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Concetti Chiave

  • Eugenio Montale, nato a Genova nel 1896, viene influenzato dal paesaggio ligure e partecipa attivamente alla vita culturale italiana, firmando il Manifesto degli intellettuali antifascisti.
  • La poetica di Montale si basa su un senso di esclusione e spaesamento, utilizzando una lingua apparentemente semplice ma ricca di significati nascosti, in contrasto con i tempi moderni.
  • Ossi di seppia rappresenta il conflitto tra l'infanzia felice e la disillusione della maturità, con immagini simboliche di mare e terra che delineano un percorso esistenziale di accettazione stoica.
  • Le Occasioni riflettono una nuova fase storica e stilistica, influenzata da Dante, in cui la figura di Clizia diventa centrale, simbolizzando un ideale letterario e culturale.
  • Satura segna una svolta verso una poesia più inclusiva e ironica, affrontando la modernità con disillusione e una critica alla società contemporanea, in cui la poesia sopravvive come resistenza alla banalità.

Indice

  1. Infanzia e Formazione di Montale
  2. Amori e Incontri Letterari
  3. Carriera e Riconoscimenti
  4. Temi e Simboli in Ossi di Seppia
  5. Struttura e Sezioni di Ossi di Seppia
  6. La Poetica della Negazione
  7. Il Muro e il Limite
  8. Il Male di Vivere
  9. Le Occasioni e Clizia
  10. La Casa dei Doganieri
  11. Silenzio Poetico e Satura
  12. Xenia e Mosca
  13. Il Discorso del Nobel

Infanzia e Formazione di Montale

Eugenio Montale nasce a Genova il 12 ottobre 1896. La famiglia appartiene a una borghesia piuttosto agiata: il padre è comproprietario di una ditta di importazione di prodotti chimici. Trascorre le estati a Monterosso, nelle Cinque Terre: il paesaggio marino ligure ha un’importanza decisiva nelle tematiche di “Ossi di seppia”. Nel 1915 si diploma ragioniere e inizia a studiare canto. Legge moltissimo frequentando la biblioteca comunale di Genova. Partecipa alla guerra.

Amori e Incontri Letterari

Nel 1920 aveva conosciuto a Monterosso la giovanissima Anna degli Uberti, destinata a restare una delle costanti ispiratrici della sua poesia (con il nome di Arletta o di Annetta). Nel 1924 s’innamora di Paola Nicoli, una donna sposata. Nel 1925 esce “Ossi di seppia”. Firma il Manifesto degli intellettuali antifascisti redatto da Benedetto Croce. Quello stesso anno conosce Svevo e contribuisce, con alcuni scritti a farne esplodere il caso. Si trasferisce a Firenze, dove lavora presso la casa editrice Bemporad poi come direttore del prestigioso Gabinetto Vieusseux.

Carriera e Riconoscimenti

Dopo essere stato licenziato perché non iscritto al partito fascista, vive di collaborazioni giornalistiche, fino al trasferimento a Milano come redattore del “Corriere della Sera”. Ad avvicinare Montale a Dante contribuisce la giovane studiosa americana Ilma Brandeis, conosciuta nel 1933, riportata negli scritti con il nome di Clizia. A lei dedicherà le “Occasioni”. Nel 1939 va a vivere con Drusilla Tanzi (detta Mosca), moglie di un critico d’arte da lui frequentata già da diversi anni. Dopo la caduta del fascismo attraversa un breve periodo di entusiasmo politico. Cresce la delusione nei confronti del mondo moderno, della meccanizzazione e della massificazione della vita, che a suo avviso mettono a repentaglio la sopravvivenza stessa della poesia. Comincia un silenzio poetico che dura dieci anni. Nel 1962 sposa Drusilla, che muore l’anno successivo. È in questo periodo che si infittiscono i riconoscimenti, in Italia e all’estero. Nel 1965 partecipa alla cerimonia di apertura del Convegno internazionale per il centenario della nascita di Dante. Nel 1967 riceve la laurea honoris causa a Cambridge e, in patria, la nomina di senatore a vita. Diventa il poeta ufficiale della prima Repubblica. Riceve il premio Nobel per la Letteratura nel 1975. Per l’occasione aveva tenuto un discorso, “È ancora possibile la poesia?”. La morte giunge all’età di ottantacinque anni, a Milano, il 12 settembre 1981. Il funerale di stato si svolge alla presenza del Presidente della Repubblica Pertini, con la celebrazione dell’arcivescovo di Milano.

