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TEORIA DELLA TECNICA
La teoria della tecnica rappresenta l’insieme dei concetti che rendono più coerente il rapporto tra
teoria generale, metodo e applicazioni tecniche vere proprie. Ciò fa si che tale teoria della tecnica
possa essere definita originale anche in quanto capace di legare insieme tematiche diverse. Nella
teoria della tecnica vengono spiegate concettualmente e precisamente le funzioni operative dei
paradigmi teatrali fondamentali, evidenziando una modalità specifica di concepire: regia, attore,
testo e drammaturgia, spettatore e spettacolo.
3.1 L’attore del T.d.A. ovvero l’uomo-non-attore
Quanto è lontano quell’ attore che comprende soltanto il significato di un passo, dall’altro che
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contemporaneamente lo sente! Parole, il cui senso sia stato afferrato una volta per tutte .
Il T.d.A. è un tipo di intervento teatrale e terapeutico rivolto all’uomo non attore, infatti il primo
fondamento del modello naviano, forse anche il primo a nascere, riguarda proprio il forte potere
creativo di chi partecipa al laboratorio cioè il gruppo-paziente che conseguentemente limita quello
del conduttore. L’attore del T.d.A. non è inoltre professionista ma semplice individuo carico della
sua esperienza e dei suoi vissuti personali positivi o negativi che siano.
67 Cfr. infra, par. 3.4.
68 Parole di Gotthold Ephraim Lessing, in Drammaturgia D’Amburgo, a cura di Paolo Chiarini, Roma, Bulzoni
Editore, 1767.
L’attore professionista è visto solitamente come soggetto necessario in una condizione
imprescindibile del teatro, ma chi è veramente l’attore professionista? Si dice sia colui che sa
fingere, perché ha una tecnica negli anni affinata in una scuola o lavorando sul campo, conosce un
vocabolario, ha una competenza grammaticale e sintattica che gli consente di usare il proprio corpo
in modo strumentale ed è in grado di produrre una verità teatrale. I modi per sviluppare questa
tecnica, la domanda su cosa essa debba insistere, su che cosa sia in verità teatrale…sono diversi
infatti esistono molte scuole di pensiero che fanno riferimento ai grandi maestri del Novecento
come Stanislavskij, Grotowski, Barba e anche a riletture date in questo secolo per esempio alla
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Commedia dell’arte nel pensiero di Mejerchold e della biomeccanica o del teatro popolare da parte
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di personaggi come Dario Fo o Carlo Cecchi . Questi furono anche quegli stessi uomini di teatro
le cui ipotesi e tecniche di lavoro, che costituirono la storia del teatro e dello spettacolo, riuscirono a
spodestare definitivamente la storica certezza dell’attore come strumento per la messa in scena, per
imporre invece la visione dell’attore come risorsa e punto di partenza per una creazione. Il problema
del teatro contemporaneo è infatti sempre stato rappresentato dal tentativo di delineare un attore
sempre meno macchina del regista e del testo e più specchio delle proprie componenti emotive,
socio-politiche ed esistenziali. Tali ricerche contemporanee hanno perciò messo in luce la posizione
voluta di autonomia creativa ed espressiva dell’attore.
Chi però agisce in questo teatro e questi spettacoli, e in tutto il teatro definito sociale, non è attore o
più precisamente chi agisce in scena non possiede nessuna competenza tecnica tanto meno di tipo
professionale. Il T.d.A. di Giulio Nava riassume e riprende con preponderanza queste tematiche ed
in quanto teatro concepito al fine di essere cura e sostegno a gruppi ed individui, è teatroterapia fatta
e agita in prima persona dai suoi pazienti. Da coloro che necessitano di una cura. Forte è inoltre la
sensazione di necessità etica ed esistenziale di non scindere mai la costruzione rappresentativa dalla
costruzione attoriale, di permettere cioè che l’attore sia effettivamente la matrice base del processo
di lavoro. Il fare teatro, nel Teatro degli Affetti, è per persone comuni, per non-attori e ciò significa
concepire la dimensione teatrale come luogo dell’esperienza creativa di ciascun partecipante,
significa creare le condizioni affinché l’attore agisca se stesso verso posizioni rappresentazionali
nate dalla consapevolezza di essere parte in causa ineliminabile. È concepire un teatro che considera
69 Cfr. P. Bosisio, Teatro dell’Occidente. Elementi di storia della drammaturgia e dello spettacolo teatrale, 1995, cit.,
p. 649.
70 Dario Fo (San Giano, Varese 1926), drammaturgo, attore e regista italiano, Enciclopedia del teatro del Novecento, a
cura di Antonio Attisani, Feltrinelli, 1977.
71 Carlo Cecchi, (Firenze, 1942), attore e regista italiano, determinante nella sua formazione sono state le vicende
legate al teatro di ricerca degli anni Settanta, le teorie Brechtiane e l’incontro con Eduardo De Filippo, che ne hanno
determinato l’azione in un teatro popolare di piazza, prediligendo in particolare l’uso del dialetto napoletano. AA.VV.
Teatro, gli Autori, le Opere, gli Interpreti, volume nono, Milano, De Agostini.
la persona come cardine della costruzione teatrale e della costruzione performativa integrando una
necessità affermativa di tipo esistenziale, emotivo e socio-politico.
