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FATTORI DI RISCHIO FATTORI PROTETTIVI

Gravità delle situazioni di rischio Risorse personali Risorse sociali

separazioni, uso di droghe o intelligenza, orientamento agli supporto sociale

alcool, problemi economici obiettivi percepito 18

Sempre gli stessi autori (2003) hanno individuato con studi di meta-analisi i tre fattori

cruciali che possono ergersi come fattori protettivi o come fattori di rischio, nella

concezione relativistica di questo quarto momento evolutivo per lo studio del

comportamento criminale: essi sono l'autoefficacia, l'autostima e la comunicazione

all'interno dell'ambiente familiare. Questi tre fattori e la loro interazione risulta quindi

determinante nella genesi della criminalità o nella sua nemesi.

Uno studio riassuntivo più completo è stato portato a termine da De Leo e Togliatti

(2000) che individua molte dimensioni che possono fungere da rischio o da protezione:

 Coping: già rilevato da Wills e Cleary (1996), indica quell'insieme di abilità e

competenze messe in atto per affrontare i problemi e le difficoltà evolutive.

Coping protettivi sono costituiti da mediatori individuali e relazionali, per una

ricerca alternativa di risoluzione del problema;

 Autoefficacia: già presentata da Barbaranelli e colleghi (1998), la sua minor

presenza rende più facilmente vulnerabili gli individui, che si lasciano trascinare

più facilmente verso comportamenti trasgressivi;

 Disimpegno morale: strategie cognitive utilizzate per svincolarsi dalle norme e

dalle responsabilità (Bandura, 1995); l'individuo può disattivare i legami

normativi della propria condotta annullando la percezione del danno e del senso

di colpa;

 Monitoring: adulti di riferimento che controllano le nostre azioni possono

fungere da fattore inibitore per le condotte devianti oppure all'opposto da fattore

censore da dover combattere e a cui ribellarsi;

 Autoefficacia collettiva: le convinzioni condivise da gruppi sociali come scuola

o famiglia determinano i comportamenti all'interno degli stessi contesti e dunque

influenzano le azioni dell'individuo che apprende dei modelli di comportamento;

 Famiglia: la coesione, ovvero la qualità e l'intensità dei legami affettivi tra i

membri della famiglia, agisce come fattore di rischio o protettivo. Essa rimanda

ai confini e agli interessi intergenerazionali e all'adattabilità, ovvero la capacità

del sistema familiare di modificare le proprie regole in funzione dei diversi

momenti evolutivi (De Leo, Patrizi, 2002); 19

 Condivisione esperienze: il livello socio economico e il quartiere di residenza

sono fattori condivisi, mentre la diversità dei rapporti tra i genitori e i diversi

figli è un esempio di fattore non condiviso;

 Genitori e amici: anche il rapporto tra queste figure di riferimento sembra

correlare con il comportamento deviante: tanto più i genitori sono a conoscenza

e in buoni rapporti con gli amici della persona in questione e tanto più ciò sarà

un fattore protettivo.

 Gruppo dei pari: sono due le funzioni che correlano col comportamento

deviante, la prima è la cultura instaurata all'interno del gruppo stesso: essa tende

ad influenzare i comportamenti collettivi e individuali anche all'esterno del

gruppo. La seconda è l'orientamento della leadership all'interno del gruppo: che

obiettivi pone, che rapporto c'è tra i membri e come essi agiscono insieme nei

diversi contesti.

L'ultimo studio riassuntivo che voglio proporre è quello di Dodge e Zelli (2000): esso si

pone l'obiettivo di individuare i fattori predittivi per il comportamento violento,

distinguendo tra aspetti prossimali, riconducibili a processi cognitivi ed emotivi che si

sviluppano nel corso delle interazioni sociali e fattori distali che predispongono le

condizioni affinché si possa verificare un comportamento antisociale. Questo studio

incrociato al modello di De Leo e Togliatti (2000) ci dà uno schema esaustivo e

rappresentativo dei fattori di rischio e di protezione per il comportamento criminale, in

questa quarta ed attuale fase evolutiva: 20

De Leo (2003) suggerisce che un approccio comunicativo sia ideale per lo studio della

devianza, soprattutto per quella minorile: la criminalità è una delle possibilità di

comunicazione per gli adolescenti e ha l'effetto di amplificare un disagio, di affermare e

difendere un'identità e instaurare rapporti e relazioni interpersonali.

3.3 Uno studio sul comportamento antisociale in adolescenza

Vieno, Santinello e Pastore (2008) hanno condotto uno studio per verificare la bontà del

modello di Patterson (1992) sullo sviluppo del comportamento deviante durante

l'adolescenza: tale modello considera la famiglia come il contesto privilegiato per

l'apprendimento di credenze, atteggiamenti e valori che si ripercuotono sul contesto

sociale normativo. Specifici rapporti e dinamiche familiari adottate durante l'infanzia

hanno implicazioni sullo sviluppo precoce di comportamenti aggressivi ed oppositivi:

essi sono dei sintomi prodromici di processi destabilizzanti che possono sfociare in

comportamenti e carriere devianti.

