refranco
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Habilis
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Concetti Chiave

  • La morte di Gesualdo è caratterizzata da un declino generale, con il protagonista che si trasferisce a Palermo per morire nell'indifferenza di chi lo circonda.
  • Il romanzo esplora temi come la solitudine del protagonista, l'incomunicabilità con la figlia e l'insensatezza della corsa alla ricchezza materiale.
  • Il dialogo tra Gesualdo e Isabella è segnato da incomunicabilità e freddezza, con entrambi i personaggi chiusi nei propri risentimenti e segreti.
  • Il linguaggio dell'incomunicabilità è sottolineato attraverso gesti e silenzi, con Verga che utilizza il verismo per rivelare le intenzioni nascoste dei personaggi.
  • Verga utilizza il cambio del punto di vista per evidenziare la sconfitta di Gesualdo, narrando la sua morte attraverso la prospettiva ostile dei servitori.

Indice

  1. La morte di Gesualdo
  2. Temi
  3. L’impossibile dialogo tra padre e figlia
  4. Il linguaggio dell’incomunicabilità
  5. Il cambio del punto di vista
  6. Il bilancio fallimentare di Gesualdo

La morte di Gesualdo

L’epilogo del romanzo è preceduto da un triste declino generale: prima muore Bianca Trao, la moglie di Gesualdo, consumata dalla tisi; poi lo stesso protagonista si scopre gravemente malato e avviato alla fine. Poiché l’avanzare progressivo del tumore lo indebolisce, Gesualdo si trasferisce a Palermo, nel lussuoso palazzo in cui vivono la figlia Isabella e il marito, il duca di Leyra. I due vogliono tenere presso di loro il vecchio morente solo per controllarne meglio le proprietà. Nelle ultime pagine (completamente rielaborate rispetto alla prima versione stampata nel 1888 sulla rivista “Nuova Antologia”) si consuma la morte del protagonista nell’indifferenza generale.

Temi

- la solitudine del protagonista e l’indifferenza di chi gli sta intorno
- l’incomunicabilità tra padre e figlia
- l’insensatezza della corsa alla «roba»

Gesualdo è rimasto solo nella sua stanza: dal precedente consulto con i medici ha appreso senza più dubbi di essere prossimo alla morte. Si attacca quindi alla vita con le forze che gli sono rimaste, convivendo con i suoi malanni; ma è tormentato dalla distanza che continua a separarlo, anche in questi momenti, dalla figlia Isabella. Segue il colloquio tra padre e figlia: entrambi covano segreti e sofferenze. Infatti probabilmente Isabella non è figlia di Gesualdo, mentre lei aveva amato, prima delle nozze con il duca di Leyra, il cugino Corrado, fino a quando il padre non si era opposto a quella relazione. Lo stesso Gesualdo è tormentato dai rimorsi verso i figli avuti dall’amante Diodata. Padre e figlia non riescono a entrare in vera comunicazione tra loro: il colloquio, nonostante qualche gesto di tenerezza paterna, si limita quasi solo alla sfera degli affari. Alla fine, dopo alcuni giorni Gesualdo muore solo, nell’indifferenza e nel disprezzo dei servitori.

L’impossibile dialogo tra padre e figlia

Uno dei momenti più alti dell’episodio è il colloquio tra padre e figlia: Gesualdo vorrebbe confidare a Isabella i suoi segreti tormenti, informarla circa i figli nati dalla sua relazione con Diodata e, probabilmente, chiederle perdono per averle impedito il matrimonio d’amore con il cugino Corrado. Tuttavia, in quest’ultimo colloquio, i due personaggi si dimostrano reciprocamente incompatibili e inconciliabili: si chiudono l’uno all’altro, mostrandosi ostili e diffidenti. Gesualdo fissa Isabella, ma scorge in fondo ai suoi occhi soltanto rimproveri e gelosie segrete, che gliela rendono estranea («si sentì di tornare Motta, com’essa era Trao, diffidente, ostile, di un’altra pasta», rr. 88-89). Quanto alla donna, si congeda dal genitore chinando la testa «colla ruga ostinata dei Trao fra le ciglia» (rr. 86-87): una reazione gelida. Così il loro ultimo incontro si risolve nella più assoluta freddezza.

