Versione originale in latino
32. "An eandem Romanis in bello virtutem quam in pace lasciviam adesse creditis? Nostris illi dissensionibus ac discordiis clari vitia hostium in gloriam exercitus sui vertunt; quem contractum ex diversissimis gentibus ut secundae res tenent, ita adversae dissolvent: nisi si Gallos et Germanos et (pudet dictu) Britannorum plerosque, licet dominationi alienae sanguinem commodent, diutius tamen hostis quam servos, fide et adfectu teneri putatis. Metus ac terror sunt infirma vincla caritatis; quae ubi removeris, qui timere desierint, odisse incipient. Omnia victoriae incitamenta pro nobis sunt: nullae Romanos coniuges accendunt, nulli parentes fugam exprobraturi sunt; aut nulla plerisque patria aut alia est. Paucos numero, trepidos ignorantia, caelum ipsum ac mare et silvas, ignota omnia circumspectantis, clausos quodam modo ac vinctos di nobis tradiderunt. Ne terreat vanus aspectus et auri fulgor atque argenti, quod neque tegit neque vulnerat. In ipsa hostium acie inveniemus nostras manus: adgnoscent Britanni suam causam, recordabuntur Galli priorem libertatem, tam deserent illos ceteri Germani quam nuper Usipi reliquerunt. Nec quicquam ultra formidinis: vacua castella, senum coloniae, inter male parentis et iniuste imperantis aegra municipia et discordantia. Hic dux, hic exercitus: ibi tributa et metalla et ceterae servientium poenae, quas in aeternum perferre aut statim ulcisci in hoc campo est. Proinde ituri in aciem et maiores vestros et posteros cogitate."
Traduzione all'italiano
32. "O forse credete che i Romani abbiano in guerra un valore pari all’insolenza che hanno in pace? Quelli che sono diventati illustri in virtù dei nostri dissensi e delle nostre discordie, volgono gli errori dei nemici a gloria del loro esercito; questo esercito composto dalle popolazioni più diverse, come i successi lo tengono unito, così le avversità lo disgregheranno: a meno che non riteniate che i Galli e i Germani e (mi vergogno a dirlo) la maggior parte dei Britanni sono legati da fedeltà e attaccamento (ai Romani), sebbene versino sangue alla dominazione straniera, tuttavia più a lungo nemici che schiavi. La paura e il terrore sono non saldi legami di affetto; e quando tu li avrai rimossi, coloro i quali cesseranno di temere, cominceranno a odiare. Ogni incitamento alla vittoria è a nostro favore: nessuna moglie infiamma i Romani, nessun genitore sta per biasimare la fuga; o la maggior parte non ha nessuna patria, o ha una patria diversa. Gli dei ci hanno consegnato pochi in numero, disorientati per la mancanza di conoscenza di luoghi, costretti a guardare intorno a sé e il cielo stesso e il mare e le selve, tutte cose ignote, per così dire intrappolati e legati. Né vi spaventi la vista di cose vane e il fulgore dell’oro e dell’argento, poiché né vi protegge né vi ferisce. Troveremo nell’esercito stesso dei nemici le braccia al nostro servizio: i Britanni riconosceranno la loro causa, i Galli si ricorderanno della passata libertà, gli altri Germani li abbandoneranno come li abbandonarono gli Usipi, non molto tempo fa. D’ora in poi per l’avvenire nessuna paura: fortezze vuote, colonie di vecchi, tra popolazioni che obbediscono di malavoglia e governatori che comandano in modo ingiusto, municipi immiseriti e discordi. Qui c’è un comandante, qui un esercito: là tributi e lavori nelle miniere e le altre pene di schiavi, che dipende da questo campo di battaglia se sopportare in eterno o vendicare subito. Perciò quando siete sul punto di andare in battaglia, pensate ai vostri antenati e ai vostri discendenti."