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L'opera in Piazza della Vittoria
L'opera è collocata in Piazza della Vittoria sullo sfondo dei giardini pubblici (vedi fig. 1) su un altare granitico addossato ai lati da quattro colonne doriche. I lati maggiori sono ornati da due statue in bronzo: sul lato che versa sui giardini pubblici, è raffigurata la vittoria alata; sul lato che versa sulla piazza è raffigurata la statua del fante.
Quest'ultimo (vedi fig. 3), col mantello mosso dal vento e lo sguardo vigile e corrucciato, non è colto nell'atto della battaglia né le sue forme citano la statuaria antica; nonostante appaia vestito con la divisa e le armi dell'esercito, la posa sembra più quella da sentinella che da guerriero. Sembra che l'iconografia del soldato non sia quella del combattente o del martire che si immola per la patria, ma di vigilare sull'ordine costituito. Rappresenta una figura quasi mitica che si pone in difesa dei valori del regime fascista contro le spinte socialiste-comuniste.
L'alter ego del fante è la vittoria (nel lato opposto del monumento, vedi fig. 2), che non rappresenta il successo bellico, ma un trionfo politico-mussoliniano sulle spinte rivoluzionarie socialiste e democratiche. La parte superiore del monumento reggiano è decorato da quattro formelle in bronzo con riferimenti all'antichità classica, che rappresentano le parche, il lavoro nei campi, una scena di combattimento e il compianto di un soldato caduto. Queste forme sono estremamente sintetiche e posate, lontane da indulgenze patetiche ed espressioniste.
Fonte - http://luoghi.centenario1914-1918.it
Tornando agli articoli di Ferrari, egli dimostra un curioso e significativo cambio di atteggiamento nei confronti dell'opera. Nel 1924 dopo che la giuria decreta Bazzoni vincitore ribadisce ancora una volta l'assenza negli artisti coinvolti di autenticità, della capacità di creare empatia con il
bianca che ospita l'iscrizione dedicatoria e5 V. Ferrari, Il secondo concorso del monumento ai caduti, cit. p. 203.
6 V. Ferrari, Il Monumento ai Caduti di Reggio Emilia, cit. p. 181.
soprastante un blocco in pietra posto in posizione verticale, suddiviso in due sezioni. Quella disinistra porta incisi i nomi dei caduti, mentre in quella di destra è scalpellata la statua di un soldato raffigurato a dorso nudo e coperto sui fianchi da un drappo con panneggio movimentato; porta l'elmetto e poggia le mani sull'elsa di una spada che tiene davanti al corpo con la punta rivolta verso il basso in posizione di riposo.
Realizzato tra il 1919 e il 1930, non si conoscono né l'autore né la data di inaugurazione. Dopo il secondo conflitto mondiale furono aggiunte ai lati del monumento, due lastre di marmo bianco in memoria dei caduti e dispersi delle guerre d'Africa e Seconda Guerra Mondiale.
Fig. 4 – Monumento di Coviolo
Fonte -
http://luoghi.centenario1914-1918.it
Oltre ai monumenti che ritroviamo nelle diverse piazze reggiane, numerose sono le lapidi in memoria dei caduti di guerra che s'incontrano in prossimità dei cimiteri cittadini. Possono essere piccoli monumenti raffigurativi all'interno del cimitero stesso (vedi fig. 5), lapidi in marmo che recano dediche alle vittime di guerra, o la lista nominativa dei soldati caduti (vedi fig. 6). Molti dei nomi che ritroviamo sulle lapidi non appartengono a soldati di origine emiliana, ma a persone che furono trasportate negli ospedali reggiani e che qui persero la vita.
Per sapere dove è collocata la memoria statuaria di un singolo caduto di guerra, il sito di Istoreco (www.albimemoria-istoreco.re.it) mette a disposizione un modulo di ricerca nominativa online che dà come risultato il luogo in cui è impresso il suo nome.
