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Il passaggio dall’orizzonte etico a quello morale, con i suoi imperativi

categorici, è segnato dal fatto che la capacità di agire dell’uomo è

sempre legata alla sua fragilità. L’azione, che un uomo compie, porta

con sé un potere intrinseco che può generare violenza nei confronti

dell’altro trasformandolo in vittima o viceversa siamo noi le vittime.

Per questo

l’aspirazione alla vita buona deve quindi essere vagliata e regolata dalla

ragione pratica. Il ternario etico deve diventare un ternario morale: occorrono delle

regole che si impongono come interdetti e come doveri da rispettare. All’ottativo

22

del desiderio succede l’imperativo, alla stima si accompagna il rispetto .

La condizione di fragilità dell’uomo determina l’impossibilità di

realizzazione della giustizia in senso etico: dentro ogni uomo c’è

sempre l’insidia di compiere il male che minaccia il proponimento

verso la costituzione di una vita buona, in senso aristotelico. Il

momento della morale costituisce un passaggio obbligato e

ineliminabile, poiché in esso si determina una chiarificazione delle

norme malefiche del potere di sopraffazione che l’uomo tende ad

esercitare sull’altro.

Tuttavia per l’autore il passaggio deontologico non è in sé conclusivo

per la riflessione del sé nell’orizzonte etico-morale; al contrario si

prospetta un ritorno alla phrònesis aristotelica, ovvero alla saggezza

pratica; nella misura in cui il formalismo della norma impedisce di far

fronte ad alcune questione pratiche. La morale acquista una posizione

intermedia fra «etica fondamentale o anteriore» ed «etica applicata o

posteriore». La saggezza pratica, inoltre costituirà il luogo di incontro

22 D. Jervolino, Ricoeur: l’etica e le etiche, in Etica e morale, P. Ricouer, cit. p. 10

8

tra etica e morale: «è esattamente il caso del giudizio morale in

situazione» .

23

Dall’altro lato si può affermare che la morale- nel suo dispiegarsi in norme

private, giuridiche, politiche- costituisce la struttura di transizione che guida il passaggio

dall’etica fondamentale in direzione delle etiche applicate che le donano la visibilità e

24

leggibilità sul piano della praxis.

La riflessione sull’aspetto deontologico, che la stima di sé assume in

qualità di rispetto di sé, presenta la stessa struttura triadica che

qualifica la dimensione etica: i tre momenti delle prospettiva della

vita buona, della sollecitudine , del senso di giustizia ricompaiono

infatti anche a questo livello di analisi, benché essi si presentino

secondo un’accezione in cui risulta prevalente l’aspetto dell’obbligo.

Ricoeur instaura un parallelismo tra i vari momenti dell’etica e della

morale; egli afferma: «Il rispetto è la stima di sé passata al vaglio della

norma universale e coercitiva, in breve, la stima di sé sotto il regime

della legge» .

25

Come il esplica il «dovere »?

26

Come abbiamo visto, nell’orizzonte etico il primo passo verso la

costituzione della vita buona è la stima di sé, che però nasconde

l’insidia e il rischio del narcisismo.

Kant, a tal proposito, ci insegna che ciò che ci impedisce di diventare

egoisti e narcisisti è la capacità di rendere universale la nostra azione

così come recita il suo primo imperativo categorico: «Agisci soltanto

secondo quella massima che, al tempo stesso, puoi volere che divenga

una legge universale» .

27

Questo è quel comando che prescrive di tenere presente gli altri e ci

ricorda che un comportamento risulta morale solo se la massima è

universalizzabile.

Qui si esplica il formalismo kantiano secondo cui la legge non ci dice

che cosa dobbiamo fare, ma come dobbiamo farlo: questo carattere

discende dall’incondizionatezza e dalla libertà della norma. La legge

morale non consiste in una casistica o manualistica concreta di

precetti, ma soltanto in una legge formale-universale, in un imperativo

23 P. Ricoeur, Etica e Morale, cit. p.50

24 Ivi p.72

25 P. Ricoeur, Sé come un altro , cit. p.315

26 Per Kant “il dovere è la necessità di un’azione per rispetto della legge”,

Fondazione della metafisica dei costumi , a cura di P. Chiodi. UTET, Torino 1986

,p.56

27 Ivi p.79 9

che si limita ad affermare: quando agisci tieni presenti gli altri e

rispetta la dignità umana che è in te e nel prossimo. Il criterio di

universalizzazione convalida la norma.

Al formalismo è inscindibilmente legato anche il rigorismo: Kant

esclude infatti dal recinto della morale emozioni e sentimenti, in

quanto inquinano la severa purezza dei precetti. Ricoeur sarà critico

nei confronti del rigorismo kantiano.

Prima di segnare il punto di rottura con l’etica, il filosofo francese

segna la continuità tra i due orizzonti: «chi porta il predicato buono è

ormai la volontà» . Questo punto di contatto è dato dal concetto

28

kantiano di volontà buona; Kant, nella Fondazione della metafisica

dei costumi, afferma: «in ogni parte del mondo, in generale, anche

fuori di esso, non è concepibile nulla di incondizionatamente buono

all’infuori di una volontà buona» . La volontà si definisce «dal suo

29

rapporto alla legge; essa è il luogo della questione: cosa debbo fare? ».

