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LA CARTIERE BURGO NEL DOPOGUERRA: EPURAZIONE,
CRISI E RISTRUTTURAZIONE
Che cosa abbia significato per la Burgo la situazione venutasi a creare con
l’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale è inevitabilmente visibile dalle
cifre. La produzione, che nel 1941 ammontava ancora a 1.250.000 quintali,
scendeva progressivamente e alla fine della guerra risultava più che dimezzata,
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tanto che nel primo anno di pace, il 1946, l’azienda riusciva a malapena a
raggiungere i 530.000 quintali, mentre per ritrovare i maggiori livelli anteguerra si
sarebbero dovuti attendere i primi anni Cinquanta. Vista dall’esterno, la situazione
della Burgo non era, però, diversa da quella che si poteva trovare nella maggior
parte delle aziende italiane. Soprattutto di quelle operanti nell’Italia settentrionale,
per le quali, ai danni provocati dall’azione bellica si accoppiavano la difficile
convivenza con l’occupante germanico e i contraccolpi provocati dalla
ristrutturazione dell’apparato industriale indotta dalle iniziative di legislazione
sociale del partito fascista repubblicano, che cercava per questa via di recuperare
la purezza rivoluzionaria delle origini, confidando che ciò servisse ad assicurargli
la sopravvivenza. Per questi aspetti, anche la Burgo dovette lamentare un pesante
bombardamento, nell’autunno 1942, sullo stabilimento di Verzuolo, la cui attività
restò paralizzata per circa sei mesi. Nello stesso periodo anche la sede torinese di
piazza Solferino, che l’Arcivescovo Cardinal Fossati aveva inaugurato appena due
anni prima, veniva gravemente danneggiata, comportando lo sfollamento a
Verzuolo dell’intera Direzione Generale con i suoi 200 impiegati. La guerra portò
anche problemi d’approvvigionamento delle materie prime, carenza di tecnici e
specialisti, richiamati al fronte, e pesante contrazione dei consumi rendevano
insostenibile la situazione, comportando nei fatti la paralisi produttiva. Basti
pensare che all’inizio del conflitto la produzione dei quotidiani debba aumentare,
in conseguenza di una maggiore diffusione, per poi diminuire drasticamente ad
otto, poi sei, quattro per arrivare ad una pagina nell’ultimo periodo di guerra. La
materia prima più carente era la cellulosa che rendeva pressoché impossibile
proseguire la produzione. Negli ultimi anni precedenti il conflitto, grazie alle
iniziative promosse dalla politica autarchica, la produzione nazionale era andata
aumentando sensibilmente, sino a raggiungere nel 1941 un picco di produzione di
900.000 quintali, che rappresentavano però sempre una quota modesta del
fabbisogno totale. Negli anni successivi tale quota era bruscamente discesa, al
punto che nel 1946 la produzione nazionale rappresentava a malapena un terzo di
. L
quella anteguerra e difficoltà maggiori, in questo caso, non derivavano tanto
dalla carenza di materia prima, che, pur non abbondante, avrebbe potuto
consentire alla produzione di attestarsi sui maggiori livelli raggiunti. I problemi
erano legati a condizioni generali di degrado della situazione industriale, sulla
quale pesavano negativamente le difficoltà d’approvvigionamento di combustibili
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e la pesante riduzione nella produzione d’energia elettrica. Basti pensare che dai
20 miliardi di kwh del 1942, nel breve volgere di due anni si era scesi al di sotto
dei 14 miliardi, riuscendo a malapena a produrne 13,5. Naturalmente anche la
classe operaia non stava a guardare. Ci furono molti scioperi nei vari stabilimenti
del gruppo che di certo non aiutava la situazione già critica. In generale, anche per
la Burgo, come per le altre aziende, durante la guerra si possono individuare due
periodi ben distinti. Un primo periodo, che va dalla dichiarazione di guerra sino
all’autunno del 1942, durante il quale gli andamenti produttivi si mantengono,
nonostante tutto, accettabili e la gestione delle aziende non si discosta dalla
normalità, sia pure una normalità condizionata dallo stato di belligeranza. In
questo periodo si riesce ancora a portare a compimento la realizzazione della
CELDIT, dalla quale tuttavia proprio nel 1942 la Burgo uscirà, recuperando,
completamente modernizzato, lo stabilimento di Mantova, a suo tempo conferito.
Sempre nello stesso anno, in ottemperanza alle disposizioni del nuovo codice
civile, appena entrato in vigore, la Società Anonima Cartiere Burgo si trasforma in
“Cartiere Burgo SpA”. Quanto alla produzione complessiva, essa raggiunge
ancora i 960.000 quintali: un quantitativo che, dati i tempi, può essere considerato
soddisfacente. Nel secondo periodo, invece, il quadro cambia completamente.
