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Cedaw aveva adottato una raccomandazione speciale riguardante la violenza;
un anno dopo, mentre la Conferenza di Vienna ribadiva l'importanza di
lavorare per eliminare la violenza contro le donne negli ambienti pubblici e
privati, l'Assemblea Generale adottava una Dichiarazione ad hoc sullo stesso
tema. Per concludere, nel 1994 la Commissione delle Nazioni Unite sui diritti
umani aveva istituito una nuova figura, la Special Rapporteur per la violenza
contro le donne, allo scopo di indagare il fenomeno e monitorarne lo stato
attraverso rapporti specifici. Quanto accaduto a Pechino nel 1995 non è da
intendere perciò come un evento isolato, bensì va interpretato come frutto del
cambiamento già in atto e della transizione verso una maggiore
consapevolezza della violenza di genere e della sua gravità, soprattutto in
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relazione a quanto risultava assente dalla Cedaw. Nelle due conferenze di
Vienna e Pechino, in particolar modo in quest'ultima, il movimento delle
donne si dimostrò maturo e capace di creare un linguaggio universale con cui
ribadire che essere donna significava godere di eguali diritti inviolabili. Il
femminismo configuratosi a Pechino avrebbe utilizzato nuove espressioni,
destinate a far parte del dibattito internazionale, come empowerment, punto di
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vista di genere e mainstreaming ; allo stesso tempo, per la prima volta, le
differenze tra uomini e donne venivano considerate sotto una diversa luce: il
nuovo paradigma di azione delle attiviste proponeva di rintracciare i valori e i
diritti comuni in un'ottica di valorizzazione delle diversità di genere; si
doveva tener conto, ad esempio, delle difficoltà che le donne vivevano, nella
loro quotidianità, nel conciliare la carriera professionale con la cura delle
famiglia e l'educazione dei figli e, di conseguenza, si denunciava la necessità
di specifiche misure governative volte a rimuovere gli ostacoli di natura
burocratica e sociale. La correlazione tra il pieno raggiungimento dei diritti e
la violenza non è da sottovalutare: solo attraverso il riconoscimento di questi,
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infatti, le donne possono sottrarsi a quella vulnerabilità che da sempre le
rende più facilmente oggetto di discriminazioni e violenze.
4.2 E in Italia? La legge del 1996 e i primi studi statistici
Anche per l'Italia gli anni Novanta segnarono un crocevia degli assetti
giuridici e sociali riguardanti la tutela delle donne. Dal punto di vista
legislativo, in molti si chiedevano se fosse necessario approntare una nuova
normativa o se bastasse rivedere alcune delle leggi preesistenti. Sul fronte
della nuova legge contro la violenza sessuale, nel 1995, dopo che la questione
era stata rimandata e ―narcotizzata‖ dalla debolezza dei partiti di sinistra e
dalla cautela con cui la stampa nazionale suggeriva modifiche legislative,
molti dei partiti che ne avevano discusso le proposte si erano riconfigurati o
avevano cambiato nome; fu un gruppo di deputate donne a decidere di
riprovarci e a riunirsi per esaminare le ultime proposte di legge, quattordici,
arrivate in Parlamento. Dopo un'accesa discussione tra le forze politiche e sui
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maggiori quotidiani nazionali, la nuova legge venne definitivamente
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approvata nel 1996 con 339 voti favorevoli, 39 contrari e 15 astenuti.
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Come anticipato brevemente nel capitolo precedente, la novità più incisiva
del testo appena approvato consisteva nella classificazione dell'atto di
violenza come reato contro la persona: una trasformazione notevole rispetto a
quanto veniva stabilito dal Codice Rocco, approvato dall'omonimo ministro
nel 1930, che considerava tale condotta come reato contro la morale.
Silvia Governatori sottolinea nel proprio saggio che il Codice Rocco
―risent[iva] in larga misura della concezione fascista dei rapporti tra Stato e
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e della posizione della donna nella società.‖
società intermedie Quest'ultima
riflessione risulta chiarificatrice se applicata al contesto degli abusi domestici,
dal quale emergeva maggiormente l'assenza dello Stato e un generale
―astensionismo‖ che relegava i problemi famigliari nel campo privato.
E' la ―fluidità‖ della nozione di famiglia all'interno dell'ordinamento giuridico
italiano a determinare una situazione di ambiguità procedurale, sia in ambito
infatti, gli ―interventi
civile che penale: tanti e diversi erano, giudiziari
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possibili‖, e la confusione che ne derivava non aiutava a garantire alle donne
una pronta tutela giuridica. In altri termini, la risposta giudiziaria appariva
insufficiente, troppo lenta (spesso richiedeva anni), e priva di grande rilievo
nella storia dei protagonisti e delle vittime della violenza; l'applicazione della
bensì appariva ―incerta,
pena, inoltre, non era universalmente garantita,
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tardiva e defettibile‖, annullando di fatto la propria funzione di deterrente.
Le cause dell'inadeguatezza complessiva della normativa e soprattutto del
processo applicativo delle leggi erano molteplici, a partire dall'ambito civile.
tutt‘ora), in molti casi,
In tal sede, infatti, la violenza era (ed è il primo fattore
scatenante dei procedimenti di separazione, ma raramente essa riusciva
trapelare dagli atti; inoltre, la possibilità, prevista dal codice civile, di
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ricorrere al giudice per la regolazione delle situazioni di conflitto si annullava
di fronte ai casi di violenza, dal momento che questi raramente sottendevano
un conflitto vero e proprio, ma, all'opposto, si presentavano esclusivamente
come atti di affermazione di forza.
