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L’EDUCAZIONE DEL BAMBINO SORDO
3.1. L’integrazione scolastica 38
In Italia i sordi sono circa l’un per mille della
popolazione. Non si tratta però di una categoria omogenea, anzi
dietro la parola sordo ci sono realtà molto diverse tra loro, ad
esempio i bambini nati sordi o divenuti tali entro i tre anni di
vita, cioè prima di avere acquisito completamente il linguaggio,
oppure diventati sordi dopo i tre anni; sordi figli di sordi e sordi
figli di udenti, sordi che conoscono la Lis e sordi che non la
conoscono: sordi rieducati al linguaggio con un metodo
esclusivamente orale; sordi rieducati con il metodo bimodale;
sordi esposti ad una educazione bilingue. A tutto ciò va
aggiunto: il grado di sordità; l’età della diagnosi e della
protesizzazione; l’iter riabilitativo e scolastico; oltre,
naturalmente ai fattori individuali, che costituiscono la
peculiarità di una persona, quali l’intelligenza, la personalità,
l’ambiente socio–culturale, le esperienze vissute, etc. L’elemento
comune a tutte queste Categorie e la necessità di comunicare
attraverso una lingua parlata e scritta che si impara solo dopo un
lungo iter logopedico, visto che non è possibile acquisire per i
sordi il linguaggio verbale in modo naturale, spontaneo e
completo . 39
La storia del nostro Paese, rispetto all’educazione dei
sordi, è caratterizzata, a differenza di quanto è avvenuto in altre
nazioni, da un scelta rigidamente moralista che per quasi un
secolo ha condizionato le scelte pedagogiche e didattiche. La
stessa legislazione scolastica che venti anni fa, mediante la legge
517/77, ha consentito ai sordi di frequentare le scuole comuni
insieme agli udenti, ha pesantemente risentito di questo retaggio
storico. Infatti, la possibilità lasciata alle famiglie dalla 517/77 di
scegliere tra scuola normale e scuola speciale teneva conto e
rispondeva alle diverse e molteplici situazioni che ci sono
nell’ambio della sordità.
La realtà ha fatto sì, però, che i genitori scegliessero per lo
più la scuola comune, senza che in essa fosse pienamente attuato
quel principio di flessibilità, che la circolare Falucci (1975)
aveva con tanta lungimiranza previsto, e che e l’unica garanzia
per un reale inserimento del sordo nella scuola di tutti .
La recente legge Bassanini, invece, sull’autonomia
sembra di riaprire questa possibilità, dando nuove opportunità
alle scuole di giocare la carta della flessibilità, cioè consentire di
adattare l’organizzazione scolastica e le strategie didattiche alle
40
esigenze peculiari dei sordi, di introdurre in modo capillare le
tecnologie, di utilizzare in ambito scolastico la lingua dei segni
quando lo studente è segnante. Più la scuola offrirà allo studente
sordo risposte diversificate, in modo da poter scegliere la
modalità comunicativa a lui più adatta, più sarà una scuola
adeguata a fare emergere le sue potenzialità.
Sull’altro versante, inoltre, a livello di suola speciale in
questi anni abbiamo assistito ad un duplice fenomeno: da una
parte le istituzioni non sempre hanno dato quei supporti
necessari a garantire una elevata qualità d’insegnamento,
dall’altra il confluire in queste scuole alunni pluri-handicappati
che trovano grosse difficoltà ad essere accettati dalla scuola
normale, ha finito in qualche modo per snaturare la didattica
speciale dei sordi che è la caratteristica e il punto di forza di
10
queste istituzioni.
L’inserimento dei sordi nelle scuole comuni è, comunque
meglio realizzato a livello di scuola materna ed elementare , sia
perché le esigenze comunicative dei bambini a questa età sono
10 Cfr., L. Amatucci, La scuola italiana e l’istruzione dei Sordi, 1995. In G. Porcari
Li Destri e V. Volterra (a cura di), Passato e presente: uno sguardo sull’educazione
dei Sordi in Italia, Napoli, Gnocchi. 41
meno complesse sia perché i contenuti scolastici sono più
semplici.
Nella scuola media inferiore, poi, pur essendoci realtà molto
diverse tra loro, l’impostazione interdisciplinare del lavoro alla
base di questo grado si scuola sembra favorire un approccio
globale nei confronti dell’alunno sordo. Egli viene visto nel suo
insieme, con le sue potenzialità e capacità, senza penalizzarlo nei
suoi limiti.
E’ nella scuola superiore di secondo grado e
nell’università, invece, che le problematiche irrisolte sono
maggiori. Da una parte assistiamo ad un incremento significativo
dei ragazzi sordi che si iscrivono nelle scuole superiori di
secondo grado, con prevalenza negli istituti professionali.
Dall’altra, recenti indagini hanno evidenziato che molti di loro
non riescono a raggiungere pianamente gli obiettivi scolastici,
questo per via dell’incapacità della scuola di dare loro le risposte
adeguate.
