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[C] IV-V
[D] VI 34
Le strofe A e D assumono il compito, rispettivamente, di introdurre e concludere il componimento,
il quale assume pertanto una struttura chiusa, ciclica (elemento già di per sé importante perchè
simbolo del nido, dimensione esclusiva).
I gruppi strofici B e C esplicano invece una macro similitudine,espressa tramite il ricorso ad un
chiasmo, anticipato dal numero romano X del titolo, confermato dal termine “croce” (v.9) ed
espresso nel testo dall'inversione dei termini “tetto” (v.5) e “nido” (v.13).
Alla sfera semantica del nucleo famigliare appartengo inoltre i termini “nido” (v.11) e “casa”
(v.17).
La figura del padre che torna verso casa è accostata a quella della rondine che torna al nido
(espressa dal chiasmo dei soggetti del v.5 e del v.13).
Si stabilisce dunque un parallelismo tra la rondine uccisa mentre porta il cibo nel nido ed il padre.
Inoltre, è da notare lo scambio secondo cui nel testo quello della rondine è un tetto (v.5), quello
dell'uomo è un nido (v.13): è l'assimilazione simbolica della famiglia al nido.
Elemento alla base della lirica è quello funebre: non a caso il v.15 del componimento (“e restò negli
aperto occhi un grido”) fa eco a Il giorno dei morti (“Io gettai un grido”, v.79).
Tale senso di morte raggiunge la massima espressione nelle ultime due quartine, dove il termine
“romita” (v.17) è quasi anagramma di “morti” e “morta”, di nuovo in chiasmo (questa volta
semantico) con “immortale” del v. 22.
Scrive Vitacolonna:
In X Agosto sembra indubbia la ricorrenza, davvero massiccia, di ciò che si potrebbe definire “valenza 2”
(cioè la ricorrenza di fenomeni dittologici). Ma un'analisi che voglia essere non solo descrittiva ma anche
40
.
esplicativa deve tentare di spiegare il perchè di determinati fenomeni e strutture in un dato testo
Ecco quanto desumibile dalla struttura del testo in questione: nonostante al momento della morte di
Ruggero Pascoli fossero in vita tutti i figli e le figlie, in X Agosto, Pascoli narra di due sole
bambole portate in dono dal padre alle sorelle più piccole, Ida e Maria, con esclusione di
Margherita, allora diciassettenne (“portava due bambole in dono” v.16).
Tale elemento deducibile dal testo poetico non sarebbe altro che il segnale spia degli atteggiamenti
edipici assunti dal Pascoli: prediligere le due sole sorelle significa, per il padre, avere un debole per
esse. Dal momento in cui Pascoli va ad assumere su di sé il ruolo paterno, tale atteggiamento viene
inglobato nella sua personalità, conducendolo al complesso edipico secondo cui una delle due
sorelle (Ida) andrebbe in seguito a coprire la figura materna.
40 L. Vitacolonna, Semiotica, Brescia, La Scuola, 2008. pp. 140-154. 35
La morte di Ruggero Pascoli è narrata dunque secondo il punto di vista del poeta, di Giovanni
Pascoli, che esprime attraverso il padre il proprio sentimento dei confronti della “parte femminile”
del nucleo famigliare.
Insomma quella che pare essere una svista, un errore (solo due bambole in dono) è invece un
elemento rivelatore che va a sublimare il reale rapporto di Giovanni Pascoli con le proprie sorelle al
tempo in cui la poesia venne composta. Pascoli si identifica infatti con la sola parte femminile della
famiglia.
Le due bambole dunque «smascherano quella sensibilità scossa e morbosa, quella sensualità
profonda e torbida che Pascoli evidenzia a chiare lettere nel sui epistolario. Inserite nella “valenza
2”, fungono da feticcio ma non tanto nel senso di sostituto del pene, quanto piuttosto perchè il
41
feticcio è un oggetto paradossale: è il segno della presenza e dell'assenza della verità.»
Come sappiamo Pascoli vive la perdita del proprio padre con profondo dolore, ma anche con
l'aspirazione di sostituirsi ad esso. In X Agosto pertanto Pascoli elabora a posteriori il trauma della
tragedia, rivelando (o forse è meglio dire mal celando) la propria complessità psichica.
II. Il Gelsomino Notturno: quando le pulsioni dell'Es sfidano le inibizioni del Super-Io.
L'analisi del seguente componimento (di cui riporto il testo in appendice) vuole invece
esemplificare l'atteggiamento del Pascoli nei confronti dell'Eros.
Il Gelsomino Notturno è inserito nei Canti di Castelvecchio nell'edizione del 1904.
La poesia appare per la prima volta in un opuscolo nel 1901 come epitalamio, in occasione delle
nozze dell'amico Gabriele Briganti.
Il componimento presenta una struttura di sei quartine sviluppate su due piani paralleli: uno
prettamente fenomenico e descrittivo, un tipico quadretto impressionistico caro alla tradizione
poetica pascoliana; un secondo piano rivela invece il materiale inconscio e dunque rimosso, quello
legato alla sfera sessuale.
Nel mistero della notte si svolge infatti un'unione sessuale da cui il poeta, l'io lirico, si sente escluso
e che dunque egli cerca di rielaborare nella propria fantasia attraverso il ricorso ad immagini
desunte dal mondo della natura.
La poesia è un esempio di come il Pascoli utilizzi l'elemento floreale come simbolo, caricandolo di
una valenza erotica.
