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LA COLONIZZAZIONE DEMOGRAFICA DELLA

✔ LIBIA

Il regime fascista considera la Libia una importante, potenziale valvola di sfogo

occupazionale in cui poter convogliare la forza-lavoro in esubero dai confini

nazionali.

La colonizzazione della Libia si sviluppa in tre fasi ben distinte.

La prima fase va dal 1922 al 1928, la seconda dal 1928 al 1933, la terza parte nel

1933 e si conclude nel 1940.

Nella prima fase il regime organizza la costituzione del patrimonio terriero da

sottoporre al demanio statale. Tra il 1922 e il 1928 lo Stato intensifica le

concessioni in Tripolitania, concessioni ispirate al concetto della grande azienda

agraria di tipo capitalistico.

Nella seconda fase la colonizzazione “capitalistica” è affiancata dalla

colonizzazione “demografica”.

Per ogni determinato ettaro di terra, il governo fascista dispone che in ogni

azienda agricola si insedi una famiglia colonica.

98

Con il regio decreto n.696 del giugno 1932 è istituito l'Ente per la colonizzazione

della Cirenaica (ECC).

L'Ente, guidato inizialmente da Luigi Razza, ha l'obbiettivo di condurre in Libia il

numero più alto possibile di famiglie di contadini italiani e creare per loro un

ambiente adeguato alle loro esigenze, per legarle alla terra e interessarle alla

1

trasformazione e alla produzione .

L'ECC si impegna sin dai primi giorni di attività ad attribuire terre maggiormente

fertili agli italiani, mentre le terre aride della steppa e le zone pre-desertiche sono

destinate ai cirenaici.

Alla fine del 1933 i risultati dell'attività dell'Ente per la colonizzazione della

Cirenaica sono tutt'altro che lusinghieri: sulle terre libiche infatti risultano

2

stanziate solo 154 famiglie, in tutto costituite da 1048 persone . La terza fase

della colonizzazione libica va dal 1933 al 1940.

Nel 1935 Italo Balbo assume il compito di guidare la colonizzazione demografica

in terra di Libia.

In primo luogo Balbo trasforma l'ECC in ECL ( Ente per la colonizzazione della

Libia) per ampliare gli orizzonti della colonizzazione fascista a tutto il territorio

libico.

In secondo luogo intende accelerare il processo di colonizzazione che giudica

troppo lento.

Dal censimento del 1937 si deduce che la popolazione agricola della colonia

libica comprende solo 2711 famiglie, costituite da appena 12.488 individui.

Così nel 1938 Balbo elabora un preciso piano di mobilità di manodopera con cui

intende portare in Libia almeno 20mila uomini.

L'arruolamento in Italia delle “fanterie rurali” da inviare in Libia avviene in base

a tre requisiti ben precisi.

Il primo requisito riguarda la competenza del lavoratore agricolo. Infatti solo gli

individui che comprovano di essere capaci agricoltori hanno accesso alla terra

libica; il secondo requisito per essere ammessi alla colonizzazione concerne il

dovere del contadino di avere una famiglia numerosa. Il terzo requisito richiede

all'agricoltore di essere iscritto al partito fascista, poiché Balbo intende creare in

Libia un “esercito di rurali”, formato da fanti che sappiano usare la vanga e se

3

necessario abbracciare un fucile . La prima “ondata” migratoria parte il 29

ottobre 1938. Analizzando tale spostamento di coloni stupisce la composizione

della provenienza geografica delle famiglie coinvolte nella colonizzazione.

Infatti su 1800 famiglie ben 1433 (circa il 79%) sono reclutate nel nord Italia.

La regione più coinvolta nella prima colonizzazione è senza dubbio il Veneto.

Le città venete più generose nel offrire nuclei famigliari alla colonizzazione sono

Rovigo, Padova, Venezia, che partecipano all'emigrazione rispettivamente con

228, 223 e 211 famiglie.

Il Meridione italiano viene quasi del tutto dimenticato dal progetto di

esportazione di manodopera messo in atto dal regime.

99

Le città del sud più rappresentate nell'ondata migratoria sono Bari, Foggia e

Catanzaro, rispettivamente con 57, 30 e 28 famiglie.

Lombardia e Piemonte non vengono scelte per il reclutamento dei fanti rurali,

mentre l'Emilia Romagna partecipa all'emigrazione con Ferrara, che contribuisce

4

alla colonizzazione demografica della Libia con 135 famiglie .

La seconda ondata migratoria parte esattamente un anno dopo la prima e

coinvolge in tutto 11mila coloni.

Mille famiglie provengono dal nord (in prevalenza ancora una volta dal Veneto),

400 arrivano dal centro-sud e 200 dalla Sicilia.

La terza ondata migratoria verso la Libia parte nelle prime settimane del 1940 con

2mila famiglie, ma il progetto di una nuova colonizzazione demografica resta solo

sulla carta poiché nel giugno dello stesso anno l'Italia entra in guerra e il

popolamento delle colonie si arresta bruscamente.

Con l'arrivo dei 30mila coloni dalle tre ondate la realizzazione agricola della Libia

raggiunge indubbiamente la sua massima espansione e potenzialità.

Alla vigilia della guerra vengono indemaniati in tutto 900mila ettari e occupati

23.919 coloni in Tripolitania e 15.014 in Cirenaica.

Tra il 1933 e il 1940 il patrimonio arboreo raggiunge una notevole espansione. In

Tripolitania i mandorli raggiungono quota 1.646.000, le viti sono 36.826.000, gli

agrumi 300mila, 93mila sono gli alberi

5

da frutta .

