INTRODUZIONE
A partire dalla prima definizione di “Disturbo autistico del contatto affettivo”, data da
Kanner nel 1943, numerose ricerche si sono focalizzate sull'autismo, sindrome sempre
più comune quanto affascinante. Le Linee Guida per il trattamento dei disturbi dello
spettro autistico nei bambini e negli adolescenti hanno definito l’autismo una sindrome
comportamentale causata da un disordine dello sviluppo, biologicamente determinato,
con esordio nei primi 3 anni di vita (SNLG - Istituto Superiore di Sanità - 2011).
Le aree sintomatologiche, che saranno successivamente presentate, si possono ritrovare
in un ampio continuum di disturbi cognitivi, associati a disturbi neuro-comportamentali,
definiti “disturbi pervasivi dello sviluppo” o “disturbi dello spettro autistico” (American
Psychiatric Association, 1994).
L'autismo si presenta come una patologia indipendente dal livello intellettivo del
soggetto: per questo motivo, la diagnosi del disturbo viene solitamente formulata a
partire dall'interpretazione dei comportamenti osservati direttamente nel bambino; ciò
non permette, spesso, l'avvio di un intervento precoce e mirato per l'autismo, poiché
diventa difficile distinguere gli effetti del disturbo dagli effetti delle altre condizioni
patologiche.
In generale, può manifestarsi con possibili complicazioni mediche, ritardo nello
sviluppo motorio, nello sviluppo dell'attività e dell'intelligenza senso-motoria,
compromissione dell'uso del pensiero simbolico, della comunicazione non verbale e del
linguaggio verbale. 1
Comporta, spesso, ritardo mentale (moderato o grave), ma si caratterizza da esso, in
quanto presenta una discrepanza tra lo sviluppo cognitivo e lo sviluppo comunicativo,
linguistico e sociale, più compromessi.
L'autismo e, in generale, tutti i disturbi pervasivi dello sviluppo, viene caratterizzato
dalla presenza di menomazioni qualitative in tre aree principali (Wing e Gould, 1979):
interazione sociale;
comunicazione sociale;
attività immaginativa sociale (presenza di interessi, comportamenti e
attività ristretti e stereotipati).
I sintomi più precoci dell'autismo segnalano il coinvolgimento dei sistemi cerebrali che
supportano lo sviluppo linguistico e sociale (Osterling & Dawson, 1994; Palomo,
Belinchon & Ozonoff, 2006): i bambini autistici molto piccoli guardano per meno
tempo le altre persone, sono meno responsivi quando vengono chiamati per nome, e non
sviluppano capacità gestuali precoci, come la capacità di indicare (pointing).
La prevalenza più attendibile, secondo gli ultimi studi, sembra essere di 1 caso su 88
nati, con un rapporto maschi-femmine di 4/5:1 (US Center for Disease Control and
Prevention, 2012). Questi nuovi dati segnalano un aumento del 78% dei casi di autismo,
dal 2003 al 2008.
L’autismo sembra essere il risultato finale di situazioni patologiche con diversa
eziologia. In base alle attuali conoscenze, è una patologia psichiatrica con un elevato
tasso di ereditabilità (il rischio che un fratello abbia lo stesso disturbo può arrivare a
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1:20), con una significativa concordanza nei gemelli monozigoti; quindi, si ritiene che la
causa possa essere poligenica (Vianello, 2008). Tuttavia, persistono ancora notevoli
incertezze in termini di eziologia, di elementi caratterizzanti il quadro clinico, di confini
nosografici con sindromi simili, di diagnosi e di evoluzione a lungo termine (SNLG -
Istituto Superiore di Sanità - 2011).
Si potrebbero scrivere pagine e pagine sull'autismo, ma ho scelto di soffermarmi sul
gioco, sia come strumento per potenziare aspetti specifici deficitari, sia come aspetto da
potenziare attraverso un trattamento strutturato.
Nella prima parte affronterò lo sviluppo delle abilità di gioco nei bambini normodotati,
fino ai 6 anni; successivamente, analizzerò le caratteristiche del gioco nei bambini con
autismo, definendo le caratteristiche di un trattamento basato sul gioco e proponendo,
infine, esempi concreti di attività.
Ho potuto avvicinarmi all'autismo grazie ad un'esperienza di alcuni mesi, passata al
Centro Educativo per Bambini Autistici “Millepiedi” (Chiesanuova di San Donà di
Piave - VE), dove ogni collega incontrato ha fatto crescere in me, attraverso il proprio
lavoro, un grande interesse per questo disturbo, dandomi suggerimenti indiretti, che ho
utilizzato per scrivere molto di quello che c'è in questa tesi, ma che serviranno
sicuramente ad illuminare la mia strada futura nel vasto mondo della Psicologia.
Alessio Bellato
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CAPITOLO 1 – IL GIOCO
Il gioco è un'attività ricreativa che coinvolge una o più persone (Galimberti, 2006) e
racchiude in sé l'aspetto gratificante per un bambino. La costruzione dell’identità
personale, l'espressione della personalità del bambino, la promozione dell’autonomia e
della progettualità, l’accesso al mondo simbolico e lo sviluppo dell'atteggiamento
empatico sono le sue principali finalità (Bondioli, 1996).
Il suo punto di forza sta nell'essere un'attività creativa e originale, libera e spontanea,
che il bambino riconosce e vive come l'attività più gratificante della sua infanzia.