Specificatamente, alcuni modelli genitoriali inappropriati e incoerenti che tendono a

mantenere ed alimentare i normali conflitti che possono crearsi, hanno come possibile

conseguenza un disinteressamento per le attività degli adolescenti, un'increspatura nel

rapporto con questi ultimi e una diminuzione del controllo delle loro attività. Una

possibile conseguenza è la frequenza di comportamenti antisociali: l'insorgenza di

future problematiche è quindi in parte dovuta alla rigidità ed all'applicazione incoerente

della disciplina con scarsa supervisione come contorno (Patterson, 1992).

t2

t1

conflitti scarsa

familari conoscenza

genitori comportamenti

antisociali

scarso

sostegno frequentazione

genitori pari devianti 21

Il campione preso in considerazione era costituito da 150 preadolescenti di età compresa

tra 11 e 14 anni, facenti parte al 95% di famiglie "tradizionali", con entrambi i genitori.

Lo strumento utilizzato è un questionario composto da 5 scale, in evidenza nel modello

di Patterson (1992). Senza addentrarsi in calcoli che non interessano ai fini di questo

elaborato, è risultato più alto il coefficiente di correlazione di 0.49 tra la frequentazioni

di pari devianti e i comportamenti antisociali. Il risultato atteso è stato confermato, in

quanto il modello ha permesso di spiegare il 27% della varianza dell'assunzione di

comportamenti devianti: è quindi dimostrato come l'antisocialità trova terreno fertile

nell'alto livello di conflittualità che i ragazzi vivono all'interno del contesto familiare.

3.4 La prevenzione

Un importante contributo come fattore protettivo può essere fornito da interventi di tipo

preventivo: come sarà possibile verificare i risultati di essi? Devo accertarmi che il

comportamento in questione non si verifichi: se il risultato è quindi latente, come posso

verificarlo empiricamente? La prevenzione in realtà non si riduce ad una risposta a

quest'ultima limitata domanda: essa include una fase valutativa che si protrae come

processo di ricerca finalizzato a svolgere il proprio compito nel mentre dell'attuazione

della stessa valutazione. Questo significa che la fase valutativa e preventiva si può

progettare solo in parte inizialmente, ma si struttura con continue correzioni,

aggiustamenti e feedback ricevuti durante lo svolgimento stesso delle sue funzioni: la

valutazione non è solamente una fase ultima dell'intervento, ma è parte integrante dello

stesso (De Leo, Patrizi, 2006).

La prevenzione è distinta in 3 livelli:

 primaria: vuole eliminare o ridurre le cause da cui si può sviluppare il

comportamento deviante: può consistere in generali interventi di promozione del

benessere, aumentando le potenzialità dei fattori protettivi;

 secondaria: si basa sul riconoscimento precoce di potenziali soggetti a rischio

di devianza e sull'attivazione di interventi volti a ridurre il loro coinvolgimento

in attività delinquenziali;

 terziaria: si attua a posteriori, con il tentativo di riparazione e di evitamento di

una recidiva. 22

Un esempio di prevenzione terziaria viene dal progetto Freagarrach attuato in Scozia nel

1995 (De Leo, Patrizi, 2006): esso riguarda un target adolescenziale e lo specifico

contesto di appartenenza; grazie alle risorse comunitarie si è posto l'obiettivo di evitare

che giovani già segnalati alla giustizia potessero ricadere negli stessi errori. La strategia

è stata quella di coinvolgere uno staff preparato, che trovasse collaborazione con scuola,

polizia, tribunale, servizi sociali e altre risorse comunitarie, con un approccio

individualizzato al problema della devianza, mantenendo la famiglia come punto

cardine per il successo del programma. La partecipazione era volontaria, essendo la

motivazione una componente fondamentale per la riuscita del progetto. Lo stile adottato

sottolinea le caratteristiche positive dei ragazzi, condannando le loro azioni, non loro

stessi: concretamente il progetto prevedeva incontri, nei quali i ragazzi tramite giochi di

ruolo, prove simulate, incontri con membri di istituzioni diverse e soprattutto una

mediazione "autore di reato - vittima", prendevano consapevolezza del danno arrecato.

La multiassialità del coinvolgimento delle istituzioni e la competenza dello staff furono

determinanti per ridurre il rischio di ricaduta, rimarginando inoltre la rottura creata tra la

società e il deviante, inserendolo in una stretta collaborazione con la comunità. Il

progetto contava una partecipazione di 121 ragazzi tra i 12 e 16 anni, i quali nei 12 mesi

precedenti al progetto, commisero un minimo di 5 reati; i risultati furono incoraggianti

nel breve termine, il solo di cui si hanno avuto notizie: le denunce diminuirono del 15%

nei 12 mesi successivi al trattamento e solamente un quarto dei ragazzi dopo tre anni

furono condannati al carcere. In generale, si ebbe una diminuzione della gravità dei

reati. 23

CONCLUSIONI

Con questo ultimo capitolo si sono date risposte più precise rispetto alle molte domande

sull'origine del comportamento criminale; riprendendo l'introduzione, questo elaborato

ha mostrato brevemente un'evoluzione nel tempo degli studi e delle teorie in merito, con

una metamorfosi della concezione stessa di devianza e azione delittuosa. Il testo

evidenzia come si sia arrivati fino ad una concezione odierna di comportamento

criminale: multifattoriale, circolare e sequenziale, in cui non si possa prendere come

assioma nessun con

Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
28 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/08 Psicologia clinica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher feudatari_3r di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicologia e criminalità e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Padova o del prof Nucci Massimo.