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Lo script è composto da slots, caselle o categorie di informazioni, e prevedere specifiche
regole per il loro riempimento, definendo, per esempio, quali azioni sono obbligatorie e
quali opzionali. Per ogni slot esiste un range di possibili alternative, o slot fillers, e dei
valori di default nel caso in cui non venga data l’informazione richiesta: nel caso dello
script del ristorante, anche se non viene detto esplicitamente, ci si aspetta che vi sia un
cameriere e un menù. Vi è inoltre una struttura gerarchica per la quale ogni azione in
sequenza dello script prevede un ulteriore sub-script: per mangiare al ristorante devo
entrare dalla porta, ma per entrare devo afferrare la maniglia, spingere la porta, tenerla
aperta e così via (Schank, Abelson, 1977).
I bambini sembrano essere in grado di creare uno script già dalla prima volta che fanno
esperienza di una determinata situazione. Ciò è evidenziato dal fatto che se si chiede ad un
bambino in età prescolare, il giorno dopo il primo giorno di asilo, - cosa si fa all’asilo?-,
egli sarà in grado di strutturare un resoconto di ciò che è accaduto e la sua narrazione sarà
basata sull’uso del “noi” e l’assenza di riferimenti al sé. Se poi allo stesso bambino si
chiede - cosa hai fatto ieri all’asilo? -, egli sarà ugualmente in grado di descrivere ciò che
ha fatto ma introducendo elementi che appartengono alla propria personale esperienza. La
qualità delle narrazioni migliora con l’aumentare dell’età, ma anche i bambini più piccoli,
anche a 3 anni, sono in grado di strutturare una prima forma di narrazione basata sulla
generalizzazione e la sequenzialità degli eventi. Questo dimostra come non solo i bambini
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siano in grado di generalizzare l’evento già dalla prima esperienza, inferendo sin da subito
la sequenzialità logica degli eventi, ma di come sin dall’inizio ci sia una differenziazione
tra la formazione dello script generalizzato e la formazione di un ricordo di memoria
episodica relativo allo specifico evento (Fivush, 1997). Inoltre, questo va a invalidare
l’ipotesi di Piaget relativa all’intendere le memorie dell’infante come inizialmente
disorganizzate a causa dell’incapacità di comprendere la sequenzialità temporale degli
eventi. Le recenti ricerche dimostrano come già all’età di 3 anni i bambini hanno delle
rappresentazioni di eventi e routine familiare ben sviluppate che presentano le
caratteristiche fondamentali dello script: la generalizzazione, la sequenzialità e
l’individuazione degli elementi centrali dell’evento (Nelson, Gruendel, 1986).
Inizialmente gli script sono abbastanza rigidi e fortemente legati al contesto situazionale in
cui vengono vissuti. In un esperimento di Nelson e Gruendel i bambini di 3 anni tendevano
a descrivere con lo stesso script l’andare al ristorante e l’andare ad un fast food,
affermando che - si mangia prima di pagare -. A questa età i bambini non riescono ad
inserire quella variabilità, quell’eccezione tipica del fast food, relativa al pagare prima di
mangiare (Smith, Cowei, Blades, 2011). Durante la prima esperienza dell’evento viene
creata una rappresentazione organizzata dell’insieme di azioni ed oggetti incontrati e solo
successivamente, grazie alle esperienze ripetute, verranno integrate tutte le altre condizioni
possibili dell’evento; la variabilità viene inserita nella rappresentazione mentale solo se
l’elemento di cambiamento risulta essere abbastanza frequente e non una semplice
eccezione (Fivush, 2002).
Gli schemi dell’evento possono essere organizzati in base alla causalità e contingenza delle
azioni o in base ad una associazione arbitraria degli elementi al suo interno. Vengono
chiamati “forti” gli script che prevedono dei forti vincoli tra le azioni che rispecchiano
l’inevitabile concatenazione causale tra di essa ( al ristorante, prima si sceglie il tavolo, poi
si guarda il menù, si ordina, si mangia, si paga e si va via) mentre gli script “deboli”
individuano un set stereotipato di azioni o eventi ma con una sequenzialità variabile e
arbitraria legata alla consuetudine o alla specificità della situazione ( ad una festa di
compleanno si mangia sempre la torta ma non è previsto uno specifico momento per farlo)
(Slackman, Hudson, Fivush, 1986). I bambini sono maggiormente sensibili alla
contingenza e tendono, quindi, ad apprendere più velocemente e a mantenere in memoria
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per un tempo più lungo le sequenze basate su di essa e sulla relazione causale piuttosto che
sulla semplice invarianza temporale dell’ordine delle azioni stabilita tramite consuetudine
(Fivush, 2002).
Altro elemento di variabilità è l’incongruenza temporale che, nelle diverse età, viene
gestita in modo diverso. In un esperimento di Nelson e Hudson, per esempio, a dei bambini
di 4 e 6 anni venivano mostrati due eventi familiari di cui uno mostrava un’incongruenza
temporale (l’invitato ad una festa di compleanno consegnava il regalo dopo essere andato
via). Se i bambini di 6 anni riescono a rielaborare la storia con una struttura temporale più
coerente (possibilmente trovando una giustificazione a quanto accaduto), i bambini di 4
anni tendevano semplicemente ad omettere l’informazione (Fivush, 1997).
