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foto di studenti erasmus rapporto almalaurea

Una storia partita come esperimento e diventata nel tempo un grande successo. Erasmus, il programma europeo che ogni anno muove migliaia di studenti universitari, festeggia 30 anni di vita. L’interscambio di ragazzi tra gli atenei del vecchio continente è ormai diventato un must, l’opportunità di conoscere gente nuova e una cultura diversa dalla nostra.

Ma quali sono i suoi effetti sulla carriera post-universitaria?
Almalaurea, il consorzio che monitora l’inserimento dei laureati nel mercato del lavoro, è partita dai profili dei laureati italiani per analizzare che peso abbiano avuto i mesi passati in Erasmus sul loro percorso dopo il conseguimento del titolo.

In Erasmus può capitare di tutto. Guarda il video

PIU' OPPORTUNITA' DI TROVARE LAVORO - Va innanzitutto detto che, questo tipo di esperienze di studio all’estero, hanno permesso ai laureati che le hanno affrontate di aumentare del 10% le chance di trovare lavoro, già ad un anno dalla laurea.
Ma quanti sono gli italiani che varcano la soglia dei confini nazionali ogni anno accademico? Fra tutti i laureati del 2015, ad esempio, il 10% aveva compiuto esperienze di studio all’estero riconosciute dall’Università d’appartenenza. La meta più gettonata è stata la Spagna – forse per la vicinanza culturale col nostro Paese - scelta dal 25% degli interessati dalla mobilità internazionale. Ma Francia, Germania e Regno Unito sono nazioni molto apprezzate dagli studenti non fosse altro per l’opportunità d’imparare una lingua diffusa e molto spendibile nel mondo del lavoro.

PARTONO SOPRATTUTTO I PIU' GRANDI. MA SONO ANCORA POCHI - Più in generale, però, qual è l’identikit del laureato Erasmus? Il XVIII Rapporto AlmaLaurea ci aiuta a farlo. Dall’indagine emerge, così, che tra i laureati che compiono l’intero percorso “3+2” e svolgono esperienze di studio all’estero con il programma Erasmus la scelta si colloca più spesso nel biennio magistrale che nel triennio iniziale.
Fra i laureati di primo livello le esperienze di studio all’estero riconosciute dal corso di laurea hanno coinvolto, infatti, circa il 7% degli studenti, senza differenze evidenti fra coloro che intendono proseguire nel biennio magistrale e i laureati che dichiarano di volersi fermare al primo livello.
Nei corsi di laurea magistrale a ciclo unico, invece, la mobilità ha riguardato il 14% dei laureati. La stessa percentuale si registra fra i magistrali biennali.
Tirando le somme, si può così osservare che 19 laureati magistrali su 100 possono mettere nel proprio curriculum formativo un’esperienza di studio presso un’università europea diversa da quella in cui sono iscritti. Un dato molto vicino a quel 20% fissato dall’Unione Europea come obiettivo per il 2020.

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LA FACOLTA' INFLUENZA LA SCELTA - La partecipazione ai programmi di studio all’estero è però influenzata anche dal tipo di facoltà scelta, dalla disciplina di studio, dal suo settore.
Se, dunque, analizziamo l’incidenza dei viaggi Erasmus nelle facoltà umanistiche il dato sarà tendenzialmente elevato. Fra gli studenti dell’area linguistica, ad esempio, ben 30 laureati su 100 hanno varcato i confini nazionali per studiare alcuni mesi in un’altra città europea. In tutti gli altri gruppi disciplinari, invece, la quota di studenti Erasmus rimane sotto al 15% (con l’unica eccezione di medicina e odontoiatria, in cui si sale al 18%, alzando un po’ la media delle facoltà scientifiche). In questo quadro, valori particolarmente ridotti si riscontrano non solo nelle professioni sanitarie, dove i laureati che hanno preso parte a questi programmi sono solo il 2%, ma anche per il gruppo insegnamento (2,9%) e educazione fisica (3,3%).

IL SUD E' INDIETRO - L’indagine sui laureati 2015 ci offe ottimi spunti di riflessione anche sul peso che la collocazione geografica dell’ateneo ha sul tasso di partecipazione alla mobilità per ragioni di studio. La fotografia è quella di un Paese diviso in due. Fra le 71 università coinvolte nell’indagine, quelle dell’Italia Nord-orientale hanno in generale percentuali di laureati con un’esperienza di studio all’estero riconosciuta più alte (14%); all’opposto, l’Italia meridionale e insulare paga la scarsa diffusione di accordi d’interscambio con le università europee, “frenando” i proprio studenti dal partire, cosicché solamente il 7-8% di loro riesce a passare un periodo all’estero.

ANCHE LA FAMIGLIA HA IL SUO PESO - Un cenno, infine, su un altro elemento che influisce non poco sulla decisione di partire in Erasmus: la famiglia. È dimostrato che il livello di istruzione dei genitori interviene come fattore di discrimine sulle probabilità di accesso allo studio all’estero: il 16% dei laureati che hanno svolto tale esperienza provengono da un famiglia in cui entrambi i genitori sono in possesso di una laurea; mentre i figli di genitori non diplomati sono il 6% del totale degli studenti Erasmus. Anche l’estrazione sociale, però, ha purtroppo un ruolo importante: per le famiglie meno abbienti, infatti, l’ipotesi di un soggiorno all’estero viene visto come un impegno troppo oneroso, che le borse Erasmus o altre fonti di finanziamento non sono sufficienti a compensare.

Marcello Gelardini

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