In sede penale, invece, la fase acquisitiva presentava grandi mancanze: da un
lato, molti episodi venivano appresi dagli organi di polizia esclusivamente
mediante i luoghi di pronto soccorso, quali «fatti accidentali» e per questo
privi di rilevanza penale; in secondo luogo, si registrava l'assenza di organi di
intervento specializzati e di precise modalità di previsione di intervento e di
registrazione delle denunce relative agli episodi di violenza tra le mura di
casa. A questo si aggiungevano poi la frammentazione delle fattispecie di
violenza domestica penalmente rilevanti e l'inclusione di quest'ultima sotto il
profilo dei delitti contro la famiglia, (in questo modo si escludeva lo spettro
delle diverse condotte illecite rivolte contro il singolo individuo).
Oltretutto, molte disposizioni risultavano di difficile applicazione: basti
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pensare all'articolo 572 del codice penale , diretto a preservare l'incolumità
psico-fisica della persona e la sua sfera morale ma scarsamente convertibile in
tutela concreta; per la configurabilità di tale reato, infatti, non erano
sufficienti sporadici episodi e, al contempo, era necessaria la presenza di una
molteplicità di comportamenti dello stesso genere, in ognuno dei quali si
sarebbe dovuta manifestare una chiara ed esplicita volontà di maltrattare
l'altro.
Infine, non bisogna dimenticare che la legge è scritta dalla mano dell'uomo:
gli interventi giuridici risentivano perciò inevitabilmente della convinzione
che ―l'intima essenza dei legami famigliari [sia] metagiuridica e difficilmente
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regolabile col ricorso al diritto‖, e le condanne dipendevano in larga misura
anche dall'interpretazione ideologica fornita da chi è preposto all'attività
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giurisprudenziale, come storicamente avvenuto per quegli articoli che
riportavano il termine uomo per indicare invece l'individuo, senza distinzione
di sesso alcuna.
Nonostante la nuova legge sulla violenza sessuale del '96, che recitava
―Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringa
qualcuno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque
a dieci anni‖ ed i successivi perfezionamenti (nel 1998 e nel 2001), il quadro
normativo italiano continuava a rappresentare ancora un ostacolo per le donne
che volevano denunciare la violenza domestica (in presenza di vincolo
coniugale o meno) e porre fine a tali circostanze. Tutto questo mentre nel
1991 la Conferenza sulla violenza fisica e sessuale contro le donne tenutasi a
Bruxelles concludeva che la maggioranza degli atti di maltrattamento ai danni
delle donne si svolgeva in ambito domestico ed era perpetrata dai famigliari
delle vittime; due anni dopo, la Dichiarazione sull'eliminazione della violenza
contro le donne, redatta dall'Onu, includeva nella definizione di violenza una
vasta gamma di fenomeni diversi, tra cui le pressioni psicologiche e le
limitazioni di diversa natura nella sfera pubblica e in quella privata,
espandendo lo spettro delle situazioni che andavano considerate come
violazioni della dignità e della libertà umana. La tendenza residua al ritorno
dei vecchi schemi si manifestò già nel 1994, quando venne avanzata la
proposta per una legge quadro del 18 aprile che intendeva attribuire alla
famiglia la natura di persona giuridica: un tentativo di riproporre i vecchi
rapporti di dominio vigenti nel sistema patriarcale.
Sul fronte dei dati, invece, il decennio portò qualche miglioramento: nel
rapporto del 1992, realizzato dall'Eurispes in collaborazione con
19
l'associazione Telefono Rosa, emersero, attraverso la raccolta di contatti
relativi a 12.000 nuclei famigliari, dati relativi alle esperienze di violenza
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domestica subite dalle donne sull'intero territorio nazionale; nel biennio 1997-
98 fu l'Istat ad includere nella sua Indagine sulla sicurezza dei cittadini un
modulo intitolato ―Molestie e violenze sessuali‖, rivolto alle donne di età
compresa tra i 14 e i 59 anni.
La stessa tipologia di indagine sarebbe stata effettuata nuovamente in una
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seconda tornata nel 2002. Dai risultati ottenuti nel 1997 si apprese che il
3,9% delle donne interpellate aveva subìto un tentativo di violenza sessuale o
uno stupro nel corso della vita; le percentuali confermavano inoltre che ad
essere colpevoli erano soprattutto amici e, in seconda battuta, conoscenti della
vittima, (nel 29% dei casi la violenza era perpetrata da un amico, nel 12,3%
da un conoscente mentre l'11,1% dei colpevoli era rappresentato da fidanzati
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o ex fidanzati). Altrettanto importante risultò il progetto pilota del 1998,
Rete antiviolenza tra le città Urban Italia, coordinato dal Dipartimento alle
Pari Opportunità e finanziato dal Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale
(FESR), nato allo scopo di
[…] indagare il contesto sociale, culturale ed istituzionale nel quale sorge e si sviluppa il
fenomeno della violenza contro le donne e la percezione che di esso ha l'ambiente
22
contiguo.
La ricerca Urban, svolta su campioni casuali di donne tra i 18 e i 59 anni in<