1.1 Sviluppo tipico delle abilità di gioco nei bambini
Nel primo anno di vita, il bambino sviluppa le prime abilità di gioco sensoriale e
motorio: gioca con il corpo, agita le mani, muove le gambe, ricerca, afferra, scuote,
manipola e mette in bocca diversi oggetti.
A 7/9 mesi, il bambino ha già iniziato ad esplorare il mondo: si sposta, cambia il suo
punto di vista e la sua posizione rispetto alla figura materna. Avviene la scoperta del
piacere e della necessità di uno scambio sociale: in questo momento dell'infanzia,
comincia a crescere in ogni bambino una forte motivazione allo scambio di suoni, gesti,
movimenti e oggetti (Xaiz, Micheli, 2001).
Il primo contatto sociale avviene, come già detto, con la mamma, ed è un momento
fondamentale per l'intero sviluppo sociale del bambino: comincia a svilupparsi
l'intersoggettività, quel processo di co-costruzione di significati emotivi socialmente
condivisi, fondato sull'indispensabile insieme coordinato di atti motori, percettivi,
cognitivi ed emotivi, necessari alla capacità spontanea di riferirsi ad un'altra persona.
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Tra la fine del primo e l'inizio del secondo anno di vita, il gioco del bambino si
sviluppa, finché il linguaggio gli permette di prendere l'iniziativa nella realtà sociale.
Attorno ai 12 - 13 mesi di vita (Ungerer e Sigman, 1981), dopo un periodo di analisi
sensoriale della qualità degli oggetti, il gioco diventa combinatorio: il bambino
sperimenta la relazione tra gli oggetti, cercando di metterne in relazione almeno due;
inizialmente, la relazione può non essere significativa (es: scontro involontario tra l'uno
e l'altro oggetto), mentre, successivamente, il bambino dimostrerà di saper mettere in
relazione gli oggetti in maniera non casuale, ma volontaria. Con lo sviluppo del gioco
funzionale, il bambino dimostra di aver appreso il significato sociale degli oggetti e il
loro rapporto funzionale (es: cucchiaio/piatto, pettine/capelli di una bambola,
pompetta/palloncino). Inizialmente, il gioco funzionale è orientato solo verso l'oggetto
(ad esempio, il bambino, davanti ad un telefono giocattolo, alza la cornetta e poi
riaggancia): solo successivamente, il bambino sarà in grado di orientare il gioco verso sé
stesso, verso un pupazzo e, infine, verso gli altri.
Attorno ai 18 mesi, il bambino è pronto per sviluppare il vero e proprio gioco simbolico:
d'ora in poi, potrà attribuire, ad ogni oggetto, un significato che prescinde dalle sue
funzioni reali e potrà simulare attività di routine quotidiana, attraverso cui si sviluppano
le competenze sociali.
Solo nei primi atti di finzione il bambino è l'unico ad avere un ruolo attivo. A poco a
poco anche l'oggetto prende vita e, attraverso le azioni del bambino, “potrà” parlare,
mangiare e camminare. Con il tempo, inoltre, diminuisce la necessità di oggetti
concreti: qualsiasi oggetto viene usato, nei modi e con le funzioni che egli stesso
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inventa e immagina. La comparsa del gioco di finzione indica che il bambino possiede
delle meta-rappresentazioni: il «far finta» dimostra l'acquisita capacità di comprendere e
produrre un comportamento in relazione ad una rappresentazione mentale (Frith, 1999).
Fino ai 3 anni, il bambino talvolta preferisce giocare da solo, in disparte, o osservare gli
altri giocare (comportamento osservativo: in questo modo, egli impara a giocare);
tuttavia, nella maggior parte dei casi, sta accanto ad altri bambini che giocano come lui
(gioco parallelo). Solo attorno ai 4/5 anni, il gioco parallelo e, ancora più
frequentemente, le attività di gruppo organizzate, vengono preferiti al gioco individuale:
scambiarsi i giocattoli, fare giochi simili ai bambini vicini (gioco associativo) e tentare
di raggiungere un certo fine in un gioco comune (gioco cooperativo) sono esempi di
attività ludiche dei bambini di quest'età (Parten & Newhall, 1943).
I progressi dello sviluppo sociale si manifestano anche nel gioco: il bambino, da questo
momento dello sviluppo in poi, preferirà sempre di più il gioco cooperativo e ciò
rispecchierà il crescente interesse per i coetanei e per l'interazione con essi.
1.2 Caratteristiche del gioco nei bambini con autismo
Il bambino, nei suoi primi anni di vita, comunica con il mondo esterno attraverso il
gioco, il quale può fornire agli adulti delle informazioni importanti sul suo
comportamento e sviluppo.
In genere, i bambini autistici non sviluppano le stesse capacità di gioco degli altri
bambini. Baron-Cohen, più di vent'anni fa, faceva notare come il gioco simbolico fosse
assente (o estremamente carente, ma solo in pochissimi casi) nei bambini autistici, i
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quali, invece, dimostravano di sviluppare un adeguato gioco senso-motorio,
combinatorio e funzionale (Baron-Cohen, 1987).
Le tappe dello sviluppo del gioco, precedentemente descritte, si presentano in ritardo
rispetto allo sviluppo tipico, nel bambino autistico. Per cui, a 18 mesi, quando
tipicamente si sviluppa il gioco simbolico, un bambino autistico potrebbe essere ancora
nella fase della semplice manipolazione del materiale e non essere per niente motivato a
ricercare la relazione tra due o più oggetti, combinandoli tra loro, né tantomeno a
combinarli in maniera funzionale.
Il gioco dei bambini autistici presenta alcune caratteristiche atipiche, che spesso
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