Fig. 5 - Monumento all'interno del cimitero
Fig. 6 - Lapide commemorativa
Fonte -
http://luoghi.centenario1914-1918.it
All'indomani della Seconda guerra mondiale, a seguito della dolorosa esperienza del fascismo che aveva precipitato l'Italia in un altro conflitto, questi monumenti furono considerati da molti più strumenti di propaganda dal passato regime che espressione e testimonianza dei più alti valori civili di un popolo; così i monumenti ai caduti hanno subito spesso l'incomprensione delle stesse comunità che in quei decenni li hanno visti come simbolo di un passato da dimenticare. Infatti, oltre che alla costruzione di monumenti, assistiamo anche alla loro distruzione. Ad esempio molte opere raffiguranti il leader fascista Mussolini vennero talvolta distrutte (e il materiale riutilizzato per altre costruzioni o scopi) e altre volte rimosse dalla pubblica piazza, per apparire oggi, all'interno di musei con la mera funzione storica. La distruzione o rimozione di tali opere fu necessaria perché non rappresentavano
più l'ideologia del popolo e i sentimentalismi nazionali. In ogni caso, queste testimonianze di così grande valore civile, storico e spesso artistico non hanno goduto dell'attenzione che meritavano. Dal punto di vista monumentalistico la prima differenza evidente fra le due guerre è che, la Prima Guerra Mondiale era volta alla conquista di nuovi territori e difesa dei propri confini, quindi il monumento acquista finalità di memoria collettiva nazionale; mentre la Seconda Guerra Mondiale, ebbe tragiche conseguenze non solo dal punto di vista territoriale, ma prevalentemente su quello civile e religioso. Nel rispetto di queste vittime, non furono eretti monumenti a loro dedicati, pertanto oggi manca una monumentalistica di memoria specificatamente riferita alla Seconda Guerra Mondiale. Le uniche tracce di cui possiamo godere sono quelle della Resistenza, ma non sono state realizzate per volontà delle istituzioni nazionali, bensì per.Intraprendenza personale/famigliare dei partigiani combattenti. Il maggior numero di esemplari sono visibili in Piemonte, Lombardia, Liguria, Veneto ed Emilia-Romagna. Ad ogni modo, esistono alcuni monumenti storici della Seconda Guerra Mondiale che celebrano la memoria dei soldati caduti, ma sono datati a partire dal 1961, ad esempio quello di Marzabotto (vedi fig. 7) e Sant'Anna di Stazzema (vedi fig.8).
Fig. 7 – Monumento ai caduti di Marzabotto
Fig. 8 – Monumento ai caduti di Sant'Anna di Stazzema
Assodato il fatto che non vi siano molti monumenti storici di memoria dei caduti, sulla piazza di Reggio Emilia il principale simbolo della resistenza partigiana della Seconda Guerra Mondiale non è rappresentata da un monumento, un obelisco o altre rappresentazioni monumentali, bensì dall'umile dimora di una famiglia locale divenuta simbolo della Resistenza Italiana.
Per lo meno in zona: la casa dei sette fratelli Cervi. La famiglia Cervi era composta dal padre Alcide, la moglie Genoeffa e i sette figli. Avevano le mucche, allevavano piccioni e le api che producevano un finissimo miele. Avevano comprato il primo trattore della zona ed inoltre avevano piantato per la prima volta in Emilia, l'uva americana. Tutto questo suscitò molte gelosie nel paese, ma soprattutto l'attenzione delle autorità fasciste. I fratelli, influenzati dalle nozioni politiche del padre, svilupparono fin dal principio sentimenti antifascisti così che, già dall'inizio della guerra, la loro casa divenne un rifugio per i prigionieri alleati fuggiti dai campi di prigionia. Uno degli uomini che frequentava la casa dei Cervi era una persona di fiducia di Mussolini, che però decise di abbandonare il Duce diventando così un partigiano. Per la caduta del fascismo avvenuta il 25 luglio 1943, i Cervi organizzarono una festa presso
La loro tenuta. La popolarità dei Cervi aveva ormai superato i confini di Gattatico e con l'arrivo dei nazisti in Emilia, la loro cantina ed il loro fienile divennero depositi per le armi dei partigiani che andavano in montagna, attirando di conseguenza i sospetti dei nazi-fascisti che iniziarono a controllarli. Questi, non tardarono a stroncare l'intensa attività cospirativa dei Cervi; infatti all'alba del 25 novembre 1943, un plotone di militi circondò l'edificio, in parte incendiandolo. Al termine della sparatoria i sette fratelli, dopo essersi arresi, vennero catturati e condotti al carcere politico dei Servi a Reggio Emilia dove, un mese dopo, il 28 dicembre 1943, vennero fucilati al poligono di tiro della città. Il padre Alcide apprese della morte dei figli in un secondo momento, solo dopo la sua scarcerazione. "Dopo un raccolto ne viene un altro, bisogna andare avanti", queste le parole del vecchio Alcide quando seppe dalla
Moglie della tragica fine. Rimasto ormai solo in compagnia delle donne e degli undici nipoti a lavorare i terreni ed allevare gli animali, nell'immediato Dopoguerra, il Presidente della Repubblica appuntò sul petto di Alcide sette Medaglie d'Argento, simbolo del sacrificio dei suoi figli.
Dalla terribile tragedia fino alla morte del padre, avvenuta all'età di 94 anni nel 1970, casa Cervi fu meta di "pellegrinaggio" da parte di amici, vicini e partigiani, i quali condivisero con Alcide le sue stesse sofferenze, officiando così il rito di un rinnovamento dalla memoria privata alla costruzione pubblica di una memoria collettiva.
Nel corso degli anni immediatamente successivi alla morte di Alcide, la casa e il fondo furono acquistate dalla Provincia di Reggio Emilia accelerando inevitabilmente il processo di musealizzazione; certamente i visitatori continuarono numerosi a venire a casa Cervi, trovando ad accoglierli nuore, nipoti e volontari.
Continuarono a sentir raccontare le storie dei sette fratelli e della loro famiglia senza smettere di commuoversi e portare presenti materiali, continuando a pensare alla visita come a una sorta di dovere.