Nel 1920 Montale recensisce Camillo Sbarbaro, da cui desume la poetica dello scarto, del detrito, del residuo, dell’aridità vitale, dell’impotenza, dell’uomo fallito, esiliato e abbandonato. Più tardi Montale parlerà di sé stesso come di un outcast (“fuori di casta”): il poeta, cioè, è un escluso, privo di identità sociale, eternamente spaesato. Nella prima metà degli anni Venti intervengono altri due elementi importanti che arricchiscono la problematica psicologica e culturale, nonché la poetica, di Montale: la lezione di Svevo e quella della “Ronda”. La prima consente a Montale di approfondire il tema dell’inettitudine, e la “Ronda” gli conferisce invece una scelta classicistica, un’esigenza di distacco e di decoro stilistico. La poesia di Montale sembra piana, ovvero sembra che rispetti una stilistica e retorica, ma la sua parola pur non tendente all’ermetismo ungarettiano, raccoglie comunque molti significati. Quando vuole dare significati occulti lo fa usando parole che appartengono alla sfera dell’osservazione. Lui rispetta la metrica, le rime, c’è musicalità nelle sue poesie, e apparentemente tutto sembra chiaro, ma non è così. La lettura di Montale è “sub-limine”, ovvero sotto il limite, sotto il senso apparente e visivo delle parole.

Temi e Simboli in Ossi di Seppia

Il titolo rinvia all’immagine marina degli “ossi di seppia”. Essi possono galleggiare nel mare felicemente (apparentemente perché il potere di galleggiare è dato dalla porosità, quindi è una leggerezza che non è data dall’entusiasmo, ma dal potere dell’inconsistenza) oppure essere sbattuti sulla spiaggia come inutili relitti, ovvero in una condizione perennemente incerta, quella del limes, del bagnasciuga, un confine instabile determinato dalle maree, dalla placidità o tempesta rappresentata dal mare della vita. Gli ossi di seppia sono relitti, scheletri, quel che resta di una vita. Come l’osso di seppia è gettato sulla terra, così il poeta è esiliato dal mare, escluso dalla natura e dalla felicità. I due simboli dominanti sono quelli del mare e della terra. Il primo è il luogo di una beatitudine panica e naturale, la seconda è la sede della privazione e dell’esilio, ma anche del rapporto sociale e luogo-emblema dei limiti della condizione umana. Il libro di Montale è anche una sorta di romanzo di formazione, in cui il distacco dal mare corrisponde all’accettazione stoica della terra e della scelta morale. Ossi di seppia delinea un percorso: al momento felice, rappresentato dall’infanzia e dall’adesione alla natura, è seguito il disincanto della maturità, a cui è associato una condizione di spaesamento e di frammentazione. C’è un tentativo di annegare il dolore esistenziale della vita, abbandonandosi all’aspetto esistenziale della natura stessa. All’uomo non resta che accettare “senza viltà” la vita su una terra desolata e su un universo disgregato. Sul piano linguistico e stilistico nel libro convergono momenti alti e bassi. Nelle poesie del primo periodo si assiste a una sorta di “ironia metrica”, ovvero un uso ironico di ritmi tradizionali, un’oscillazione fra forme aperte e verso libero a forme chiuse e più consuete. Si trova l’alternarsi fra endecasillabo e settenario. La poesia montaliana resta ricca di cose, di oggetti, di particolari minuti ed esatti e nondimeno tende a condensarsi, in immagini emblematiche di carattere universale o esistenziale.

