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L T
A TERRA DEI AURI
Prima il negativo. Vista attraverso gli occhi dei Greci, la Tauride è una terra
lontanissima dalla Grecia e tutti i Greci arrivati là sono stati in qualche modo
costretti a farlo: Ifigenia c’è stata portata da Artemide, ad Oreste è stato detto
da Apollo di andarci, le donne del coro ci sono arrivate da schiave in seguito
al saccheggio delle loro città. Il testo enfatizza molto la lunghezza del viaggio.
Ma è abbastanza curioso notare che, nonostante la rappresentazione abbia
luogo in Tauride, i personaggi Greci, dal punto di vista del pubblico, partono
molto più spesso dalla Grecia piuttosto che dalla Tauride, quando vogliono
sottolineare la distanza tra le due terre.
La Tauride non è soltanto una terra lontana. E’ quasi inaccessibile. Tra Grecia
e Tauride c’è “una strada che non esiste”. “Tribù barbare e sentieri non
tracciati ostruiscono la via attraverso la Scythia”. Ed il viaggio “attraverso i
neri scogli dello stretto (del Bosforo) è lungo per il passaggio di una nave”.
Ed è anche molto pericoloso. Il Mar Nero, eufemisticamente chiamato
Euxine, “l’ospitale”, era ben conosciuto per le sue caratteristiche inospitali.
Oltre a ciò, le Symplegadi erano un ostacolo ben difficile da superare: è una
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grossa sorpresa per i pastori che li catturano scoprire che due giovani siano
riusciti a sfuggire alle Symplegadi Nere. Anche il coro mostra stupore di
fronte ad un uomo proveniente dalla Grecia che arriva al mare inospitale e
attraversa gli scogli stridenti. Infine, ma non per questo da tenere in minor
considerazione, la costa tracia attorno a Salmydessos (che la mitologia associa
a Fineo e alle Arpie o anche alle trombe d’aria che sempre lo tormentavano)
era nota per le tempeste, come viene dimostrato non soltanto da Eschilo, che
allude alle “fauci accidentate di Salmydessus” e le associa ad “una crudele
matrigna per le navi”, ma anche da Xenofonte e Strabo. Certo, le donne del
coro possono anche sognare, nella seconda strofa del secondo stasimon, che
Ifigenia e il fratello compiranno sani e salvi il viaggio verso casa,
accompagnati dal flauto di Pan e dalla lira di Apollo. Ma questo non è altro
che un pensiero di buon auspicio e la realtà è ben più aspra: appena la nave si
allontana dalla costa, scoppia una tempesta. E i nostri eroi devono affidarsi a
Poseidone (che placa il mare per compiacere Atena) per poter realizzare alla
fine questa impresa. Nella Ifigenia in Tauride, Artemide, che aveva portato
Ifigenia nella Tauride “attraverso l’aria limpida”, è l’unica che riesca a
raggiungerlo facilmente.
Questa inaccessibile terra è tanto inospitale quanto il mare che la circonda. In
opposizione ai “pascoli circondati da boschi di Eurotas” questa è una “dimora
senza pascoli”. In effetti il Tauric Chersonese viene descritto da Erodoto e
Strabo come “cencioso” e “montanaro”.
Nei versi che introducono il parodos, il Tauric Chersonese è perfino
identificato con i due scogli gemelli che delimitano l’entrata del mare nero:
“Abitanti delle rupi che si urtano su un mare inospitale”. Di conseguenza,
l’unica area fuori scena che gioca un ruolo importante all’inizio e anche alla
fine dell’opera è proprio la costa, con il luogo dove è ancorata la nave di
Oreste e Pilade (vi fanno ritorno alla fine della rappresentazione), e anche il
posto dove decidono di nascondersi “lontano dalla loro nave”: la lunga cavità
scavata dalla marea ed usata dai raccoglitori di porpora, dove i due Greci
erano stati catturati e a cui vengono inesorabilmente spinti alla fine del
racconto. Come il mare “Euxine” anche la costa è inospitale con caverne,
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gole, scogli e strapiombi. La città, che giace in un certo qual modo tra il
tempio e la spiaggia, è quasi del tutto ignorata. C’è soltanto una allusione alle
case dove si suppone vivano i Tauri, mentre Ifigenia si reca alla spiaggia con
il profanato Oreste.
Il palazzo del re dei Tauri, Toante, anch’esso fuori scena, tra la costa ed il
tempio, è quasi totalmente lasciato in disparte. All’inizio, Pilade ed Oreste,
che erano stati portati dal re dopo la loro cattura, vengono mandati
immediatamente dal palazzo al tempio e, alla fine, il messaggero in cerca del
re non si reca alle “porte dei potenti”, nonostante le insistenze del coro, ma
continua a bussare alle porte del tempio, dove al re era stato detto da Ifigenia
di rimanere.