Per quanto riguarda le prestazioni nelle diverse età, è stato osservato che dai 3 anni i
bambini riescono a rilevare le informazioni principali dell’evento e con l’aumentare
dell’età si osserva l’incremento non solo del numero di informazioni in sé, ma anche della
complessità stessa della rappresentazione mentale. In particolare, progressivamente
compaiono i seguenti elementi:
- Azioni opzionali: qualcosa che può o può non accadere, come ordinare o meno il
dolce al ristorante
- Azioni alternative: alternative possibili per una stessa informazione/slot all’interno
della sequenza dell’evento, come il consegnare il cappotto al cameriere o tenerlo
con sé
- Azioni condizionali: vincolate a determinate condizioni (per riprendere il cappotto
devo prima averlo consegnato a qualcuno)
Fivush (1997) evidenzia come i bambini in età prescolare presentano rappresentazioni
mentali e ricordi meno elaborativi ma non per questo meno complessi. Sicuramente le
capacità linguistiche dei bambini più grandi, di 5-6 anni, permettono loro di fornire una
migliore descrizione degli eventi, ma se confrontiamo le prestazioni di questi bambini con
quelle di bambini più piccoli in modalità non verbale, è possibile osservare una netta
riduzione della differenza delle performance. Il grado di complessità delle rappresentazioni
mentali non è, quindi, del tutto dipendente dalle abilità linguistiche. Il fatto che
inizialmente certi elementi, come le azioni opzionali, non compiano nel resoconto verbale
non significa che il bambino non li possegga, tanto è vero che se tali informazioni vengono
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richieste esplicitamente riescono ad essere fornite. Nelle diverse età può cambiare il centro
focale dello script, l’azione principale o l’obiettivo, e questo poiché gli eventi assumono
significati diversi in base all’età e alla capacità di elaborare le informazioni. In un
esperimento di Fivush, per esempio, a dei bambini di 4 – 5 anni e 7 anni venivano
presentate delle figure che rappresentano le varie fasi di due episodi familiari: una festa di
compleanno e l’andare al ristorante. Viene chiesto di scegliere le tre foto che secondo loro
rappresentano i momenti principali degli eventi, in modo da poterle mostrare ad un
bambino che farà per la prima volta esperienza dell’evento. I più piccoli hanno una
maggiore esperienza relativa alla “festa di compleanno” rispetto ad “andare al ristorante” e
per questo motivo individuano nel primo caso la sequenza corretta mentre nell’altro
tendono a commettere degli errori o comunque inseriscono il gioco come elemento
principale e focalizzandosi su aspetti meno rilevanti. I più grandi sono invece
maggiormente in grado di comprendere quali sono le caratteristiche principali di entrambi
gli eventi. Inoltre, i più piccoli attuano delle scelte basate più sull’esperienza diretta con gli
oggetti, come lo spegnere le candeline o aprire i regali, mentre i più grandi individuano una
componente maggiormente relazionale e interattiva, come l’invitare gli amici alla festa
(Fivush, 1997; Slackman, Hudson, Fivush, 1986).
In generale, i cambiamenti evolutivi nella strutturazione e complessità degli script viene
ricollegata sia al maggiore sviluppo cognitivo e alle modalità di rielaborazione mentale più
sofisticate, sia all’aumento della propria esperienza e familiarità con un certo evento
(Fivush, Slackman, 1986).
2.2. Format e modelli operativi interni
I format sono schemi relazionali costituiti da sequenze interattive che si ripetono con
regolarità e stanno alla base della memoria relazionale. Loewald, in ambito psicoanalitico,
li definisce come interiorizzazione della relazione con gli oggetti (Belacchi, Gobbo, 2004).
Bowlby concettualizza i modelli operativi interni come l’insieme delle caratteristiche che
l’individuo attribuisce all’altro e a sé in quanto agenti nel mondo. Nascono dalle
interazioni ripetute con il caregiver e formano la conoscenza di base del mondo
interpersonale; sono interiorizzati in modo implicito e forniscono una guida per le relazioni
future (Wallin, 2007). 39
Stern (1998) propone diversi livelli di costruzione degli schemi relazionali in base ad
un’organizzazione gerarchica di unità di interazione. La prima unità è il “momento V”,
ossia il momento interattivo vissuto, oggettivo e operazionalizzabile; riguarda uno scambio
tra due persone, come il bambino che allunga le braccia per essere preso in braccio dalla
madre. Questa esperienza viene codificata in memoria creando il “momento M”, ossia il
ricordo dell’evento specifico. L’esperienza ripetuta di quel tipo di interazione andrà a
formare il “momento R”, un rappresentazione schematica, generalizzata e prototipica
dell’interazione basata sull’insieme degli specifici momenti M; poiché la generalizzazione
implica un’astrazione dalla realtà, non è detto che il contenuto della rappresentazione sia
del tutto identico alla situazione reale. L’unità gerarchica successiva è costituita dagli
“scenari”, una sequenza invariante di momenti interattivi (come il bambino che corre verso
la madre, la madre si prepara p