Struttura e Sezioni di Ossi di Seppia

Ossi di seppia si suddivide in quattro sezioni, dopo una poesia iniziale di premessa “In limite”, e un testo alla fine “Riviere”. Le quattro sezioni si intitolano “Movimenti”, “Ossi di seppia”, “Mediterraneo”, “Meriggi e ombre”.

1) Nella prima sezione è presente un’opposizione mare-terra, natura-città e infanzia-maturità. I primi tre termini si corrispondono: mare=natura=infanzia, come i tre opposti: terra=città=maturità.

2) Nella seconda sezione domina il motivo dello scarto, dell’ “osso di seppia” abbandonato, della frantumazione, della distonia fra uomo e natura.

3) Le terza sezione è un poemetto unitario suddiviso in nove movimenti. Mentre i primi cantano il mare come “patria sognata” e “paese incorrotto”, gli ultimi registrano il distacco e il disaccordo da esso.

4) La quarta sezione comprende i testi più lunghi e impegnati del libro. Viene scritta negli anni del fascismo trionfante, e al ripiegamento esistenziale si aggiunge quello politico e civile.

La Poetica della Negazione

È il primo componimento della sezione “Ossi di seppia”. È una sorta di manifesto o di dichiarazione rivolta al lettore. Il poeta non ha alcun messaggio positivo da rivolgere agli uomini: la sua anima può comunicare solo messaggi negativi, di denuncia del male di vivere e dell’insignificante mondo. Montale dichiara al lettore di non avere messaggi risolutivi da offrirgli: non proclami ideologici, né verità assolute di tipo religioso o laico. Nella poesia Montale sottolinea un atteggiamento ambivalente che lui ha nei confronti della sicurezza ignara dell’uomo comune: disprezzo e pietà, da una parte, perché questi vive in una condizione di falsità e di illusioni; invidia, dall’altra, perché è felice e sicuro di sé e degli altri. Fare o non fare attenzione alla propria ombra vuol dire interrogarsi o meno riguardo alla propria identità e alla propria collocazione nella realtà, avvertire o meno, anche, la minaccia di un altro sé stesso, cioè la minaccia della scissione. Decisivo è lo scenario non naturale ma implicitamente cittadino, e squallido, del muro, che allude a una condizione di limite e di chiusura, quasi di prigionia. La parola capace di definire con sicurezza e completezza la condizione umana sarebbe una formula dotata del potere di rivelare mondi, cioè, significati, segreti e invisibili. Le parole esprimono la disarmonia tra uomo e realtà (non il colore del fiore, ma la secchezza contorta del ramo); parole, cioè, capaci non di affermare ma di negare. Il paesaggio è privo di tratti vitali o sensuali: i soli elementi sono un prato polveroso, un muro scalcinato, i rami secchi e contorti degli alberi. Quello di Montale è un nuovo modo di concepire la poesia e la funzione del poeta: la sua è una poesia della negazione, fatta di parole “storte e secche”, capaci di esprimere solo il male di vivere e l’insignificanza dell’uomo. Nell’epoca in cui l’ideologia fascista andava ostentando, come valori, aggressività e sicurezza, Montale si sente inadeguato a proferire qualunque verità. Negata nel suo potere di incantare ogni essere, la poesia può essere ancora arma di consapevole resistenza alla violenza della storia e all’insensatezza del mondo. Proprio aggirandosi tra i detriti essa può, con un percorso faticoso e in continua ridefinizione, tentare di proporre e di ricostruire volta a volta, entro il proprio orizzonte di civiltà, la possibilità di un senso comune.