Il linguaggio dell’incomunicabilità

La distanza e l’incomunicabilità tra i due vengono espresse anche nello stile. La commozione di Isabella al capezzale di suo padre appare eccessiva, e quindi inautentica: la gestualità fortemente patetica («gli si buttò addosso, disperata, piangendo, singhiozzando di no», r. 28) contrasta con la mancanza di parole davanti al genitore morente. Gesualdo invece si affida a pochi gesti accompagnati da silenzi («L’accarezzò anche lui sui capelli, lentamente, senza dire una parola», rr. 29-30) e insiste nel cercare, invano, nello sguardo della figlia uno spiraglio per aprirsi («Teneva gli occhi fissi sulla figliuola»; «La guardò fissamente negli occhi»; «le sollevò il viso per leggerle negli occhi»). In accordo con la poetica verista, quindi, Verga rivela le reali intenzioni dei personaggi senza esplicitarle.

Il cambio del punto di vista

In questo capitolo la narrazione avviene attraverso tre diversi punti di vista. Nella sequenza conclusiva la morte di Gesualdo viene narrata dal punto di vista dei domestici del palazzo. Il termine «capricci» (r. 97) tradisce infatti il giudizio del servitore: Leopoldo, incaricato di assistere Gesualdo morente, se ne disinteressa completamente, per pigrizia e cattiveria. Viene qui impiegata la tecnica dello straniamento, che conosciamo fin dalla novella di Rosso Malpelo (j T6, p. 88): il punto di vista di Leopoldo non è neutro, ma ostile nei confronti di quel vecchio che gli hanno dato da accudire. Per il servitore, Gesualdo è solo un contadino arricchito e quindi non merita di essere riverito come un vero signore: deve perciò sopportare il dolore senza far «capricci». Altre spie linguistiche nella narrazione fanno trapelare tale ostilità: «seccato da quella canzone che non finiva più» (r. 98); «non lo lasciava dormire quell’accidente!» (r. 104); «faceva peggio di un contrabbasso, nel russare» (r. 105); «facendo solo di tanto in tanto qualche boccaccia» (rr. 118-119). Grazie allo straniamento, dunque, un evento drammatico viene narrato in chiave comica: Verga può così evitare qualsiasi patetismo e rappresentare nel modo più efficace possibile la completa sconfitta di Gesualdo, che muore da solo, nell’indifferenza e nel disprezzo generale.

Il bilancio fallimentare di Gesualdo

Un lucido disincanto regge questo epilogo del romanzo. Verga oppone il dramma intimo del protagonista alle reazioni superficiali e pettegole dei personaggi che gli sono accanto. Un tempo vincitore, grazie alla sua ascesa economica e sociale, Gesualdo è ora un «vinto», umiliato e sconfitto. Se all’inizio del capitolo il punto di vista dominante rimane il suo, man mano che l’agonia procede egli perde anche questa prerogativa, visto che la sua morte viene narrata, come abbiamo visto, nell’ottica dei servitori. Tutto ciò serve all’autore per sottolineare la vanità di un’esistenza vissuta assecondando solo le leggi dell’interesse economico e della ricchezza. Di fronte alla morte e al vuoto che essa schiude, la «roba» perde qualsiasi valore e significato. Gli sforzi sostenuti (e ricordati ancora, poco prima di morire, a Isabella: «Spiegava quel che gli erano costati, quei poderi […], li passava tutti in rassegna amorosamente […], le terre seminative, i pascoli, le vigne; li descriveva minutamente, zolla per zolla, rr. 58-61) appaiono ora inutili. L’immagine finale della stanza riempitasi «di gente in manica di camicia e colla pipa in bocca» (rr. 135-136) denuncia meglio di mille commenti il risultato che ottiene chi come Gesualdo sacrifica ogni cosa, affetti compresi, all’interesse economico.

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