3. L’OPEN CONTENT E LA FREE CULTURE
3.1 Storia dell'approccio Open e della Free Culture
Già nel primo capitolo introduttivo della tesi si iniziavano a accennare ai problemi
che riguardano la definizione chiara e specifica del concetto di Open. Quando si
parla di Open e soprattutto quando si cerca di trovarne un’adeguata descrizione si
evidenziano alcuni problemi principali. Il primo problema che si affronta è il fatto
che la sua storia è strettamente collegata da una parte a un movimento intellettuale
e politico che nasce al di fuori della comunità accademica e vive sempre ai
margini di essa permeandola solo saltuariamente e non lasciando, quindi, la
possibilità di uno studio sistematico. Per quanto molti dei teorici di cui si tratterà
qui hanno attraversato nella loro carriera gli spazi accademici, lo spirito di fondo
del movimento Open mette spesso in critica la chiusura formale o sostanziale di
questi luoghi all’esterno e al pubblico, considerandoli elitari (Ryan, 2021). Il
dibattito infatti su questo argomento si sviluppa quindi in contesti trasversali tra
discipline e ambienti differenti. E’ importante sottolineare, quindi, che la
difficoltà di indagine dell’approccio Open non è legata al fatto che nasca su basi
teoriche fragili ma che non avendo un autore di riferimento sistematico ci si
confronta con letteratura differente, con autori in continua evoluzione, in continuo
dibattito all’interno di una comunità di studio variegata. Inoltre non si tratta di un
movimento dalle sole rivendicazioni teoriche, i fondatori di questo pensiero erano
e sono tutt’ora intellettuali impegnati in questa battaglia. Troviamo personaggi
rilevanti della hacker culture insieme a giuristi, i quali non si sono fermati allo
scrivere manifesti teorici ma hanno iniziato battaglie politiche e prodotto licenze
che rendessero possibile l’applicazione pratica da un punto di vista giuridico della
cultura Open (Dibona, 1999). Questa difficoltà genera un problema direttamente
conseguente, quello della classificazione di tutte quelle teorie più specifiche che si
sono originate, come l’Open Content o l’Open Source di cui si parlerà
successivamente. Infine, prima di procedere con un tentativo di definizione e
sistematizzazione dell’approccio Open è necessario sottolineare un ultimo
ostacolo nello studio della teoria. Infatti, come spesso avviene nei movimenti
quella che è una proposta teorica diventerà un manifesto politico e non un 38
semplice studio speculativo. Ciò, ovviamente, non è un problema di per sé ma
sarà necessario prestare più attenzione alle derive ideologiche che contaminano lo
studio. Quando si parlerà di pregi e difetti della cultura Open si affronterà un
terreno spesso polarizzato in cui muoversi con attenzione.
Il modo migliore per riuscire a definire l’approccio Open è tracciare la storia del
movimento e di questo pensiero, provando a rendere chiari i punti di frizione tra i
suoi attori e costruendo così una genealogia che permetta anche di spiegare quali
sono le ramificazioni successive di cui si parlava poco sopra.
La nascita del movimento può essere fatta risalire ai primi anni 80 del Novecento
ma è necessario capire quali siano gli antecedenti di questo punto di svolta. Come
avviene nella gran parte dei casi, le teorie, le invenzioni e le scoperte non sono il
frutto di una mente geniale ma il susseguirsi di una serie di intuizioni che
traggono elementi da idee e studi precedenti e emergono nei loro momenti topici
come espressione di una serie di bisogni di massa.
L’ambiente in cui si sviluppa l’approccio Open è quello informatico. Negli anni
40’ i computer nel mondo erano pochi e ogni computer aveva hardware molto
differenti, ciò rendeva quasi sempre incompatibili i software con computer diversi
da quelli per cui erano stati progettati. Il problema della proprietà dei software e
quindi dei codici era molto diverso da quello che abbiamo attualmente. I primi
codici venivano resi pubblici, pensati più come scoperte scientifiche che come
oggetti di consumo. Poche persone avevano le possibilità di accedere ad un
software e ancora meno di comprenderlo a fondo. I software che venivano
pubblicati erano quasi impossibili da decifrare se non per gli studiosi e erano
quasi sempre incompatibili con i pochi computer prodotti.
Negli anni 50’ fu messo in commercio il primo computer elettronico, il Ferranti
Mark 1, tra questo decennio e quello successivo i software e i codici sorgente
connessi continuavano a circolare. In questo periodo si iniziavano a vedere i primi
esempi di ridistribuzione dei codici sorgente. Le prime modalità di replicazione
erano rudimentali e gli strumenti e le conoscenze per compiere tale processo
erano ancora in mano a pochi appassionati di informatica o studiosi. Tra la fine 39
degli anni 60’ e l’inizio degli anni 70’ le aziende iniziarono a commerciare
computer con software privati poiché gli utenti erano sempre di più e molti di essi
avevano esigenze simili lavorando in aziende dai compiti standardizzati che
richiedevano programmi con funzionalità limitate e specifiche (Moody, 2001).