È strutturato quasi come un racconto con apologo (favola allegorica) finale, segnato dall’ “andando” dell’ultima strofa. C’è un uso molto ampio di verbi nominali: “meriggiare”, “osservare”, “palpitare”, “seguitare”. Ciò dilata la situazione in una dimensione statica, immutabile, quasi fuori dal tempo. C’è di fondo la stessa matrice della scrittura di Ungaretti, ma c’è qualcosa di diverso, che a sua volta Montale recupera da Petrarca: manca il titolo della poesia. Ungaretti il titolo lo mette, mentre Montale no, riprende il primo verso. Il titolo darebbe un’indicazione interpretativa che Montale non ha e non vuole dare: l’interpretazione di quello che apparentemente sembra chiaro, è assolutamente libera.

La parabola della vita si appresta ad andare verso il tramonto. Io ho ancora la luce, ma sono consapevole che quella luce non sarà fissa ad illuminarmi per molto tempo. Infatti, il meriggiare è pallido e assorto. L’assorto sono io e la mia considerazione della vita in questo tratto di percorrenza, la mia riflessione sul punto in cui sono. Il pallido si riferisce al meriggiare, al momento in cui nelle giornate intense d’estate, quando fa molto caldo, che tutto sembra avvolto da una foschia, come se ci fosse una patina. Il pallido è un anello di congiunzione tra (catena simbolo del vivere per Montale: egli dice che la vita è un anello che non tiene, non si ha il senso di quello che si indossa, che si ha) il meriggiare e l’assorto. Pallido è chi non è mai stato al sole, significato di una vita che è trascorsa senza che il poeta abbia mai compreso il senso di ogni giorno. Il pallore è di chi incontra per la prima volta il senso della vita, ovvero il sole, ma lo incontra troppo tardi, quando è il meriggiare, quando ormai la vita sta calando, quando è in una fase più vicina al buio rispetto alla luce piena. Oppure pallido può essere chi ha paura della conoscenza, paura del sapere, del prevedere, quello che mi aspetta, quello che mi aspetta domani. Nella descrizione del paesaggio, non c’è più spazio per la bellezza della natura, la quale rivela solo un volto duro, estraneo, respingente. Solo la contemplazione del mare, il quale è lontano, sembra offrire un momentaneo conforto: altrimenti, il caldo è oppressivo, i suoni naturali stridenti, i gesti degli animali ossessivi e incomprensibili. Mentre cammino andando verso il sole, avendo il sole difronte che inclina, che sta per tramontare, improvvisamente avverto il senso della vita, quasi meravigliandomi di averlo scoperto oggi, è triste per il senso di questa scoperta, poiché ora so che tutta l’esistenza e ogni dolore e difficoltà, che essa reca, è come il procedere accanto ad un lungo e infinito muro, invalicabile, sulla cima del quale sono conficcati i residui taglienti del dolore vissuto, che sbarra la strada a una ipotetica felicità.

Il Muro e il Limite

Il muro è simbolo del limite, (rimando a Pascoli e Leopardi), rappresenta l’impossibilità di andare oltre del poeta, ma è anche protezione. I cocci di bottiglia servono a proteggere, per impedire a chi viene da fuori di contaminare la pace che c’è dentro. È un’ambivalenza che Montale lascia. Il muro può proteggermi da cose negative e impreviste. Oppure può significare il seguire qualcosa che già c’è, di precostituito: rappresenta l’irreversibilità del modificare la propria esistenza, che segue un percorso già tracciato, un percorso che allo stesso tempo è guida, limite invalicabile, protezione, sicurezza nel sapere dove andare. Inoltre, è un muro, non una siepe. Esso viene costruito, dalle pietre che rappresentano i giorni della mia vita, le mie esperienze. Non è qualcosa che trovo costruito da altri, ma che contribuisco a costruire. La siepe è vita e quindi stimola a una reazione vitale, mentre il muro è sedentario, isola, è una recinsione. Ciascuno di noi ha il suo muro e ciò rappresenta anche il limite alla conoscenza dell’uomo e degli altri.