41 Ibidem, p. 34. 36
Scrive Barberi Squarotti:
I fiori […] sono un'altra metafora dell'assenza di rapporti, dell'ossessivo timore di contatti. […] Il fiore come
simbolo del carattere irrazionale, chiuso, gelosamente custodito in sé, dell'esistenza umana, va a definire,
42
.
nella poesia pascoliana, il senso del più tipico rapporto umano, quello amoroso
Sul piano denotativo, dunque, il gelsomino è semplicemente un fiore, un elemento della natura
insito nel bozzetto naturalistico; spostandoci sul piano connotativo, invece, il fiore esercita nei
confronti del poeta un perturbante richiamo sessuale.
Si veda il v.1: “E s'aprono i fori notturni”, che allude all'atto copulativo legato alla deflorazione
(ricordo che la poesia narra della prima notte di nozze del Briganti). Una deflorazione che è però
sofferta: “E' l'alba: si schiudono i petali /un poco gualciti” (vv. 21-22).
L'atto sessuale è insomma sublimato in immagini naturali attraverso immagini metaforiche su cui si
attua il transfert freudiano: “Dai calici aperti si esala /l'odore di fragole rosse” (vv. 9-10);
e “... si cova /dentro l'urna molle e segreta, / non so che felicità nuova” (vv. 22-24).
I versi riportati possono essere letti avendo come riferimento le teorie di Lacan ed Orlando: con la
metafora dell'urna molle e segreta si intende esprimere formalmente l'elemento proibito, rimosso nei
meandri della psiche pascoliana, ossia l'apparato riproduttore femminile, che è un qualcosa di
chiuso, viscerale. Il represso riaffiora dunque in vesti formali legate agli espedienti retorici.
Nell'utero della donna avviene la fecondazione, derivante dall'atto sessuale, che è per il poeta un
fattore di attrazione-repulsione simultanea.
Il procedimento retorico (che è sia metafora che metonimia, in quanto il poeta si pone con tale
atteggiamento nei confronti della figura femminile nel suo insieme), maschera insomma il bisogno
che l'Io pascoliano prova nei confronti dell'oggetto desiderato ma allo stesso tempo rifiutato e
represso dal Super-Io.
Un super-Io condizionato dalle censure e dalle proibizioni interne al “nido” e all'etica ad esso
legata. La tragedia famigliare che ha distrutto il nido ha bloccato il poeta alla condizione
psicologica infantile, impedendogli di uscirne. Legarsi sessualmente ad una donna significherebbe
tradire un vincolo sacro, inviolabile con il nucleo famigliare d'origine.
Dal principio di autocastrazione, dunque, causato dal pensiero ossessivo dei cari defunti, scaturisce
la morbosa fantasticheria che sostituisce (ed esaudisce) per spostamento e sublimazione il desiderio
sessuale, determinando lo straniamento del poeta rispetto alla vicenda che si svolge dentro la casa.
Desiderio sessuale che l'Io pascoliano vive dall'esterno, regredendo ad uno stato infantile di
curiosità, disadattamento, mistero (si considerino le osservazioni, più avanti, in merito all'uso
42 G. Barberi Squarotti, Ornitologia pascoliana del nido, in Id., La simbologia di Giovanni Pascoli, Modena, Mucchi,
1990, pp.132-133. 37
pascoliano degli avverbi di luogo): “là sola una casa bisbiglia” (v. 6); “Splende un lume là nella
sala” (v. 11).
La personalità del Pascoli è insomma combattuta dalla necessità di aprirsi al mondo adulto, dunque
della sessualità, e quella di rimanere legato e rassegnato ai principi inibenti del nido famigliare.
Tale conflitto è espresso mediante l'alternanza di immagini simboliche negative e peccaminose (le
“farfalle crepuscolari” (v. 4), l'“erba sopra le fosse” (v. 12), “l'ape tardiva” che “sussurra / trovando
già prese le celle” (vv. 13-14) ), e altre positive e rassicuranti (“Sotto l'ali dormono i nidi, come gli
occhi sotto le ciglia” (vv. 7-8) e “La Chioccetta per l'aia azzurra /va col suo pigolìo di stelle” (vv.
15-16) ).
Insomma valori naturali evocati per esorcizzare quella “non so che felicità nuova” (v. 24).
Il fascino dell'ambiguo e del proibito è smorzato dal ricorso ad immagini rassicuranti.
Un “fanciullino” che guarda con gli occhi di bambino ogni “scena nuziale”, senza saper tener testa a
questo tipo di esperienza.
III. Digitale Purpurea: amore e morte, ossia quando la vegetazione diviene simbolo della
malattia decadente.
Il componimento appare sul «Marzocco» nel 1898 e poi nella seconda edizione dei Poemetti nel
1900 (testo in appendice).
Il testo è articolato in tre sezioni di 25 versi ciascuna e vede il fluire dei ricordi di due fanciulle che
rievocano il periodo di vita trascorso in convento.
Fonte del componimento (così come spiegato nella biografia di Maria Pascoli) è un'esperienza
realmente avvenuta durante gli anni trascorsi da Ida e Maria in convento. Pascoli trae spunto da
questo avvenimento per la composizione della poesia e del dialogo (fittizio) in essa contenuto.
Nella prima sezione il dialogo fra le due giovani introduce un clima di innocenza e candore,
simboleggiato dal giardino del convento. Un paradiso terrestre di cui tuttavia fa parte anche un fiore
misterioso ed inquietante, che si oppone in maniera perversa al clima virginale dominante (“bagna
l'anima d'un oblio dolce e crudele”, v.21).
La seconda sezione prevede un lungo flash-back attraverso cui il sacro ed i