Una ambientazione così selvaggia aderisce perfettamente alla popolazione che
vi abita.La parola “barbaro” viene ripetuta continuamente per descrivere il
luogo, i suoi abitanti e anche il suo leader. E non è usata solo dai Greci ma
anche dal sovrano barbaro Toante. Perciò, il ritratto della vita tra i Tauri
appare, a prima vista, del tutto conforme agli stereotipi negativi dei barbari. In
opposizione ai civilizzati Greci, i Tauri appaiono primitivi: “soffiano negli
strombi”, da sempre considerati strumenti che venivano usati prima
dell’invenzione della tromba. Sono abbastanza stupidi da venire facilmente
sconfitti dagli avversari Greci e, sempre in opposizione ad una Grecia,
immaginata anche da popoli lontani come una terra felice dove ognuno può
socializzare, piena di canti e feste, la Tauride è un luogo di infelicità, dove si è
tagliati fuori dalla società e da tutto ciò che rende “umana” l’esistenza:
Ifigenia conduce là “una vita miserabile e non invidiabile” “ senza un marito,
senza figli, senza patria, senza amici”. Massacri raccapriccianti e sacrifici
umani che non siano riti usuali secondo “la consuetudine” greca (ma
ricordiamo che Ifigenia stava per essere sacrificata…) sono invece per i Tauri
una “usanza” ben consolidata. Seguendo Erodoto, che afferma che i Tauri
erano soliti sacrificare naufraghi e prigionieri Greci, Euripide descrive
l’Artemide Tauriana come soddisfatta dal sangue umano e soltanto Ifigenia
scagiona la dea respingendo l’aspetto corrotto del suo culto e affermando che
questo è solo la proiezione della sete di sangue degli assassini Tauri. Euripide
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sottolinea anche la crudeltà del loro re. Quando Toante apprende del
tradimento di Ifigenia, il suo unico desiderio, se mai riuscirà a riprendere lei
ed il fratello, è quello di punirli secondo le usanze della sua terra: “buttarli giù
dalla scogliera o impalarli”.
D’altra parte questa è solo una faccia della medaglia, e ci sono alcuni passaggi
nell’opera che non aderiscono tanto facilmente a questa descrizione. Infatti il
passaggio “Povero cuore mio, che finora è stato sempre compassionevole,
tenero verso gli stranieri e che ha versato lacrime per gli uomini di quella
stessa razza, quando dei Greci sono stati catturati” e quello in cui Ifigenia
allude alla lettera scrittale da una vittima che non la ritiene responsabile del
proprio assassinio, di certo testimoniano precedenti sacrifici da parte di
Ifigenia; né “Faccio oggetto di sacrificio qualunque Greco abbia la ventura di
raggiungere questa terra” oltre alla descrizione di un “altare macchiato di
sangue Greco” possono escludere questo fatto; infine il passo “l’altare della
dea non è ancora stato inondato di sangue Greco” suggerisce che non erano
ancora avvenuti sacrifici nella terra dei Tauri.
Così numerosi critici hanno rimproverato ad Euripide di essersi contraddetto
oppure hanno condannato il fatto che il testo fosse poco chiaro perché
manoscritto. Di conseguenza, molti hanno cercato di risolvere il problema
correggendo, cambiando o addirittura rimuovendo alcuni di questi versi.
Sembra più saggio, secondo altri, accettare le incoerenze e ciò che ne
consegue. Oltre a ciò, il testo spesso sottolinea il fatto che sia proprio Ifigenia,
una Greca, ad essere la responsabile delle uccisioni, offrendo in sacrificio le
vittime. Bisogna anche ricordare che i Tauri uccidono soltanto gli stranieri e
restano davvero scandalizzati nell’apprendere che c’è gente che ha ucciso la
propria madre, come dimostra la reazione di Toante “Nessuno tra i barbari
oserebbe comportarsi così”. Mentre i Greci uccidono i propri congiunti:
Oreste ha ucciso la madre, Agamennone era sul punto di uccidere la figlia ed
Ifigenia stessa , prima in sogno e poi nella realtà, arriva quasi ad assassinare il
proprio fratello. Inoltre, bisogna dire che Tauride, dopo tutto, è sinonimo di
salvezza per i due eroi: Ifigenia scampa alla morte venendo portata lì e Oreste
troverà proprio lì sollievo alle proprie sofferenze.
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In effetti questa terra che, a prima vista, sembra così diversa dalla Grecia, è la
copia esatta almeno di una parte di essa, poiché Euripide ha enfatizzato il più
possibile le omologie tra i due luoghi dove venivano sacrificate vittime umane
tra lacrime e urla di dolore: Tauride e Aulide: ogni volta le vittime vengono
uccise (o ridotte in fin di vita) con una spada sopra l’altare, dopo essere state
cosparse con acqua lustrale. L’unica differenza tra i due contesti consiste nello
scambio di ruoli: la vittima sacrificata da un padre che riveste il ruolo di
sacerdote ad Aulide diviene la sacerdotessa che compie i sacrifici umani in
Tauride. Oltre a ciò, queste scene identiche avvengono in due luoghi che sono
uno lo specchio dell’altro. Ad Aulide così come in Tauride i venti sono
pericolosi, il mare “oscuro”, e le correnti dell’Euripus sono dense di pericoli
come lo stretto del Bosforo. Non c’è da meravigliarsi se la Tauride diventa
“l’Aulide di qui” che compensa perfettamente “l’Aulide di là”.
Occorre sottolineare anche che, durante la rappresentazione, i Tauri non
uccidono nessuno e la profanazione arriva da fuori. E’ Oreste che, all’inizio,
uccide il bestiame tingendo il mare di rosso, e alla fine, ferisce i Tauri. Oltre
tutto lui non è neanche una vittima “senza colpe”, per via del matricidio
commesso. Gli unici rituali effettivamente rappresentati durante il lavoro (il
rito della purificazione di Oreste e della statua di Artemide da parte del mare,
e della purificazione del tempio con lo zolfo) sono purificatori. Oltre a ciò,
questi rituali, anche se la sacerdotessa Greca che li pratica canta “canzoni
barbare”, rispettano in tutto e per tutto una consolidata usanza greca: cioè
seguono la credenza, propria dei Greci