Il Male di Vivere

La vita in sé è male, fa male. Spesso ho incontrato il senso del dolore, che la vita in sé inesorabilmente ha e l’ho ritrovato in un ruscello attraversato da sterili acque che scorrono gorgogliando attraverso i sassi che impediscono l’affluenza. Il rivo è strozzato dai sassi: l’aspetto duro e cruento prevale rispetto a quello limpido, scorrevole e libero dell’acqua. Il male l’ho ritrovato in una foglia morta, accartocciata, spazzata dal vento, nella morte improvvisa di un cavallo, caduto sotto il peso di sfruttamento e lavoro, infatti è stramazzato. Non ho mai conosciuto al contrario del male, il bene che una vita può donare, sentimento estraneo a quello prodigioso e quasi miracoloso divino, dell’Indifferenza, unico strumento che mi permette di affrontare la vita nel senso del suo male. L’indifferenza, la quale assume un valore religioso, permette di prendere le distanze da qualsiasi forma di pathos, (indifferenza è proprio assenza di pathos) quindi da qualsiasi forma di bene o male. È un punto di equidistanza, collocarsi in un luogo dove manca un coinvolgimento dell’anima, e del pensiero. È un prodigio, non è un atto volontario, cioè quando un uomo è attraversato dall’indifferenza è come se avesse ricevuto una grazia, un miracolo in quanto l’indifferenza preserva l’uomo dalla conoscenza del bene e del male. Il miracolo non è avere il bene o avere gli strumenti per fronteggiare il male, ma è trovarsi nel punto in cui non vedi e non senti né l’uno né l’altro. Per questo la vita è come una statua immobile, quasi dormiente, in una fase di eterno tramonto, ma è anche nell’ombra di una nuvola o nel volo lontano e irraggiungibile di chi può andare oltre il richiamo di questa terra. A farlo sono i rapaci, come il falco che è libero, indipendente e che vola alto, staccandosi dal senso del male con indifferenza.

Il male è connaturato alla vita stessa ed è rappresentato dalle tre immagini della prima quartina. Il bene invece è individuabile solo nella distanza, nella imperturbabilità e nella chiaroveggenza rappresentate dalle tre immagini della seconda quartina. Al movimento impedito del ruscello si oppone la staticità felice della statua, allo stramazzare a terra del cavallo si oppone il felice innalzarsi del falco verso l’alto.

Le Occasioni e Clizia

Il nuovo libro riflette una situazione storica ormai mutata rispetto a quella degli “Ossi di seppia”. La Firenze di “Solaria” e di “Letteratura” diventa per lui una sorta di culla delle lettere, simbolo di una civiltà letteraria da difendere non solo dalla rozzezza e dalla grossolanità del regime fascista, ma anche dal dilagare della civiltà di massa e dei suoi “automi”. Ne deriva una ideologia che oppone alla massificazione dilagante i valori elitari di un’aristocrazia dello spirito. Questa nuova situazione storica e questa nuova condizione dell’intellettuale provocano un cambiamento di poetica. Lo stile si innalza e si purifica. Montale avvia nelle “Occasioni” un confronto ravvicinato con Dante, derivandone alcuni temi fondamentali e la struttura dell’allegoria. Come Dante aveva giudicato una situazione storica trasponendola nei termini della salvezza e della condanna religiosa e aveva fatto ricorso al linguaggio e ai miti della cultura pagana, così Montale, nelle “Occasioni”, compie una duplice e analoga operazione: da un lato, trasporta su un piano di astrattezza e di universalità la propria vicenda