L’introduzione dei sistemi operativi che permettevano di utilizzare programmi su
computer diversi e la conoscenza dei linguaggi di programmazione da parte degli
utenti rendeva sempre più urgente creare software coperti da licenze private che
impedissero la distribuzione e la diffusione dei codici dei programmi stessi.
Inoltre il business maggiore del mercato dell’epoca si stava sempre più spostando
dal settore hardware a quello software, per le aziende produttrici di software
diventava sempre più sconveniente la presenza di software concorrenti che
circolassero gratuitamente.
Nel 1969 i software bundle, ovvero i software non proprietari che circolavano
liberamente, furono definiti anticoncorrenziali dal governo degli Stati Uniti
d’America. Negli anni 70’ le aziende di computer iniziarono a produrre dei
software da vendere insieme all’hardware. I software che venivano venduti
avevano specifiche tali per cui non era possibile utilizzarli insieme ad altri
computer ma la conoscenza dei linguaggi di programmazione condivisi con cui
erano scritti i software dei sistemi operativi permetteva agli appassionati, con
alcune modifiche al programma, di utilizzare codici pensati per funzionare su
determinati modelli di computer adattandoli a sempre più modelli. Nel 1982 si
individua un punto di svolta fondamentale. La AT&T, una storica azienda
statunitense di comunicazioni che ha mantenuto per gran parte del 900’ il
monopolio in USA e Canada in questo settore ricevette una storica sentenza
dell’Antitrust che la costrinse a smembrarsi in 26 società dette Baby Bell. Questo
smembramento permise alla AT&T di iniziare a vendere il sistema operativo di
sua produzione, l’Unix, innalzò il costo delle licenze e impedì i patch, ovvero le
correzioni che gli utenti apportavano al software. I produttori di hardware durante
questi anni iniziarono a produrre versioni modificate di Unix. Queste modifiche
seppur minime non permettevano di utilizzare i programmi pensati per una
determinata versione del sistema operativo Unix su un aversione differente. Tutto 40
ciò portò ad una esponenziale diffusione del Copyright dei codici sorgente dei
programmi.
Questa che si è tracciata è una breve storia del terreno da cui l’Open Content
nascerà. Prima di procedere e arrivare alla formazione dell’idea di open
movement per come lo conosciamo ora serve fare una precisazione. Quando si
parla delle prime forme di approccio Open nella sua fase iniziale parliamo di un
tipo di Open Culture ben specifico, il primo, da cui poi nasceranno le riflessioni
più generali rispetto all’Open Culture. In questa prima fase più che parlare di
approccio Open, categoria che sarà coniata a posteriori, si può parlare di Open
Source. Il codice Open Source è un codice la cui licenza applicata dai detentori
dei diritti favorisce la modifica, lo studio, la redistribuzione del codice sorgente.
Quando si parla di questi tipi di codici non è necessario che essi siano gratuiti, è
sufficiente e necessario, invece, che il codice sia trasparente e modificabile dagli
utenti (Piana, 2018).
Dal quadro storico che si sta delineando risulta evidente che più che parlare di
nascita dell’approccio Open in informatica si dovrebbe parlare di nascita del
software privato poiché l’approccio Open nasce in concomitanza all’informatica
ed è stato uno strumento centrale e fondamentale per il suo stesso sviluppo. E’
possibile pensare al codice Open Source come qualcosa nato in un legame
indissolubile con l’informatica e le licenze private come un tentativo di arginare
l’approccio Open o pensare al codice Open Source come qualcosa che nasce come
risposta alle licenze private. Si può dire che entrambe le affermazioni siano vere.
E’ innegabile come l’open source nasca come elemento connaturato e sostanziale
dell’informatica. Con la nascita dei software proprietari e con l’istituzione
giuridica delle licenze, anche i codici Open Source dovettero assumere un uno
statuto giuridico, nella forma delle licenze, statuto che fino a quel momento non
era stato necessario poiché non c’era codice che non fosse Open Source. Una
seconda questione da sottolineare prima di procedere nel delineare la storia
dell’approccio Open è il fatto che esso nasca nella prassi e non da una teoria, nello
specifico nasce come generalizzazione e rielaborazione dell’Open Source. Questo
dettaglio risulta importante per la premessa che si faceva nella prima parte di 41
questo capitolo, infatti si noterà come nel conoscere i teorici principali di questo
movimento ci si imbatterà in figure sempre al limite tra l’essere intellettuali e
attivisti.
Nei primi anni 80’ il Massachusetts Institute of Technology (MIT), una delle più
importanti università del mondo con sede a Cambridge rese impossibile ai
programmatori di accedere ai nuovi driver delle stampanti compromettendo la
possibilità di attuare modifiche che rendevano le stampanti più comode e
funzionali. Le stampanti precedenti, modificate dai ricercatori, permettevano agli
utilizzatori di sapere quale delle stampanti nello stabile non fossero bloccate o in
utilizzo, ciò permetteva ai ricercatori di perdere molto meno tempo. La pratica di
rendere invisibili i codici sorgente tramite accordi di non divulgazione si fece
sempre più comune in ambiente accademico e aziendale. Molti programmatori
iniziarono a rifiutarsi di lavorar
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