A livello universitario vi è inoltre una minima percentuale
di sordi che frequentano le lezioni , dà gli esami e si laurea tra
mille difficoltà. L’università, infatti, non sempre è sensibile e
42
sollecita nel dare gli strumenti tecnologici e le figure di
riferimento, come l’interprete di Lis, che possono aiutare lo
studente, anche se la legge 104 lo prevede. Il problema più
irrisolto nella scuola italiana in tutti i suoi ordini e gradi è quello
della comunicazione, l’accesso alla cultura, infatti, nella nostra
scuola avviene prevalentemente attraverso due canali: la lezione
frontale del docente e l’interrogazione come strumento di
verifica. Ambedue le modalità viaggiano esclusivamente sul
canale acustico verbale e penalizzano quindi lo studente sordo.
Numerose ricerche sia in Italia che all’estero hanno aperto nove
prospettive nell’educazione dei sordi mediante le tecnologie
(computer e sottotitoli) e la lingua dei segni, ma la scuola italiana
sembra ignorare tutto questo; anche la legge 104/92 ha aperto
nuovi orizzonti per i sordi, ma purtroppo rimane in gran parte
inapplicata.
In Italia il Comitato nazionale della Lingua dei segni
italiana, promosso dall’Ente Nazionale,preso atto della reale
situazione dei sordi all’interno delle scuole comuni, ha
identificato nel settore scuola alcune proposte da attuare a breve
e medio termine. 43
I punti presi in esame riguardano la scuola, nei suoi ordini e
gradi:
la formazione e l’utilizzazione di figure professionali udenti e
sorde;
la diffusione della Lis;
l’organizzazione scolastica;
l’apertura di uno sportello di informazione;
la revisione dei corsi di specializzazione;
il reclutamento degli insegnanti sordi.
Attualmente nella scuola gli alunni sordi sono aiutati dagli
insegnanti di sostegno che in genere sono udenti poco preparati,
sarebbe quindi necessaria una graduatoria a parte per gli
insegnanti di sostegni, che possono documentare di conoscere la
Lis e che venga richiesto da parte delle scuole un docente di
sostegno segnante, se la scuola ha alunni sordi che conoscono la
Lis. Sarebbe, inoltre, necessario organizzare corsi di Lis per
docenti e personale di segreteria e un’adeguata organizzazione
scolastica. 44
La situazione attuale, infatti, mostra che nella scuola c’è
un grande spreco di risorse umane e finanziarie dovuto al fatto
che i sordi, nelle città, si disperdono, iscrivendosi in scuole
diversi. Quando in una scuola arriva un alunno sordo, i docenti si
danno da fare per aggiornarsi sulle problematiche della sordità,
per trovare strategie didattiche vincenti. Quando incominciano
ad avere idee chiare , l’alunno sordo se ne va perché ha finito il
suo ciclo di istruzione, e probabilmente nello stesso tempo un
altro alunno sordo inizia in un’altra scuola dello stesso quartiere,
dove nessuno sa nulla della sordità. Sarebbe, dunque opportuno
che il Ministero inviti i Provveditorati ad individuare alcune
scuole, considerate scuole di riferimento dove indirizzare i sordi
e di inserire gli alunni sordi nella stessa classe ciò porterebbe ad
un minore isolamento da parte del sordo e nello stesso tempo ad
un aumento del monte orario di sostegno coprendo così tutte le
ore di lezione, ma anche creando ore pomeridiane di
approfondimento solo per i sordi.
La questione dell’educazione dei sordi è, dunque,
certamente un grosso problema per la scuola comune, che troppo
spesso si trova ad affrontarlo senza le necessarie conoscenze e
45
soprattutto senza gli opportuni interventi specialistici. Se
vogliamo che nel tempo il sordo possa raggiungere quelle mete
che le sue capacità gli permettono, si deve intervenire bene e
subito fin dalla primissima infanzia. Da tempo si sa che solo
attraverso un intervento precoce e mirato attraverso una
interazione tra famiglia , scuola e specialisti è possibile eliminare
le interferenze della sordità; solo così il sordo potrà inserirsi nel
mondo sociale lavorativo .
La scuola, con il personale e tutti gli strumenti didattici e
tecnologici disponibili deve dare al sordo quanto la sordità gli
impedisce d’apprendere e di verificare personalmente. La scuola
deve innanzitutto saper comunicare con il non udente , aiutarlo
ad integrarsi e motivarlo negli studi e negli apprendimenti.
3.2. Perché usare i segni? 46
Una prima risposta a questa domanda riguarda l’aspetto
socio–affettivo e lo sviluppo cognitivo del bambino. Per
imparare a parlare il bambino sordo, infatti, deve essere
sottoposto ad una terapia logopedica che può durare anche dieci
anni, ed a una precoce protesizzazione. Questo apprendimento
richiede tempi lunghi, un impegno costante ed una grande fatica
da parte del bambino e della sua famiglia. Nel frattempo il
bambino cresce e nonostante la terapia logopedica sia già in atto,
ha comunque difficoltà a comunicare, a ricevere informazioni
dall’ esterno ad interagire con il mondo circostante.
La seconda risposta riguarda la possibilità che i segni
offrono di migliorare l’apprendimento scolastico ed evitare che
al deficit sensoriale si aggiunga un ritardo sul piano cognitivo e
problemi psicologici. Infatti, per i bambini sordi il tempo è
sempre poco per riuscire a colmare tutte quelle lacune che
derivano dalla mancanza dell’udito. Molto spesso l’insegnante si
trova in qualche modo costretto a semplificare la lezione, ma ciò
vuol dire anche impoverire e difficilmente la persona sorda potrà
recuperare in altri contesti le informazioni mancanti. Una
spiegazione in segni