biografica ed esistenziale, dall’altro riutilizza i termini e i concetti della religione cristiana all’interno di una cultura del tutto laica. La donna-angelo, Clizia (Ilma Brandeis, giovane americana studiosa di Dante, con cui Montale instaura una relazione amorosa che durerà in modo irregolare per qualche anno; a lei è dedicato il libro delle “Occasioni”), assume la funzione della Beatrice dantesca: le sue apparizioni sono accompagnate da bagliori e manifestazioni di luminoso splendore. In assenza di Clizia (ed è l’assenza a prevalere) il soggetto poetico appare frustato e sconfitto. Gli occhi della donna angelo sembrano poter salvare non solo il poeta, ma tutta l’umanità. Di qui deriva la centralità del motivo dello sguardo e degli occhi della donna amata e della luce che si accompagna alle sue apparizioni, nonché il titolo del libro, che allude al carattere occasionale delle apparizioni di Clizia. Il nome di Clizia deriva dalla mitologia greca e in particolare da un mito ripreso dal poeta latino Ovidio nelle “Metamorfosi”. Nel mito Clizia resta sempre fedele al Sole, cioè Apollo, dio della cultura. Il sole rappresenta il valore supremo della cultura che caratterizza l’umanesimo fiorentino degli anni Trenta. Per questo Clizia è una nuova Beatrice, annunciatrice di un nuovo valore: quello della letteratura.

La Casa dei Doganieri

Questa poesia apre la quarta e ultima parte delle “Occasioni”. Essa è dedicata ad Arletta o Annetta, la fanciulla morta che compare anche in altri testi. Si immagina che il poeta e la sua interlocutrice abbiano vissuto insieme un momento di vita vera, autentica nella casa dei doganieri, passato il quale i rispettivi destini si sono separati: il poeta vive ancora, mentre la donna è morta.

Tu non ricordi la casa dei doganieri che si trova sulla cresta sporgente a strapiombo sulla scogliera: (la casa) ti attende solitaria, disabitata e malinconica da quella sera in cui i tuoi pensieri vi entrarono ronzando come uno sciame d’insetti e lì si fermarono senza trovare pace. Il libeccio (vento di sud-ovest) colpisce da anni le vecchie mura e il suono della tua risata non è più gioioso come una volta: l’ago della bussola gira e gira e non fornisce più una direzione sicura e la combinazione dei dadi non è più prevedibile. Tu non ricordi più; un altro avvenimento della tua vita distrae e inganna i tuoi ricordi; un filo del gomitolo di cui è fatta la memoria si intreccia ancora di più. Ho in mano ancora un capo del filo, ma la casa si allontana ancora di più dalla memoria e, sulla cima del tetto, la banderuola del vento, nera per il fumo, gira dibattuta senza sosta. Ho in mano un capo del filo; ma tu resti sola e non si sente più il tuo respiro in questa oscurità. Oh, l’orizzonte che sembra allontanarsi sempre di più, sul quale si accende fioca e dispersa la luce di segnalazione della petroliera! È qui il varco? (Sul faraglione il cui fianco si precipita ripido in mare si ribatte nuovamente l’onda…). Tu non ricordi la casa di questo finale della mia vita. E io non so chi sta qui e chi se ne va.

Silenzio Poetico e Satura

Gli anni del miracolo economico (1956-1963) sono quelli del silenzio poetico montaliano. La moderna società industriale comporta per Montale la certezza della inevitabile morte della poesia e ciò induce il poeta a tacere. Quando nel 1964 la rielaborazione del lutto per la morte della moglie spinge Montale a scrivere di nuovo i versi, questi non hanno più niente di sublime o di elevato, ma si pongono consapevolmente al confine fra poesia e non-poesia. L’autore stesso afferma che “l’unica poesia possibile è quella di vivere nell’epoca della prosa”: la poesia dovrebbe tendere al mutismo. Nella società del “trionfo della spazzatura” e dell’ “ossimoro permanente”, ovvero del controsenso continuo, non è più possibile distinguere valore e disvalore, alto e basso. Domina l’insignificanza. Si passa così da una poesia selettiva ed esclusiva a una inclusiva, che accetta ogni tipo di materiale, anche il più eterogeneo, quasi rassegnata alla realtà della degradazione culturale. La poetica di Satura rappresenta dunque una svolta decisiva, in senso basso, prosastico e satirico. Prevalgono il sarcasmo, l’ironia, la parodia e la satira. Il titolo non allude solo agli aspetti di satira politica e

