M=
prosequente Caecilio arva officialia (mss A O R)
prosequente Caecilio arva officiale (mss Q R)
prosequentem Celio arum officialem consolatus (P)
prosequentem Celio arum officialem consolatur (C)
35
N=
prosequente Cicilio arva milite (E F)
Da notare che il testo di Madrid, pubblicato da P.Garcia Villada e riprodotto dal
De Gaiffier non contiene queste ultime parole della proposizione. Knopf aveva
sostituito la parola arva con acta nella sua seconda edizione; ma gli fu
giustamente rimproverato di averlo fatto “inavvertitamente e per congettura”. Da
parte sua, il Delehaye non ha cercato di emendare il passaggio, accontentandosi
di dichiararlo come locus corruptus. Carcopino ha visto bene l’importanza degli
Atti di S.Marcello per la storia dell’Africa del nord. Infatti egli ha tradotto in
francese il documento integrale nel libro che egli ha dedicato al Marocco
romano. Ora si ha la sorpresa di constatare che il passaggio considerato dal
Delehaye irrimediabilmente corrotto non ha affatto imbarazzato il traduttore.
Ecco come egli lo traduce : “ Io investirò del tuo caso il mio capo… sotto la
guida di Cecilio Arva, incaricato militare (segretario di stato maggiore)”. E una
nota arriva fino a metterci in guardia contro qualsiasi velleità di emendazione :
“M da’ prosequenti Caecilio Arva officiale o officialia e N prosequente Caecilio
Arva milite. E’ chiaro che Arva, nome spagnolo di città, è il cognomen di questo
notaio militare e non è il caso di apportarvi una correzione”. Altri critici hanno
ammesso ugualmente che Arva poteva essere un nome di persona, derivato da
quello della città di Betica. Pertanto non si tratta di una semplice congettura e,
quel che è peggio, inverificabile? Per cominciare, bisognava essere sicuri della
lettura della parola. Ora la nota audace che abbiamo letto non parla che di
varianti minori. Quando si prende conoscenza di tutte le lezioni registrate dal
Delehaye si diventa per forza più circospetti. Al posto di arva, un manoscritto
così autorevole come il Parisinus 17002 del X secolo(=P) legge arum . Più grave
ancora : questo stesso codice aggiunge la parola consolatus e il Parisinus 3908 A
(=C) ,consolatur. Benché sconosciute dagli altri manoscritto, queste lezioni non
possono essere scartate senza una parola di spiegazione. Se il passaggio non è
intelligibile in P e in C, è molto rischioso affermare che esso lo è negli altri
testimoni, allorché il loro testo sembra risultare piuttosto dall’omissione di una
parola fastidiosa (consolatus) e dalla trasformazione di un’altra (arum, o qualche
parola analoga, in arva). In verità, sarebbe perfettamente ozioso discutere oltre di
congetture così poco fondate, poiché disponiamo di un mezzo sicuro per
emendare il passaggio. Bisogna insistere, in effetti il Delehaye aveva ragione: il
testo è effettivamente corrotto in quel punto e, per fortuna, il manoscritto che ci
da’ la prova decisiva di questa alterazione ci offre nello stesso tempo il mezzo
per rimediarvi. Accanto alla tradizione diretta , la Passio di Marcello possiede,
abbiamo detto, una tradizione indiretta che è importante non trascurare per
stabilire il suo testo. E’ dunque opportuno che il Delehaye ha pubblicato in
appendice agli “Actes de S.Marcel le centurion” la Passio dei SS. Marcello e
Apuleio di Capua che ha fuso in uno solo i racconti relativi a tre santi dallo stesso
nome: “ Marcello romano, Marcello di Capua e Marcello di Tangeri”. Soltanto
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che questa fusione è stata fatta mediante un “procedimento puerile” consistente
nel giustapporre diversi racconti senza unificarli, ma con questa conseguenza
fortunata di conservarci, più o meno senza ritocchi, il testo dei documenti
utilizzati.Il manoscritto della Passione di S.Marcello di Tangeri, così plagiato, era
sensibilmente più antico di qualunque di quanti ci sono stati conservati, poiché il
Farfensis 29 che ci ha trasmesso il libello realizzato a gloria del martire di Capua,
è esso stesso più antico di tutti. Perciò il documento, che non offre affatto
interesse per l’agiografia, presenta al contrario un’importanza primordiale come
testimone della Passio del nostro martire. Un tale giudizio di valore può essere
formulato a priori in qualche modo. Lo sarà senza dubbio in maniera più evidente
per tutti se, in un caso come quello che trattiamo qui, il Farfensis da’ la soluzione
di un problema insolubile con lo studio della sola tradizione diretta. Vediamo
dunque come questo passaggio, attualmente incomprensibile, era letto dall’autore
della Passio Marcelli et Apulei. La decisione del giudice Fortunatus vi è
formulata come segue: “ Fortunatus praeses dixit: “Temeritatem tuam
dissimulare non possum, et quamvis poteram te pro his examinare suppliciis
tamen referam hoc imperatori et caesari : ipse vero sane transmitteris ad
dominum meum Aurelianum Acriculanum agentem vices praefecti praetorio,
prosequente vero Caecilio armatus officiale consularitatis”. I procedimenti
dell’agiografo di Capua appaiono chiari: egli trascrive servilmente la Passio di
S.Marcello di Tangeri aggiungendovi talvolta una riflessione di suo, per esempio
: et quamvis poteram te pro his examinare suppliciis. Tutto il resto è testualmente