Come per le altre aziende non impegnate direttamente nelle produzioni belliche,
che quindi non beneficiano delle assegnazioni di materie prime e semilavorati,
anche per la Burgo la situazione tende rapidamente a deteriorarsi, tanto che per il
triennio 1943-45 non esistono dati attendibili di produzione. Fra la caduta del
fascismo e la successiva costituzione della Repubblica Sociale Italiana, durante il
governo Badoglio, però s’innestò una crisi personale per Luigi Burgo. Egli, il 10
novembre 1943, veniva invitato dal prefetto di Cuneo a recarsi a Verona per
conferire con il ministro degli Interni Buffarini Guidi. Qui, dopo un’attesa di tre
giorni, veniva arrestato e rinchiuso nel carcere degli Scalzi, dove già erano ospitati
i congiurati del 25 luglio. Caduto Mussolini, in quel periodo di incertezza, ma
anche di indecisione e ambiguità, che precedette l’armistizio, egli era stato
sospettato di collusione con le forze germaniche nell’intento di restaurare il
regime fascista. L’accusa era seria e avrebbe potuto condurre alla fucilazione di
Burgo, come per gli altri traditori, ma le prove a suo carico non erano
fortunatamente convincenti. Neppure l’autodifesa di Burgo però fu convincente,
probabilmente la verità stava nel mezzo. Sul finire del 1942, prima dei grandi
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bombardamenti che l’avrebbero gravemente danneggiata, si era tenuta presso la
sede torinese della Burgo una riunione con i rappresentanti dei maggiori
quotidiani, nel corso della quale si era convenuto di costruire a Mantova una
Cartiera sociale in grado di assicurare ai giornali carta per ogni eventualità. Non è
improbabile che, in quella sede, siano state fatte considerazioni sulla capacità di
tenuta del regime e sul modo di superare le difficoltà che sarebbero derivate da un
suo disfacimento. Del resto, risale proprio a quel periodo il progressivo divorzio
dal fascismo della grande industria, specie di quella piemontese e la ricerca di
soluzioni magari un “fascismo senza Mussolini” in grado di assicurare l’uscita dal
conflitto senza eccessivi sconvolgimenti politico-sociali. La permanenza in
carcere, infatti, durò solo pochi mesi, con la scarcerazione che avvenne il 14 aprile
del 1944 per estraneità dei fatti. Questo non fu sufficiente per ritornare alla
normalità operativa. Egli aveva intrattenuto rapporti con formazioni partigiane,
per eventuali scenari futuri, ed era visto con sospetto dalle autorità germaniche,
per questo, per alcuni mesi, dovette condurre una vita defilata e alcune volte sotto
falso nome. Rientrato in azienda nel settembre del 1944, doveva far conto con i
numerosi scioperi di quel periodo, in quanto Mussolini tornato al potere, sempre
meno sostenuto dagli industriali, cercò consenso tra gli operai, ripristinando le
Commissioni interne, forme di rappresentanza sindacale che egli stesso aveva
soppresso. Inoltre il nuovo decreto sulla socializzazione delle imprese, tra cui
rientrava la Burgo, emanato dal governo cambiava tutto. La socializzazione
prevedeva l’emanazione di un nuovo statuto con l’introduzione nel Consiglio di
Gestione di una parte rappresentativa dei lavoratori mentre il presidente veniva
”.
designato “Capo dell’Impresa Tutto questo doveva avvenire con il consenso del
CLN regionale, organo non solo clandestino ma addirittura fuorilegge. Il
Consiglio di Gestione entrò in funzione il 10 gennaio 1945, ma i giochi ormai
erano fatti, e per quanto i poteri conferiti a Burgo furono superiori a quelli di cui
aveva goduto in precedenza come presidente, la brevità del tempo che ancora
rimase non gli consentì di utilizzarli efficacemente. Nel breve periodo che separò
l’avvio della socializzazione dalla Liberazione egli non poté far altro che gestire
l’emergenza. Burgo qualche mese prima, aveva informato il consiglio di
amministrazione delle gravi difficoltà della produzione degli stabilimenti. In
particolare a Corsico, Mantova e Germagnano erano stati requisiti dalle autorità
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notevoli quantitativi di carbone necessari per la produzione . Con la
Liberazione, lo scenario cambia nuovamente. Aboliti i decreti sulla
socializzazione, la Giunta Regionale di Governo per il Piemonte, con suo decreto
del 7 maggio 1945, nominava per la Burgo una Commissione Straordinaria di
Gestione. Nel frattempo, su decisione del CLN aziendale della Cartiera di
Verzuolo, il 16 maggio 1945 Luigi Burgo era deferito all’Alta Corte di Giustizia,
per avere contribuito col voto “al mantenimento del regime fascista e a rendere
possibile la guerra”. La condanna inflittagli dall’Alta Corte, che sanciva la revoca
della sua nomina a senatore, ebbe ripercussioni, oltre che sul piano personale,
anche su quello aziendale. La decadenza da senatore comportava, infatti, anche
l’inibizione a ricoprire l’amministrazione di imprese con capitali superiori ai 5
milioni e il sequestro dei beni. Con la fine della guerra, il nome di Luigi Burgo
non comparirà più fra i componenti dei consigli d’amministrazione dell’azienda
da lui creata. Il 30 giugno 1946, dietro ricorso dell’interessato, l’Alta Corte di
Giustizia annullò le accuse che avevano determinato la decadenza di Burgo dal
Senato. Di fatto, però, Luigi Burgo perse il ruolo, rientrando come capo della
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società nel 1953, ma solo come presidente onorario a vita .
Quella che esce dalla seconda guerra mondiale è dunque un’altra Burgo, anche se
il nome è sempre lo stesso, la presidenza era cambiata con la nomina di Dario
Morelli. Il nuovo presidente assunse come obiettivo primario di operare
quotidianamente per salvaguardare, con gli interessi della cospicua massa dei
lavoratori dipendenti del Gruppo Burgo, l’efficienza e la potenzialità
dell’importante patrimonio industriale che da lungo tempo riscuote la fiducia di
un sempre maggior numero di azionisti e sensibilmente può concorrere, nel settore
industriale, alla ripresa dell’economia nazionale. Il problema presenta un duplice
aspetto: se da un lato gli stabilim