culturale, ma rinvia anche alla varietà e alla mescolanza dei temi e degli argomenti (come era nella satura latina e greca). C’è un evidente riferimento alla satira di Marziale, che ha come caratteristica l’enorme quantità di temi, anche banali, appartenenti ad aspetti della vita che non hanno nulla di poetico. Accanto al motivo della morte della moglie, un altro tema dominante nel libro è quello del vivere dopo la catastrofe, dopo un’alluvione che ha sommerso tutti i valori del passato, mentre domina l’autorità del presente.

Xenia e Mosca

Il libro si suddivide in quattro sezioni. Le prime due, intitolate “Xenia I” e “Xenia II” e le altre due “Satura I” e “Satura II”. Il termine xenia vuole indicare, in latino, i doni inviati ad un amico che è stato nostro ospite. Il titolo allude a un’offerta votiva alla moglie morta. Mosca, soprannome della moglie Drusilla Tanzi, è celebrata per la sua vitalità di insetto, per la sua capacità di adattarsi a quel “trionfo della spazzatura” che è ormai la civiltà contemporanea, per le sua capacità di orientarsi senza farsi ingannare dagli astratti valori degli intellettuali. Mosca ha una sorta di “radar di pipistrello”, cioè una sorta di saggezza originaria e primitiva, quasi animalesca. È stata lei a capire, molto prima del poeta, che le contraddizioni e i dualismi inventati dagli uomini di cultura sono falsi. Inoltre, Mosca ha insegnato al poeta non solo a sopravvivere acquattandosi come un insetto, ma anche a difendersi attraverso l’ironia, il sarcasmo. Qui parte l’autocritica del poeta che in passato aveva puntato sui valori e sulle illusioni tipiche degli intellettuali, perché ancora inconsapevole della vita e illuso che attraverso l’aristocrazia intellettuale e culturale, l’uomo potesse affrontare e salvarsi dallo scempio del consumismo e dal bombardamento delle informazioni.

La poesia è dedicata alla moglie morta alcuni anni prima nel 1963.

Dandoti il braccio, ho sceso almeno un milione di scale e ora che non ci se più sento il vuoto a ogni gradino. Nonostante il milione di scale e tutti gli anni passati insieme, il nostro lungo viaggio è stato breve. Il mio viaggio dura ancora adesso, e non ho più bisogno delle coincidenze ferroviarie, delle prenotazioni negli alberghi, delle trappole e degli smacchi di chi crede che la realtà sia quella che si vede. Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio, ma non perché con quattr’occhi (i tuoi e i miei) si vede di più. Le ho scese con te perché sapevo che, di noi due, le sole pupille che vedessero davvero, sebbene così indebolite per la tua forte miopia, erano le tue.

Il tema iniziale della poesia è l’assenza di Mosca e il senso di smarrimento provato dal poeta. A lei egli affidava il disbrigo delle incombenze pratiche durante i viaggi fatti insieme, come badare alle coincidenze, preoccuparsi delle prenotazioni. Queste sono trappole per chi crede che la realtà si esaurisca nel mondo visibile. Grazie al lutto Montale ha finalmente compreso la futilità delle incombenze e delle urgenze della vita quotidiana, alle quali non attribuisce più importanza, a differenza di tutti coloro che credono che la realtà sia solamente quella visibile. Al contrario Drusilla era ben consapevole che la realtà non è "quella che si vede", ma un mistero che va oltre le apparenze, paradossalmente proprio grazie alla sua miopia.