Ricoeur si muove all’interno di una razionalità pratica, cioè

nell’ambito di una ragione che vuole capire cosa fare quando si muove

e agisce nel mondo.

Mantenendosi sulla scia kantiana, Ricoeur stabilisce nell’autonomia il

punto di rottura tra il piano etico e il piano morale. L’autonomia,

kantianamente, designa l’indipendenza della volontà da ogni

desiderio, cioè si identifica con la libertà e auto normatività della

ragione pratica.

Qui emerge il problema dell’astrattezza del dovere, di cui Kant ne era

ben consapevole e cerca di correggere con al formulazione del

secondo imperativo categorico: «Agisci in modo da trattare l’umanità,

sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come

fine e mai semplicemente come mezzo» .

30

Secondo questo imperativo quando noi agiamo non dobbiamo trattare

gli altri come oggetto o come strumento per la realizzazione dei propri

fini, ma bisogna nutrire un grande rispetto nei loro confronti :

La forza dell’analisi kantiana è costituita dal fatto di aver connesso il

problema della persona a quello dell’obbligo, e quello dell’obbligo a quello della

31

ragion pratica .

28 P. Ricoeur, Sé come un altro, cit. p. 304

29 Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, Op. cit. p.49

30 Ivi p.88

31E. Lévinas, Il pensiero dell’altro, Edizioni Lavoro, Roma 2008, p.27

10

Sullo sfondo del concetto di rispetto, per Ricoeur, si staglia la

problematica dell’incontro tra me e l’altro.

Come abbiamo visto il ricorso alla norma si rende necessario nella

misura in cui si intende offrire un criterio di universalità che faccia

della prospettiva della vita buona non già un mero desiderio

individuale, come era nella filosofia aristotelica, ma l’obiettivo di una

volontà che, secondo l’ottica kantiana, deve essere sempre in rapporto

con la legge e con l’idea della vita buona in risposta al problema di

fondo dell’esistenza della tendenza al male, la quale di fatto impedisce

un uso corretto della libertà. Parimenti la sollecitudine, che secondo la

prospettiva etica rappresenta la forma di cura che doniamo all’altro, a

livello deontologico si configura più propriamente come rispetto

dovuto all’umanità e più in particolare alle persone assunte non come

mezzi per il perseguimento dei propri obiettivi ma come fini in sé:

Il rispetto dovuto alle persone non costituisce un principio morale

eterogeneo in rapporto all’autonomia del sé, ma ne dispiega, sul piano dell’obbligo,

32

della regola, la struttura dialogica implicita .

Ricoeur, come abbiamo visto, si rifà a Kant per regolare il desiderio

dell’uomo attraverso la norma: possiamo regolarci come persone

giuste quando le nostre azioni sono universali, cioè fanno il più

possibile meno male agli altri. Ma questo non basta.

Occorre pensare che attraverso la norma universale rispettiamo la

dignità di una persona, la valorizziamo e la guardiamo per quello che è

e non per quello che vorremmo costruire. Bisogna vedere l’altro con i

suoi limiti e i suoi difetti che io devo essere capace di accogliere:

«parlare di dignità significa limitare le mie pretese di oggettivare la

persona teoreticamente». Il limite che mi impedisce di fare questo è il

rispetto della sua dignità: devo sempre considerare l’altro come

diverso che porta con sé delle aspettative di vita che sono diverse dalle

mie.

Formulare il tema del rispetto della dignità della persona significa

correggere l’astratta autonomia kantiana, poiché ci troviamo davanti

all’altro e non lo possiamo scavalcare, non lo possiamo non prendere

in considerazione.

Quando agiamo, c’è sempre un altro a cui devo dar conto e devo

corrispondere; se non lo salvaguardo nella sua dignità un domani lui

farà lo stesso contro di me: rispettare la dignità dell’altro è anche un

modo per salvaguardare se stessi e la propria vita futura. Grazie a

questa elaborazione concettuale riusciamo ad accettare l’universalità

dell’amore, in virtù del fatto che ci riconosciamo no come monadi

32 P. Ricoeur, Sé come un altro, cit. p.319

11

isolate ma come agenti e/o patenti in un contesto inter-umano dove

siamo sempre in rapporto con e per l’altro. È dalla relazionalità

propria dell’essere umano che può avvenire il riconoscimento

reciproco, superando di volta in volta la conflittualità che può

generarsi. Questo può rappresentare una vera preventività dei conflitti

e dei sistemi di sopraffazione, in forza di un superamento del «potere

su», attivando una «relazione con».

Quindi «è perfettamente legittimo vedere nel rispetto kantiano la

variante della stima si sé che superato con successo l’esame critico di

universalizzazione» .

33

Infine anche il senso della giustizia acquisisce un significato nuovo se

letto secondo l

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Publisher
A.A. 2014-2015
20 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/03 Filosofia morale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher 25_kaiors di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia morale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Scuola Normale Superiore di Pisa o del prof Ricci Paola.