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Sometime too hot the eye of heaven shines,
And often is his gold complexion dimmed,
And every fair from fair sometime declines,
By chance, or nature’s changing course untrimmed:
But thy eternal summer shall not fade,
Nor lose possession of that fair thou ow’st,
Nor shall death brag thou wander’st in his shade,
When in eternal lines to time thou grow’st.
So long as men can breathe, or eyes can see,
So long lives this, and this gives life to thee.
Sanfelice traduce:
Te simigliare a estivo dì si deve?
Tu se’ amabile più, tu sei più mite;
strappa il vento le frondi rifiorite,
e il durar dell’estate è troppo breve.
L’occhio del cielo or troppo ferve e splende,
ed or s’offusca sua vista divina;
ogni beltade di beltà declina,
o sia caso o sia natura in sue vicende.
Ma non cadrà l’estate tua nel verno,
né perderai quella bellezza tua;
non avrà vanto morte che alla sua
ombra tu vaghi, fatto in rime eterno.
Però tua vita tanto io miro
Fin che occhi avran luce ed uom respiro.
Serpieri traduce:
Dovrò paragonarti a un giorno d’estate?
Tu sei più amabile e più temperato:
rudi venti scuotono i diletti boccioli del maggio
e l’affitto dell’estate ha durata troppo breve;
talvolta troppo caldo l’occhio del cielo splende
e spesso l’oro del suo volto è offuscato;
e ogni bellezza dalla bellezza prima o poi declina,
spogliata dal caso o dal mutevole corso della natura.
Ma la tua eterna estate non dovrà svanire
Né perdere possesso di quella bellezza che è tua,
né la morte si vanterà che tu vaghi nella sua ombra,
quando in versi eterni tu crescerai nel tempo.
Finché uomini respireranno o occhi vedranno,
fin tanto vivrà questa poesia, e questa darà vita a te
Le prime traduzioni in italiano di quest’opera si ebbero solo negli anni 90 dell’800 e il primo
a tentare l’impresa fu Angelo Olivieri nel 1890, seguito otto anni dopo da Ettore Sanfelice.
Egli nasce nel 1862 a Viadana, vicino a Mantova, dover passa la maggior parte della sua
infanzia; si laurea prima in Giurisprudenza e poi in Lettere all’Università di Bologna e
comincia a lavorare come insegnante precario in varie zone dell’Italia. È stato un poeta, un
drammaturgo e un traduttore, soprattutto dall’inglese, e tra le sue traduzioni ci sono,
appunto, i Sonetti di Shakespeare, Keats e Shelley. Inoltre era molto attento alle questioni
sociali e ha favorito la creazione di cooperative di lavoro nel suo paese. Muore nel 1923 a
Reggio Emilia.
A quasi un secolo di distanza, segue le sue orme Alessandro Serpieri: nato nel 1935 a
Molfetta, è stato assistente ordinario all’Università di Bologna fino al 1968 per poi
diventare docente all’Università di Firenze nel 1971. Si occupa principalmente di teatro e
poesia in lingua inglese, traducendo fra i tanti Shakespeare nel 1991, per i quali ha vinto il
Premio Mondello l’anno successivo, Eliot e Conrad, ma è anche un saggista.
La prima cosa che si può notare è il registro linguistico usato: Sanfelice opta per una
traduzione classicheggiante, fatta di arcaismi, probabilmente giustificati dal periodo
culturale in cui vive, mentre Serpieri risulta molto più modernizzante.
La scelta tra una traduzione arcaicizzante e una modernizzante è un problema che si
presenta nel momento in cui bisogna “trasportare” un testo da un’ epoca a un’altra, e viene
affrontato da James S.Holmes, citato da Romana Zacchi (2006): egli individua nella
maggior parte dei traduttori la tendenza a procedere in una dimensione sincronica, quindi
come se il testo in questione e la sua traduzione fossero contemporanei; di conseguenza,
esistono due opzioni: o “storicizzare” facendo una traduzione “ritentiva”, oppure
modernizzare con una traduzione “ri-creativa”, però tra questi due estremi ci sono
3
possibilità intermedie .
Inoltre, Sanfelice cerca di mantenere uno schema di rime, utilizzando l’endecasillabo (che
può variare da 10 a 12 sillabe) con rima incrociata ABBA, e rifacendosi alla struttura del
sonetto inglese anziché riportarla alla struttura di quello italiano, costituito da due quartine
e due terzine; Serpieri punta, invece, all’utilizzo del verso libero, quindi non c’è un numero
preciso di sillabe per ogni verso, e non rispetta neanche la struttura del sonetto con la
distinzione in strofe.
