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Il Vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile
Negli anni immediatamente successivi alla Conferenza di Rio, infatti, le Nazioni Unite presero coscienza dell'inadeguatezza delle misure adottate per garantire la protezione dell'ambiente a livello globale. Al peggioramento delle condizioni ambientali si è accompagnata una forte crescita della povertà su scala globale. L'incertezza di sviluppo sostenibile, inoltre, ha reso sempre più necessaria la formulazione di parametri oggettivi capaci di garantire il rispetto dell'ambiente da parte dei singoli Stati. È su queste premesse che le Nazioni Unite svilupparono la volontà di convocare una nuova Conferenza internazionale: questa si è tenuta a Johannesburg tra il 26 agosto e il 4 settembre 2002, ed è nota come "Vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile". A livello strutturale, il Vertice presenta alcune novità importanti. Il maggiore aspetto innovativo è rappresentato dallapartecipazione di attori non-statali. È, quindi,72 In occasione della COP 26 che si terrà a Glasgow nel novembre 2021, si comincerà, infatti, a definire il percorso da intraprendere per il futuro.73 V. per maggiori dettagli v. Risoluzione adottata dal Summit on Sustainable Development in Johannesburg del 4 settembre 2002, Johannesburg Declaration on Sustainable Development (in seguito Johannesburg Declaration), UN Doc. A/CONF.199/20 del 2002.74 Per maggiori dettagli v. Paris Agreement, entrato in vigore il 4 novembre 2016, disponibile online all'indirizzo: https://unfccc.int/files/meetings/paris_nov_2015/application/pdf/paris_agreement_english_.pdf. Fu l'Assemblea75 generale delle Nazioni Unite, date le condizioni esposte, a prevedere la convocazione del World summit on Sustainable Development, con la Risoluzione n. 55/199 del 20 dicembre 2000.76 Per un approfondimento, v. M. Montini, Evoluzione, principi e fonti del diritto internazionale dell'ambiente,
in P. Dell'Anno, E. Picozza (a cura di), Trattato di diritto dell'ambiente, Padova, 2012, pp.22-23. 24
È consentita la partecipazione alle riunioni anche dei rappresentanti di gruppi di interesse, allo scopo di rendere partecipe alle decisioni in materia di sviluppo sostenibile anche la società civile. Anche a livello organizzativo il Vertice presenta forti differenze rispetto alle precedenti Conferenze internazionali. L'obiettivo fondamentale del Summit, infatti, non è quello di elaborare nuovi principi e favorire l'adozione di ulteriori trattati internazionali, bensì quello di valutare i risultati perseguiti dal 1992 in poi, pensando alla realizzazione dell'obiettivo dello sviluppo sostenibile tramite un approccio di equo bilanciamento delle sue tre componenti essenziali: con Johannesburg, alle nozioni di sviluppo economico e tutela ambientale si aggiunge il concetto di sviluppo sociale. Il principale scopo del Summit del 2002 è stato
quello di dare concreta attuazione agli strumenti adottati a Rio dieci anni prima, tramite la previsione di misure concrete, ben definite scadenze temporali e necessità istituzionali e finanziarie. I risultati scaturiti da Johannesburg possono essere suddivisi in due categorie: le partnership di cooperazione intergovernativa ("Type 1 Partnerships") nelle quali trovano posto la Dichiarazione di Johannesburg sullo sviluppo sostenibile e il Piano d'attuazione, e le partnership in via di sviluppo, dell'obiettivo di favorire il perseguimento, soprattutto ad opera dei paesi in via di sviluppo, dello sviluppo sostenibile. Si tratta di opere di collaborazione tra Stati e soggetti privati (che forniscono sia risorse tecniche che finanziarie) allo scopo di realizzare specifici progetti di sviluppo nei diversi Stati. I risultati raggiunti, tuttavia, sono stati oggetto di diverse critiche. La Dichiarazione di Johannesburg,suddivisa in sei paragrafi articolati in 37 punti, ha la sua debolezza nel carattere strettamente politico che ha assunto. Essa nasce come dichiarazione meramente politica di impatto mediatico e, in un certo senso, etico, retta da prese di posizione generiche ed affermazioni tutt'altro che innovative. Il documento appare voler confermare gli impegni assunti prima a Stoccolma e poi a Rio, riconfermando alla realizzazione dello sviluppo sostenibile senza prevedere nuovi principi vincolanti ma riconfermando quelli formulati nelle Dichiarazioni precedenti. Ciò può essere osservato analizzando il punto 8 della Dichiarazione, il cui obiettivo è quello di proseguire nella realizzazione di uno sviluppo sostenibile secondo la linea tracciata dal Summit di Rio. Nel complesso, quindi, la Dichiarazione è "una l'affermazione di una nuova agenda per lo sviluppo (definito pietra miliare per sostenibile)".Di Johannesburg, nonostante detti le sfide che gli Stati sono chiamati ad affrontare per un futuro all'insegna della sostenibilità e impegno allo sviluppo sostenibile tramite l'azione ribadisca il comune collegiale degli Stati come singola forza collettiva (facendo della partnership il principale mezzo di realizzazione del cambiamento) non contribuisce né alla progettazione di nuovi principi in materia né al consolidamento dei principi già esistenti, assumendo una funzione assai meno rilevante rispetto alle precedenti Dichiarazioni.