Dalle cifre sopraindicate si evince il fatto che lo sforzo agricolo compiuto dagli

italiani in Libia è innegabile ma non va certo dimenticato che tale sforzo è stato

possibile solo con un immane sperpero di risorse economiche.

Infatti l'ECC utilizza nel solo anno 1932 di un fondo iniziale di 38 milioni di lire e

tre anni dopo, nel 1935, l'Ente per la colonizzazione della Cirenaica ottiene altri

75 milioni, cifra non certo indifferente per

6

l'epoca .

L'abnorme volume delle cifre stanziate rappresenta senza dubbio un autentico

fallimento dal punto di vista finanziario se si considera lo scarso ritorno

economico prodotto dalla colonizzazione demografica della Libia e l'incapacità

del regime di convogliare forza-lavoro nella colonia nord-africana.

Alla base del fallimento della gestione del popolamento demografico della Libia

vi sono tre errori che si sono ripetuti in tutte e tre le fasi della colonizzazione.

Il primo errore, forse il più evidente, è l'errata previsione di costi e ricavi delle

aziende agricole, i cui bilanci sono costantemente in una situazione di dissesto.

Il secondo errore riguarda l'eccessivo sovvenzionamento da parte dello Stato dei

7

concessionari privati, i quali si tramutano ben presto in speculatori e parassiti .

Il terzo ed ultimo errore è legato alla scarsa conoscenza che gli agronomi fascisti

dimostrano di avere del territorio libico.

Gli esperti agrari incaricati dal governo di analizzare il territorio della colonia

araba manifestano una inadeguata consapevolezza delle caratteristiche

100

dell'ambiente coloniale, soprattutto per quanto riguarda il fatto di aver

sottovalutato l'aciclicità delle piogge, caratteristica tipica delle aree del Maghreb.

Infatti nel 1940 si evince da alcuni documenti dell'IAO che dopo appena una anno

8

di siccità, il sistema economico agricolo coloniale italiano rischia già il tracollo .

In sostanza la colonizzazione della Libia produce il solo concreto effetto di

delineare il carattere “espropriante” del dominio fascista in terra libica.

Per stessa ammissione di Balbo l'indemaniamento della terra per centinaia di

migliaia di ettari sottrae

terre all'attività agricola delle genti libiche, nei riguardi sia della pastorizia sia

9

delle semine estensive cerealicole .

In contrasto con le direttive antiurbanesimo che il fascismo intende imporre in

patria, la sottrazione indiscriminata di terreni ai legittimi proprietari sortisce

l'effetto di spingere i libici privati della terra ad urbanizzarsi nelle maggiori città

delle colonia araba.

1. Gli italiani in Libia, dal Fascismo a Gheddafi, A. Del Boca, p.257

2. Ibidem, p.134

3. Ibidem

4. Ibidem, p.135

5. Ibidem, p.266

6. Ibidem

7. Ibidem, p.259

8. Ibidem, p.260

9. La colonizzazione in Libia, I.Balbo, p.468

101

LA LEGISLAZIONE

ANTIURBANESIMO: VIGENZA E

SOPPRESSIONE NELL'ETA'

REPUBBLICANA

La legislazione antiurbanesimo rimane a lungo in vigore nell'Italia repubblicana e

post-fascista.

Per oltre quindici anni la legge 1092/39 rimane infatti il più importante strumento

in mano alle autorità per regolare il controllo del fenomeno migratorio nei centri

urbani di maggior rilevanza industriale.

In realtà bisogna ammettere che se la applicazione della legge antiurbanesimo era

già molto trascurata in età fascista, in epoca repubblicana tale normativa è

destinata ad essere quasi del tutto disattesa. Cadute le istanze che avevano ispirato

la 1092 e ormai morta l'ideologia antiurbana, non più filosofia ufficiale dello

stato, la legislazione antiurbanesimo diviene vuota di interna convinzione e

1

dunque dimenticata dalle autorità statali incaricate di applicarla .

E' necessario, nonostante la condizione di oscuro oblio in cui è relegata la

normativa antiesodo, interrogarsi sulle motivazioni che hanno indotto le due

assemblee parlamentari del dopoguerra a mantenere intatto l'apparato repressivo

antiurbanesimo fascista per il non indifferente lasso di tempo di oltre un

quindicennio.

1. Urbanistica fascista: la politica antiurbana del Fascismo e un secolo di resistenza

all'urbanizzazione industriale dell'Italia, A.Treves, cit. p.330

LA CONVINZIONE DI UNA ITALIA FASCISTA

✔ “STATICA” E “BLOCCATA”

Sino agli anni sessanta e oltre, la letteratura legata al tema del problema

migratorio del secondo dopoguerra sostiene una generica e molto diffusa opinione

secondo la quale gli anni del fascismo sono stati attraversati da spostamenti

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interni di popolazione del tutto irrilevanti.

Addirittura si sostiene in sede storiografica che, specie in paragone con il

grandioso movimento migratorio degli anni del boom economico, di vere e

1

proprie migrazioni interne non sia neppure il caso di parlare .

Non a caso raffronti, commenti e tabelle statistiche concernenti le tendenze e gli

spostamenti di popolazione vengono costruiti negli anni 50', tengono conto solo

delle migrazioni verificatesi nel secondo dopoguerra, poiché il punto di partenza

di ogni studio sul fenomeno migratorio assume come principale riferimento il

censimento del 1951. Anche quando gli studiosi dei fenomeni migratori italiani

allargano la loro visione ad una dimensione storica più ampia dell'Italia unita,

tendono a considerare l'esodo transoceanico dell'epoca pre-fascista e le migrazioni

interne registrate da

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A.A. 2008-2009
147 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/04 Storia contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher alessandro pegolo di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia Contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Scienze Storiche Prof.