Ma anche l’uomo-non-attore è spinto a portare la maschera dell’attore quando si trova immerso
nella dimensione del palcoscenico, desidera essere personaggio che vive nella ripetizione, vuole
interpretare il ruolo dell’attore. L’intersezione di tutti questi aspetti ha favorito un teatro per non-
attori tecnicamente ibrido con generiche connotazioni pedagogiche. Solo dalla fine degli anni
Sessanta e inizio anni Ottanta si è potuto assistere ad un vero impulso del teatro di ricerca attorno ai
modi e agli strumenti per dirigersi in modo opportuno verso partecipanti non-attori di professione.
Ciò sarà accaduto per contingenti storici, politici, sociali, culturali tipica di quegli anni che infatti
poco dopo è andata affievolendosi.
In merito all’attore è fondamentale ricordare che l’ambito in cui opera il T.d.A. è teatro fuori dal
teatro perciò è necessario assumere strumenti di lavoro adatti all’uomo-non-attore. Questo teatro si
misura quindi dalla sua capacità di sviluppare la posizione del partecipante verso percorsi di
autonomia espressiva e creativa sempre più elevati. Cosa che ha origine dalla funzione del
conduttore e dalla possibilità che il partecipante accetti tale mole di responsabilità, non più protetto
dalle istituzioni.
3.1.1 Vite vere in scena
In scena sono i pazienti, portatori di handicap, degenerati, alcolisti… che portano la loro verità a
teatro. A nudo sono messe le loro esperienze o i loro vissuti come da loro sentiti e percepiti
realmente, non rielaborati o razionalizzati da altri, come ad esempio dal conduttore, così si va ad
esprimere una verità soggettiva e assoluta al contempo.
La presenza di queste persone ai margini della società, problematici e disequilibrati è un forte segno
teatrale di vita e azione in movimento, segno però complesso perché espressione di frammenti,
spesso distorti, di realtà. Si tratta di qualcosa che “ha il sapore della “vita vera”, soprattutto delle
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emozioni e dei sentimenti che appartengono all’esperienza della vita” ed è proprio la condizione di
disagio che sembra rendere più autentica la sua verità di vita.
In questa ricerca con la vita c’è forse il bisogno di uscire dai confini di un teatro autoreferenziale,
nella sua antropologia, sociologia e nei suoi linguaggi. C’è desiderio di, stare con la comunità
intera, di parlare “di” e “con” l’altro, così c’è un altro in scena che non è la realtà sotto gli occhi di
72 E. Toma afferma che per lui il teatro è soprattutto strumento di dialogo sociale, motivo del suo lavoro con portatori
di handicap si inserisce nell’idea di teatro: il luogo teatrale, lo spazio di un’azione drammaturgia è come un grande
laboratorio, una dimensione spazio-tempo nella quale si misurano le componenti più vere delle nostre emozioni. La
parola, il gesto, l’azione diventano strumenti di indagine del nostro vivere, delle nostre relazioni: perciò ogni situazione
diversa dalla normalità ha un fascino particolare, non possiamo conoscerne i confini e forse proprio l’esplorazione di
questi territori tanto indefiniti ci aiuta a capire i nostri stessi confini almeno quelli che crediamo determinanti.
tutti ogni giorno, ma che vive e che è reale nel mondo anche se invisibile. L’opzione per il margine
non è una novità a teatro infatti ha radici molto antiche risalenti in particolar modo tra Ottocento e
Novecento e molte furono le iniziative spettacolari che decisero di portare sul palcoscenico questi
singolari soggetti emarginati dal gruppo sociale in cui viviamo, dalla particolare visione anarchica e
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di comunità, come ed esempio il Living Theatre o il Bread and Puppet .
3.1.2 Azione e costruzione attoriale
Nell’attività dell’attore è importante differenziare due eventi: azione e costruzione. L’azione è data
dalle microindicazioni del conduttore, la costruzione è invece frutto delle elaborazioni
dell’individuo e del gruppo.
Il laboratorio è dunque luogo di esperienza comune da cui ha origine il materiale di base per la
costruzione rappresentazionale svolta dal lavoro integrato del singolo e del gruppo.
Durante le fasi di evoluzione della figura del conduttore vi sono diversi passaggi di costruzione
attoriale che si distinguono per il modo e il diverso significato di intenderla e perseguirla. Il primo,
nel Contratto interattivo, è una costruzione centrata attorno ai meccanismi del lavoro di gruppo e dei
processi di immedesimazione e identificazione con l’altro. è costruzione scenica per la
rappresentazione di una storia costruita dal gruppo come la struttura drammaturgia ed espressiva,
basate sul materiale individuale emerso durante l’azione stimolata dal conduttore, è il primo luogo
di sperimentazione creativa. Questo primo passaggio fonda le regole del lavoro dell’attore, basate
sull’utilizzo del materiale ottenuto dalle proprie immagini ed elaborazioni. La fase di Contratto
interattivo vede dunque l’attore lavorare intorno alle regole del gruppo e della creazione
rappresentazionale. Il secondo passaggio è iscritto nella fase di Dran-Theatron e attraversa i temi
della costruzione in azione che è basata su due meccanismi distinti: la reazione automatica ad un
evento imprevisto e potenzialmente contraddittorio e l’improvvisazione autonoma attorno a
materiale sconosciuto. Studiati entrambi per indurre l’attore a separarsi dalle sicurezze del già