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(APT).
Questo modello assume che i rendimenti di tutte le attività rischiose siano generate da un
modello lineare a fattori e che la distribuzione congiunta di tutti i rendimenti non consenta
opportunità di arbitraggio. R
Questo significa che l'extra-rendimento di ciascun titolo è determinato dall'effetto
i
f e
combinato di più variabili e da una componente di rischio idiosincratico che
k i
misura il rischio specifico del titolo in questione:
K
∑
= + ( ⋅ + )
R a b f e
i i ik k i
=1
k
Il termine di rischio idiosincratico ha, per ipotesi, correlazione nulla con gli altri fattori di
rischio e costituisce la deviazione dal rendimento effettivamente realizzato del rendimento
atteso dall'ATP.
= − [ ]
e R E R
i i i
In un portafoglio sufficientemente diversificato la componente di variabilità dei rendimenti
dovuta ai fattori idiosincratici si manifesta in modo casuale e si può ritenere che il termine
idiosincratico si annulli e che quindi l'APT consenta di determinare con precisione il
rendimento atteso del portafoglio. 8
2.2 Confronto tra modelli
Mentre il CAPM individua il portafoglio efficiente come un punto nel piano (σ, µ) nel caso
dell'APT la stima dei coefficienti beta dei singoli fattori di rischio per ogni attività finanziaria
si ottiene per regressione dei rendimenti storici dell’attività sui singoli fattori.
In confronto al CAPM, la teoria APT ha il vantaggio di adattarsi in modo flessibile alla
realtà del mercato. Essa infatti ammette una molteplicità di fonti di rischio significative,
implica ipotesi meno restrittive rispetto ai comportamenti degli investitori e non richiede
l’uniformità delle loro scelte di portafoglio inoltre prevede la presenza di arbitraggisti e di
agenzie per la raccolta e la vendita sul mercato di informazioni.
Come già detto, l'APT introduce nel modello ulteriori fattori capaci di spiegare la varianza
del portafoglio rispetto al solo mercato. Questo implica un maggiore utilizzo di informazioni
che può portare, in linea teorica, a diminuire il valore dello standard error dei coefficienti
stimati garantendo una maggiore efficacia del modello rispetto al CAPM.
Inoltre accogliendo una pluralità di fattori sistematici l'APT risulta più efficace del CAPM
nel residualizzare la componente di rischio diversificabile dimostrando come uno stesso
livello di rischio, associato a due portafogli diversi rispetto al mercato, (medesima
covarianza) possa sottintendere diverse esposizioni ai singoli fattori di rischio che
rimangono omessi e sintetizzati dal semplice rischio specifico nel CAPM.
2.3 Identificazione dei fattori
A differenza del CAPM, l'APT non indica quali e quanti siano i fattori che possono avere
un qualche impatto sugli extra-rendimenti. Una prima strategia di verifica dell'APT può
essere quella di fissare a priori il numero dei fattori, e approssimarli con alcune variabili
economiche.
La scelta di queste variabili economiche è stata spesso un processo arbitrario e molto
controverso; Chen, Roll e Ross (1986), ad esempio, individuarono cinque variabili
macroeconomiche che secondo loro influenzano i rendimenti azionari: tasso di crescita
della produzione industriale, le variazioni dell'inflazione attesa, l'inflazione inattesa, il
premio per il rischio e la differenza tra i rendimenti di obbligazioni a lunga scadenza e
quelle a breve. Anche altri economisti, tra cui Groenewold e Fraser e Cheng, cercarono di
individuare fattori comuni ai rendimenti basandosi su analisi di serie storiche passate e
covarianze tra le variabili. 9
3
Tra i tanti si ricordano Fama e French , che hanno proposto un modello a tre fattori in cui,
oltre al portafoglio di mercato, si identificano come fattori capaci di dare una spiegazione
empirica del rendimento atteso:
• la differenza tra il rendimento atteso da un portafoglio composto da titoli a bassa
capitalizzazione e il rendimento di un portafoglio di titoli ad alta capitalizzazione
(SMB, small minus big)
• differenza tra il rendimento atteso di un portafoglio composto da titoli con un forte
rapporto valore contabile-valore di mercato e il rendimento atteso di un portafoglio
composto da titoli con un debole rapporto valore contabile-valore di mercato.
Approccio alternativo a quello della definizione arbitraria dei fattori è, invece, quello
statistico tramite il quale i fattori sono ottenuti tramite tecniche matematiche quali l'analisi
fattoriale e l'analisi delle componenti principali. Entrambe le strategie si basano, tuttavia,
sulla scomposizione del rischio totale in rischio fattoriale e rischio specifico e in questa
sede verrà utilizzato l'approccio statistico basato sull'analisi delle componenti principali.
3 Eugene Fama è un'economista statunitense nato a Boston nel 1939 da una famiglia di origini italiane; è noto
soprattutto per i suoi studi sulla teoria del portafoglio e l'asset pricing. Kenneth French, invece, è docente di Finanza
presso la Tuck School of Business ed è stato presidente della American Finance Association nel 2007. 10
CAPITOLO 3
LA COSTRUZIONE DI UN PORTAFOGLIO DI TITOLI
3.1 Il Contesto economico Italiano
La crisi finanziaria internazionale, iniziata nel 2007, ha colpito duramente l'economia
italiana. La conseguenza più evidente che emerge dalle analisi macroeconomiche degli
ultimi anni è un pesante calo del tasso di risparmio delle famiglie italiane, in passato
elevato rispetto alla media internazionale. La propensione al risparmio degli italiani, da
sempre un popolo di risparmiatori, a partire dal 2009 ha visto un calo tale da divenire
perfino inferiore a quella media dell'area dell'euro.