Il Discorso del Nobel

È il discorso che fu tenuto dallo scrittore quando vinse il Premio Nobel per la letteratura nel ’75. Montale, che aveva una concezione pessimistica, afferma che la poesia è un prodotto inutile, ma quasi mai nocivo, infatti, in tutti i tempi ci sono stati dei poeti. Montale ha scritto solo 6 libri ed è stato criticato per la sua produzione poco prolifera, ma il poeta non è un produttore seriale di poesie, una macchina: il lavoro artistico richiede il proprio tempo. Montale continua il suo discorso parlando della cultura di massa, a cui muove una critica: con la radio e la televisione in casa nessuno riesce più a stare da solo, a riflettere. Tuttavia, il poeta non critica il mezzo in sé bensì l’uso che se ne fa, infatti, a favore dei mezzi di comunicazione di massa, afferma che un artista, in questo contesto, può diventare facilmente e velocemente famoso con i mezzi giusti, ma allo stesso tempo diventa anche più facile essere dimenticati. Quelli che restano sono quelli che rispondono a esigenze universali, non quelle del “qui e ora”. Per Montale, infatti, la poesia non riguarda il “qui e ora”, chi scrive accumula esperienze, è ottimista sul fatto che la poesia possa sopravviver al giorno d’oggi: se si intende quella poesia che piace al pubblico, di consumo, quella si esaurirà col tempo; se invece la poesia è quella che rifiuta la produzione, il mercato e sembra trasmettere ai posteri i caratteri di un’epoca, quella ci sarà sempre, a patto che resti inutile, cioè che non si riduca alla logica del profitto. Montale difende i valori umanistici che la letteratura contribuisce a diffondere e che sono l’arma più potente contro l’oppressione dei regimi totalitari, lo spirito persecutorio e il fanatismo più crudele. In questo punto il poeta inserisce una riflessione tuttora attualissima sulla bomba atomica che considera il frutto più maturo dell’albero del male. Afferma che le opere letterarie possono essere micidiali, ma mai pericolose quanto quella terribile bomba atomica creata dall’uomo per auto-annientarsi. Montale non si professa sociologo, tuttavia nel suo discorso tocca importanti temi di matrice sociale e politica. Pone una lente sull’attuale società della cultura di massa e ne sviscera tutte le implicazioni, osservando che l’umanità ammaliata dalla radio e dalla televisione - e dai social network, diremmo oggi - sta perdendo la capacità di riflettere (e di tacere). Lo spettacolo, osserva Montale, può essere definito come l’arte nuova del nostro tempo.

Domande da interrogazione

  1. Qual è l'importanza del paesaggio marino ligure nell'opera di Montale?
  2. Il paesaggio marino ligure, in particolare quello delle Cinque Terre, ha un'importanza decisiva nelle tematiche di "Ossi di seppia", influenzando profondamente la poetica di Montale.

  3. Chi sono le figure femminili che hanno ispirato la poesia di Montale?
  4. Le figure femminili che hanno ispirato Montale includono Anna degli Uberti (Arletta o Annetta), Paola Nicoli, e Ilma Brandeis (Clizia), ognuna delle quali ha avuto un ruolo significativo nella sua vita e nella sua opera.

  5. Come si manifesta la poetica della negazione in Montale?
  6. La poetica della negazione di Montale si manifesta attraverso l'assenza di messaggi positivi, la denuncia del male di vivere e l'uso di parole che esprimono la disarmonia tra uomo e realtà.

  7. Quali sono i temi principali di "Ossi di seppia"?
  8. I temi principali di "Ossi di seppia" includono il male di vivere, il limite e l'esilio, rappresentati simbolicamente dagli ossi di seppia e dal contrasto tra mare e terra.

  9. In che modo Montale ha affrontato il silenzio poetico e la successiva produzione di "Satura"?
  10. Durante il silenzio poetico, Montale ha riflettuto sulla morte della poesia nella società moderna. Con "Satura", ha adottato uno stile più prosastico e satirico, accettando la degradazione culturale e utilizzando l'ironia e il sarcasmo.

Domande e risposte

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