Shakespeare paragona il bel giovane a un giorno d’estate per poi correggersi e notare che
in realtà egli è meglio dell’estate, ma come essa ha breve durata ed è, come tutte le cose,
destinato a sfiorire; fortunatamente, egli ha la possibilità di sopravvivere nella memoria dei
posteri attraverso l’arte, in particolare, la poesia.
Nel v.3 l’ausiliare “do”, che comunemente non viene messo in evidenza nell’inglese
contemporaneo, può essere spiegato secondo due, entrambi probabili, espedienti: per la
metrica del verso o per conferire enfasi alla frase affermativa; in ogni caso, i due traduttori
sembrano ignorare la sua presenza.
Per quanto riguarda alcuni lessemi, nell’originale viene impiegato il termine “lease” (v.4)
che sta per “contratto d’affitto”, usato qui per indicare la durata dell’estate e della vita, e
viene reso dai traduttori in modi diversi: Sanfelice traduce con “il durar dell’estate è troppo
breve”, mentre Serpieri con “l’affitto dell’estate ha durata troppo breve”, quindi egli cerca di
rimanere legato al testo originale e all’intenzione del poeta più di quanto non fa Sanfelice.
Nei vv.4-5 dell’originale sono presenti le parole “sometime” e “often” che vengono tradotte
da Sanfelice con “or” e “or” (probabilmente per rispettare la metrica che si è imposto),
mentre rimangono letterali in Serpieri “talvolta” e “spesso”, rispecchiando la sua scelta di
adottare il verso libero senza rime.
Al v.6, “complexion” significa letteralmente “carnagione” e “colore” ma può essere usato
anche per “immagine”, “volto”, “vista”, scelta che viene preferita dai due traduttori.
Il termine “lines” al v.12 si riferisce ovviamente ai versi della poesia che, con la loro
immortalità, doneranno la vita eterna al “fair youth”, cui è dedicata, e tramite cui il giovane
e la sua bellezza verranno ricordati nel tempo anche dopo la sua morte.
C’è quindi, come dice Serpieri, un’eternità che <<non è più ottenuta a livello naturalistico
da una indefinita perpetuazione del giovane nella sua discendenza […] ma è garantita, a
livello artistico, da una indefinita successione di destinatari che riattualizzeranno
3 Holmes, James (1988) Traslated! Papers on Literary Translation and Translation Studies, Rodopi, Amsterdam
continuamente, nella lettura della parola poetica che lo “contiene”, il fair youth divenuto
archetipo immortale>> (1991: p.421).
Inoltre, in questi tre versi è presente un climax ascendente nelle parole “shines”, “dimmed”
e “declines”, che viene mantenuto allo stesso modo da entrambi i traduttori.
Altra cosa da notare è che Sanfelice, in molte sue traduzioni dei Sonetti come in questa,
utilizza diverse volte gli enjambement, atipici invece nei testi originali.
Riguardo al distico, è possibile individuare un chiasmo in “lives this, and this gives” e,
mentre Serpieri traduce “finchè uomini respireranno o occhi vedranno/fin tanto vivrà
questa poesia, e questa darà vita a te”, Sanfelice si discosta quasi totalmente, preferendo
un più libero “però tua vita tanto io miro/fin che occhi avran luce ed uom respiro” in modo
da mantenere lo schema delle rime e la metrica dell’endecasillabo, quindi attuando un
processo di soppressione delle parole; questo perché nel XIX secolo le tecniche traduttive
tendevano a fare una parodia del testo originale, cambiandolo da molti suoi punti di vista,
mentre traduttori più recenti e contemporanei preferiscono rimanere più “fedeli” al testo.
“Fedele” è una parola che viene usata erroneamente perché un traduttore non potrà mai
essere fedele a un testo, poiché le traduzioni danno vita ad altre opere che non sono più
l’originale, ma sono qualcosa di diverso perché vi è un po’ della personalità del traduttore
e del suo background storico-culturale.
Alessandro Serpieri, sostiene che <<tradurre significa interpretare un testo e riscriverlo in
un’altra lingua […] e quindi imparare il modo o i modi con cui far salvi - in un’altra lingua,
un’altra cultura, un’altra epoca – quanti più livelli possibili dell’originale. Solo la pratica
della traduzione può condurre piano piano a una piena consapevolezza delle varie
problematiche implicate a una sorta di poetica personale del tradurre>> (Zacchi, Morini,
2001: p.65), riprendendo così il discorso di Berman su riflessione ed esperienza.
Da qui si può ben vedere quanto precedentemente detto riguardo la traduzione: essa non
è oggettiva e mai lo sarà, perché dipende da tutto un contesto che è quello culturale,
storico e sociale del traduttore e dalle sue esperienze di traduzione; una riprova sono,
dunque, le traduzioni che ho preso in analisi, fatte a distanza di circa un secolo l’una
dall’altra, che presentano caratteristiche e scelte stilistiche ben diverse.