mondo.”

L’intervistatore dice parliamo di una vita che ti ha dato notorietà e successo, lui risponde:

Il successo e la censura nei media

“Il successo non è niente, che cos’è? Il successo è una forma, è l’altra faccia della persecuzione, il successo è sempre una cosa brutta per un uomo. In un primo momento può esaltarti, renderti felice, darti soddisfazione e vanità ma in realtà, una volta ottenuto, si capisce che è una cosa brutta per un uomo. Per esempio il fatto di aver trovato degli amici qui, alla televisione, non è bello. Per fortuna noi siamo riusciti ad andare al di là dei microfoni e dei video e costruire qualcosa di reale e sincero ma come posizione, la nostra posizione è brutta, è falsa.”

“La televisione è un medium di massa”

Tutto ciò ci serve di capire qual è la posizione del letterato e dell’intellettuale. Avete notato che lui parla male della televisione, non parla mai male della letteratura. Lui dice che le persone che ama di più o sono quelle che non sanno niente, gli analfabeti oppure c’è un livello alto. Dal punto di vista letterario la sua visione si spinge verso questo tema: dire la verità “io so”. La televisione è un luogo in cui ti censuri, il cinema è un luogo in cui tu non ti censuri. Accade che lui si dirige verso il linguaggio cinematografico, si spinge verso la provocazione. L’ultimo dei suoi libri, il suo ultimo film è di una violenza assurda, è vietato ai minori di 35 anni, abbiamo la scarnificazione dei corpi, lui porta ad estreme conseguenze la sua idea del consumo come un elemento che ha reso l’uomo un gregge, un branco. Vi è una spinta verso la morte del poeta, verso la scarnificazione del messaggio verso la violenza e quindi la potenza.

“Il successo è l’altra faccia dello scandalo”  più mi detestano più ho successo, questo è un aspetto molto vero. Abbiamo un cambiamento che avviene negli anni settanta per quanto riguarda la cultura e dipende dai mezzi di comunicazione che cambiano il rapporto fra le arti. Quando lui dice che si censura, dice una grande verità perché lui si censura, non può essere vero. Si crea un’immagine di sé.

Rapporto gerarchico e subalterno che crea con il destinatario. Nella letteratura c’è un rapporto orizzontale tra autore e lettore, tu giudichi ciò che leggi, nei mass media questo rapporto orizzontale non c’è.

Domande da interrogazione

  1. Qual è l'ossessione pedagogica di Pasolini e come si manifesta nel suo lavoro?
  2. Pasolini ha un'ossessione pedagogica che si manifesta nel suo desiderio di insegnare al pubblico, anche attraverso la provocazione. Questo lo porta a destrutturare continuamente il suo pensiero e linguaggio, utilizzando il cinema come linguaggio più adatto alla contemporaneità rispetto alla poesia.

  3. Come Pasolini interpreta il linguaggio dei capelli lunghi e quale significato attribuisce a questo fenomeno?
  4. Pasolini vede i capelli lunghi come un linguaggio non verbale che esprime una protesta contro la civiltà consumistica. I capelli lunghi rappresentano un rifiuto radicale e una critica totale alla società borghese, esprimendo valori di una rivoluzione culturale non marxista.

  5. In che modo Pasolini vede la fusione tra destra e sinistra nel contesto dei movimenti giovanili?
  6. Pasolini osserva che il linguaggio dei capelli lunghi, inizialmente espressione di sinistra, diventa ambiguo, mescolando elementi di destra e sinistra. Questa fusione rende indistinguibili i rivoluzionari dai provocatori, riflettendo una confusione culturale tra le due ideologie.

  7. Qual è la critica di Pasolini alla moda e alla sottocultura al potere?
  8. Pasolini critica come la sottocultura al potere abbia assorbito e trasformato la moda dei capelli lunghi in un simbolo di modernità borghese, perdendo il suo significato rivoluzionario. Questo ciclo ha portato a una moda che esprime valori di destra, tradendo le origini di protesta.

  9. Come Pasolini percepisce il ruolo dell'intellettuale nei confronti del potere e dei media?
  10. Pasolini vede l'intellettuale come impotente e servile nei confronti del potere, costretto a censurarsi nei media. Egli critica la televisione come un medium di massa che limita l'espressione autentica, mentre considera il cinema un mezzo per esprimere verità e provocazione senza censura.

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