Dal Vertice in poi, si assume la consapevolezza della necessità di coinvolgere all'interno dei processi decisionali anche i soggetti non statali, ragionando in termini universali e, in secondo luogo, della problematica ambientale abbia perso di rilevanza sul si prevede l'elaborazione di nuovi accordi internazionali a piano internazionale. Non protezione dell'ambiente e ciò contribuisce a
Consolidare la tesi secondo la quale il diritto internazionale ambientale, i cui obblighi sono spesso vaghi e di carattere ampio, non sia un sistema che tuteli a pieno l'ambiente, idoneo a garantire, a livello globale.
È inutile, quindi, ribadire come il bilancio di Johannesburg sia fortemente negativo: alla formulazione di un Piano di attuazione dalle frasi generiche e sommarie si associa sia la mancata previsione di impegni sostanziali a tutela di specifici settori sia il difficile clima politico tra gli Stati, in particolare tra Stati ricchi e paesi in via di sviluppo. Le esigenze di cooperazione e coordinamento statale a tutela dell'ambiente sono state spesso superate tanto dall'ostruzionismo degli Stati più avanzati (gli Stati Uniti tra tutti), preoccupati che una normativa ambientale troppo rigida potesse porre forti limiti alla loro costante crescita economica, quanto dall'ostilità dei paesi in via di sviluppo, i quali considerano il rispetto di
particolari canoni ambientali come un obiettivo assolutamente secondario rispetto al proprio sviluppo economico (perseguito tramite lo sfruttamento disinteressato delle risorse naturali e l'impiego incontrollato del petrolio)79. L'incompiutezza del Vertice di Johannesburg, la sempre maggiore criticità della questione ambientale, la mancata formulazione di obblighi giuridicamente vincolati atti alla protezione dell'ambiente e a carico degli Stati e la parziale attuazione degli accordi internazionalmente conclusi hanno provocato due conseguenze: da un lato, la comprensione della complessità della nozione di sostenibilità (si comincia, infatti, a riflettere anche sulla sua dimensione sociale)80 e, dall'altro, la prosecuzione delle sessioni della Conferenza della Parti (COP), le quali fino al 2015 non hanno prodotto risultati rilevanti. Ad eccezione, infatti, della Conferenza
Tenutasi tra il 28 novembre e il 9 dicembre 2011 a Durban in Sud Africa, l'unica Conferenza di particolare rilievo in questi anni è quella tenutasi a Parigi nel dicembre 2015.
La Conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici (COP 21) si è conclusa con l'adozione dell'Accordo di Parigi, noto anche come Accordo sul Clima: un accordo fondamentale che mira alla riduzione delle emissioni inquinanti. L'obiettivo che Parigi si è proposto di raggiungere è il mantenimento dell'aumento medio della temperatura globale sotto i 2°C rispetto al livello dell'era preindustriale, puntando a limitarne la crescita entro gli 1,5°C. Particolarità dell'Accordo è il fatto di essere stato sottoscritto anche da paesi già in via di sviluppo (la Cina tra gli altri): ciò è, soprattutto, dovuto all'impegno assunto dagli Stati sviluppati di contribuire allo sviluppo di tecnologie.
“rispettose dell’ambiente” al servizio dei 84paesi economicamente più arretrati .Inoltre, soggetti come città, regioni ed enti locali sono stati chiamati ad accrescere il loro80 Per un approfondimento sulle diverse accezioni di sostenbilità v. F. Fracchia, Principi di dirittoin P. Dell’Anno, E. Picozza (a cura di), Trattato di diritto dell’ambiente,ambientale e sviluppo sostenibile,Padova, 2012, pp. 585-592.
Nella quale gli Stati membri hanno assunto l’impegno di riconfermare il81 Protocollo di Kyoto e dielaborare entro il 2015 un nuovo protocollo per ridurre le emissioni di CO2; per maggiori dettagli v. B.Tonoletti, Da Kyoto a Durban. Il cambiamento climatico nel quadro internazionale, in G. F. Cartei (a curadi), Cambiamento climatico e sviluppo sostenibile, Torino, 2013, pp. 49-56.
Per un’analisi più approfondita, G. D’Andrea,82 v. op. cit., pp. 240-244.
83 Il trattato è entrato in vigore il 4 novembre 2016,
dopo che 175 Stati delle 197 Parti della Convenzionequadro hanno sottoscritto l'Accordo e 55 Stati, responsabili del 55% delle emissioni globali, hanno depositato il loro strumenti di ratifica.84 G. Rossi, op. cit., pp. 34-35. 27impegno alla riduzione delle emissioni ed a promuovere una maggiore cooperazione a85livello regionale ed internazionale. l'Accordo è stato completamente ribaltato l'approccioCon di Parigi del 2015, dunque, del 1997: si è passati dall'assunzione di regole "top-assunto dal Protocollo di Kyoto(calate dall'alto), il cui controllo eradown esercitato attraverso la previsione di rigidetrasgressori, a regole "bottom-up" con le quali, tramite l'adozionesanzioni per i soggettipiani generali nazionali per l'azione per il climadi (NDC, Nationally DeterminedContributions), sono le Parti contraenti a stabil