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Indice

  1. Una corte di adulatori
  2. Metrica
  3. Parafrasi
  4. Satire
  5. Il difficile rapporto con la corte estense
  6. La letteratura come vita

Una corte di adulatori

Nei versi iniziali della Satira I il poeta esordisce con una dura critica al malcostume dei cortigiani, sempre propensi ad adulare il signore: egli si domanda se c’è qualcuno tra i suoi compagni di un tempo pronto a difenderlo di fronte a Ippolito o se tutti danno ragione a quest’ultimo per ottenerne i favori.

Metrica

Terzine di endecasillabi (schema delle rime ABA, BCB).

Parafrasi

vv. 1-3 Io desidero sapere da voi, fratello Alessandro e mio amico Bagno, se alla corte [di Ippolito] ci si ricorda ancora (è ricordanza più) di me;
vv. 4-6 se il signore mi accusa ancora; se qualche amico si fa avanti in mia difesa (per me si lieva) e dichiara la ragione per cui, mentre gli altri partono [per l’Ungheria], io rimango qui [a Ferrara];
vv. 7-9 oppure [se], tutti esperti nell’adulazione (l’arte che più si studia e venera – cole – a corte – tra noi), voi lo aiutate a criticarmi (biasmarme) oltre misura.
vv. 10-12 Pazzo [è ritenuto] colui che vuole contraddire il suo signore, anche se (se ben) egli dicesse che ha visto di giorno [il cielo] pieno di stelle e il sole a mezzanotte.
vv. 13-15 Sia che il signore lodi [qualcuno], sia che lo voglia umiliare (far scorno), immediatamente si sente un coro (un concento) di approvazione da parte di chi gli sta intorno;
vv. 16-18 e chi non osa (ha ardimento), per timidezza, aprir bocca, mostra il suo consenso (applaude) con l’espressione del volto, e sembra che voglia dire: «sono d’accordo anch’io»

Satire

Le Satire sono state scritte da Ariosto tra il 1517 e il 1525, nel periodo difficile in cui egli, dopo aver lasciato il servizio del cardinale Ippolito, si trova alle dipendenze del duca Alfonso d’Este. La loro pubblicazione avviene nel 1534, quindi dopo la morte del poeta. Rivolgendosi a interlocutori fittizi (cioè non reali, pretestuosi), Ariosto denuncia i difetti degli uomini con cui ha avuto a che fare, senza risparmiare i signori d’Este e gli altri cortigiani. Forse è per prudenza, quindi, che non ha dato egli stesso l’opera alle stampe, benché ne abbia corretto con cura lo stile. Il modello classico a cui l’autore si rifà per i contenuti e per lo stile è rappresentato dalle Satire del poeta latino Orazio (65-8 a.C.), sebbene non manchino influssi della Divina Commedia nei passi in cui il tono si fa più aspro e polemico. L’esempio dantesco è seguito anche dal punto di vista metrico, in quanto le Satire, sono scritte in tezine di endecasillabi.


Il difficile rapporto con la corte estense

Dalla Satira I, composta nel 1517, emerge in particolare il suo problematico rapporto con la corte degli Estensi, i signori di Ferrara. In essa, rivolgendosi idealmente al fratello Alessandro e all’amico Ludovico da Bagno, entrambi trasferitisi in Ungheria al seguito del cardinale Ippolito, Ariosto spiega i motivi per cui egli ha invece deciso di non accompagnare il proprio mecenate, pur sapendo di suscitarne l’ira e di dover rinunciare ai vantaggi economici di uomo di corte

La letteratura come vita

Oltre che per la tendenza dei cortigiani a compiacere il signore, la vita di corte risulta opprimente per Ariosto a causa dei continui servizi da rendere al cardinale Ippolito, che lo distolgono dall’attività letteraria. La poesia infatti costituisce per lui un valore irrinunciabile, di cui sente di aver bisogno più del denaro o di qualsiasi altro bene materiale. Il suo disappunto per non essere libero di dedicarsi a essa come vorrebbe non è però espresso con il tono lamentoso di chi si autocommisera: anche qui, come nell’Orlando furioso, è l’ironia lo strumento con cui il poeta descrive le debolezze degli uomini e la difficoltà di stabilire rapporti autentici, basati sulla reciproca comprensione. Perfino quando gli elementi critici della società lo riguardano personalmente, l’ironia gli permette di rielaborarli in poesia osservandoli con distacco.

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