e integralmente ripreso dal modello. Ciò che vale molto evidentemente in
particolare per l’ultimo membro della frase: “prosequente Caecilio armatus
officiale consularitatis”. Basta leggere questa frase per essere convinti della sua
autenticità. Essa non ha potuto essere congetturata a partire da un testo come
quelli che ci hanno trasmesso i testimoni diretti della Passio di S.Marcello: non
soltanto una tale correzione sarebbe stata estranea alle preoccupazioni
dell’agiografo di Capua e totalmente al di sopra delle sue capacità, ma essa non
avrebbe potuto essere proposta da alcuna supposizione, quantunque geniale,
poichè il testo che si legge nel Farfensis è estremamente vicino alle tracce
conservate da certi manoscritti della Passio Marcelli, interamente soddisfacenti
per il senso e di una perfetta tecnicità di espressione. Che significa in effetti la
decisione del giudice ? “transmitteris”, dichiara Fortunatus, “ sarai trasferito” al
tribunale del vice prefetto del pretorio (che allora aveva sede a Tangeri),
“prosequente Caecilio”, cioè “scortato, affidato per il viaggio alla custodia di
Caecilius”, nella sua qualità di “officialis”, di ufficiale, cioè funzionario dell’
armatus consularitatis . Come ci si poteva aspettare, Caecilius è dunque il
rappresentante di una giurisdizione che dispone di certe forze armate (armatus);
ma quale? Qui appare tutto l’interesse della lezione conservata dal Farfensis di
cui i Parisini avevano conservato delle tracce ad esso riconoscibili (consolatus e
consolatur). La parola consularitas è, come dice il dizionario Forcellini, l’astratto
di consularis, preso nel senso di “governatore di provincia”. Quest’uso è il più
usuale nel Codice Teodosiano. Poichè il governo di certe province era affidato a
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dei consulares, un legame particolare si è stabilito nella terminologia
amministrativa tra la consularitas e il potere provinciale. E’ questo il motivo per
cui il biografo di sant’Ambrogio ha potuto scrivere del suo eroe: “consularitatis
suscepit insignia, ut regeret Aemiliam Ligureamque provincias” . Tuttavia la
Notitia Dignitatum ha notato: “Aegyptus consularitatem non habet”. E il testo
seguente di una iscrizione, pubblicata dal Fabretti, dimostra a che punto
consularitas era diventato sinonimo di “governo provinciale”: Honoratianii…
Honoratiano…patrono Officium sedis consularitatis provinciae Numidiae
clientele voto statuae ornamenta locavit”. E’ in base a quest’uso che bisogna
chiaramente comprendere il nostro passaggio degli Atti: Caecilius è un
“funzionario delle forze armate del governo provinciale”. Si sa tuttavia che, verso
la fine del III e all’inizio del IV secolo, c’è da distinguere tra i governatori di
rango equestre (semplici praesides) e i governatori di rango senatoriale, più rari,
che sono i soli ad avere il titolo di consulares. Perciò una domanda potrebbe
essere posta a proposito del nostro testo: vuol dire che ha il rango di consularis il
governatore della provincia in cui Marcello ha commesso il suo delitto? La qual
cosa, in caso affermativo, potrebbe aiutarci a risolvere il difficile problema delle
origini del martire. Gli stessi Atti danno una risposta; essa è negativa. Fortunatus,
in effetti, vi figura non come un consularis, ma come un semplice praeses. Il suo
superiore gerarchico parla del suo rapporto qualificandolo come acta praesidalia
o praesidis . Bisogna dunque resistere alla tentazione di basarsi sulla menzione
della consularitas per dedurne il rango occupato dalla provincia e dal suo
governatore nella gerarchia amministrativa del tempo. D’altra parte, se si fa
attenzione, la terminologia usata dagli Atti di S.Marcello si ritrova nel Codice
Teodosiano . E’ facile constatare che oltre ai passaggi in cui il termine
consularitas designa la “dignità consolare” , ve ne sono altri in cui designa “la
funzione di governatore di provincia” e, cosa che è particolarmente degna di
nota, questa funzione in generale, senza riguardo ai gradi che distinguevano i
governatori in semplici praesides e in consulares . Ecco, per esempio, il testo di
una legge di Arcadius e di Honorius, dell’anno 400 : “ Eos qui consularitatis
functi sunt dignitate, comitibus italicianorum et gallicianorum iure praeferimus;
ut si quidem haud exiguus sit titulus meritorum regere et gubernare provincias”
(Cod.Theod. VI, XIX). I giuristi che hanno organizzato il codice non hanno
esitato a intitolare questa prescrizione “De consularibus et praesidibus”, prova
che ai loro occhi i praesides o governatori di rango equestre erano ugualmente
“investiti della consularitas”. Dunque questo termine designava proprio la
funzione di governatore o anche il governo provinciale, senza riferimento al
grado preciso di colui che l’esercitava. Si può del resto pensare che quello era un
uso legato alle abitudini molto prima dell’estensione metodicamente data alle
province di secondo rango da Diocleziano e da Costantino: parlando della
consularitas, i provinciali intendevano il potere proconsolare romano che le
reggeva, senza occuparsi delle differenze gerarchiche, d’altra parte variabili, che
interessavano solo i de
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