Figura 3.1: Propensione al risparmio: confronto internazionale
A ciò si affianca la variazione registrata nell'andamento della ricchezza netta, ridotta
rispetto al passato, in cui vi era un flusso di risparmio elevato e un basso livello di
indebitamento delle famiglie italiane.
La contrazione della domanda nazionale, inoltre, ha pesato molto sull'attività economica in
Italia. La flessione dei consumi, infatti, è stata superiore a quella del reddito disponibile
che ha risentito, a sua volta, delle persistenti difficoltà del mercato del lavoro.
Gli investimenti di questi anni, inoltre, sono stati frenati dall'incertezza sulle prospettive
dell'attività, basso grado di utilizzo della capacità produttiva e condizioni di finanziamento
molto rigide.
Il Pil italiano nel 2009 ha visto una riduzione pari al 5 per cento, la più marcata del
dopoguerra. Dopo una lenta ripresa si è verificato un'ulteriore calo nell'estate 2011, che si
11
è gradualmente attenuato nel corso del 2013 in cui, nel trimestre finale si è verificata la
prima, seppur modesta, variazione positiva.
Figura 3.2: Andamento del Pil italiano tra il 2000 e il 2013
Le condizioni finanziarie delle imprese, seppur in lieve miglioramento restano ancora fragili
portando a redditività e investimenti a livelli molto bassi.
Questo perché il deterioramento dei bilanci ha indotto le banche ad agire ancora con
cautela nella concessione del credito; i tassi di interesse applicati sono rimasti superiori a
quelli osservati in altri paesi dell'area euro e i prestiti bancari sono diminuiti per il secondo
anno consecutivo. Rispetto agli anni precedenti, nel 2013 infatti un numero maggiore di
imprese ha fatto ricorso al mercato obbligazionario e azionario. 4
Per quanto riguarda la composizione del portafoglio degli italiani, inoltre, nel 2010 si rileva
che poco più della metà della ricchezza finanziaria è detenuta in forma liquida, depositata
in banca o presso un ufficio postale: la quota di depositi nel portafoglio delle famiglie era
attorno al 54%.
La percentuale di attività rischiose posseduta dalle famiglie è circa la metà (23%) e i titoli
pubblici rappresentano appena l'11% della ricchezza, in diminuzione rispetto agli anni
novanta in cui gli italiani investivano in titoli pubblici almeno un terzo delle attività totali.
In questi vent'anni parte dei titoli pubblici è stata sostituita da obbligazioni bancarie il cui
peso tra le attività è notevolmente aumentato durante la crisi; questo perché le banche, a
fronte delle crescenti difficoltà e restrizioni di reperimento fondi sono state incentivate
all'emissione di titoli e conseguente acquisto da parte degli investitori.
In Italia, inoltre, esistono altre variabili strutturali che influenzano l'economia, si parla
4 Per ulteriori approfondimenti si veda Bartiloro L., Rampazzi C. “Questioni di economia e finanza, il risparmio e la
ricchezza delle famiglie italiane durante la crisi” (2013) 12
soprattutto dell’enorme debito pubblico, sia dal punto di vista relativo (il 133% del Pil
contro il 106% registrato nel 2008) sia in valore assoluto (oltre 2mila miliardi secondo le
ultime rilevazioni Eurostat), due grandezze che evidenziano un’instabilità crescente e ampi
margini di speculazione, visto che una crescita del debito implica un aumento delle
obbligazioni circolanti sul mercato. Inevitabile, quindi, che l’Italia possa essere ancora uno
dei principali obiettivi nel caso di eventuali ondate speculative.
3.2 Analisi empirica
3.2.1 Analisi dei dati
I 10 titoli presi in esame sono stati scelti tra quelli che compongono l'indice FTSE MIB.
Di seguito una breve descrizione delle società emittenti dei titoli scelti e alcuni degli
avvenimenti più importanti accaduti a loro durante il periodo in analisi:
1. Autogrill: è il primo operatore del mondo nei servizi di ristorazione. É presente in
38 paesi con circa 62.800 dipendenti e gestisce più di 5.300 punti vendita in oltre
1.200 località. Nel 2010 Autogrill ha ceduto le attività c.d. "Flight", ovvero la fornitura
di prodotti e merci per la ristorazione e la vendita a bordo degli aerei, a Dnata,
società leader nei servizi aeroportuali in Medio Oriente e nel 2013 è entrata nel
mercato russo costituendo Autogrill Russia.
2. Enel: (Ente Nazionale per l'Energia Elettrica) è una società per azioni principale in
Italia e seconda in Europa tra quelle fornitrici di energia elettrica. Nel 2008 ha
costituito Enel Green Power, la società del gruppo dedicata allo sviluppo e alla
gestione della produzione elettrica da fonti rinnovabili nel mondo. A seguito
dell'acquisizione della compagnia elettrica spagnola Endesa, Enel è ora presente in
40 Paesi, con una capacità installata netta di circa 95.400 MW, e serve più di 61
milioni di clienti nell'elettricità e nel gas.
3. Eni: Azienda multinazionale creata dallo Stato Itali