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MALTRATTAMENTI E ABUSI SESSUALI CON CONSEGUENZE NEI MINORI
“Una storia personale di abuso, specie durante
l’infanzia, sembra rappresentare uno dei
maggiori fattori che predispongono una
persona a diventare un paziente psichiatrico”.
33 Judith Herman
2.1 Introduzione
Un argomento sul quale ormai oggi non esiste più alcun dubbio è il fatto che il
maltrattamento rappresenta, in tutte le sue forme, un esperienza traumatica e
devastante per il bambino che lo sperimenta. Come già esposto nel capitolo
precedente, il termine “trauma” è utilizzaato in psicoanalisi per indicare un evento la
cui intensità è tale che il soggetto costretto ad affrontarlo non è in grado di rispondere
ad esso in maniera adeguata (Galimberti, 2001).
Il bambino di fronte ad esperienze traumatiche prova intensi sentimenti di paura,
impotenza, terrore e di impossibilità di fuggire alla situazione. In questi casi si
verifica una grave alterazione del normale comportamento di cura e protezione da
parte dei genitori o di chi si prende cura del piccolo e, nella quasi totalità dei casi
l’evento si riscontra nei primi anni dello sviluppo infantile, proprio in quel periodo in
cui il bisogno di amore e di attenzione è massimo e risulta fondamentale per un
adeguato sviluppo psicosociale. Il bambino, di conseguenza non riesce a reagire e non
dispone dei mezzi adeguati per far fronte alla situazione in cui gli stessi genitori o chi
si prende cura del bambino, che dovrebbero al contrario proteggerlo lo hanno posto.
In altre parole il maltrattamento infantile provoca una vera e propria rottura della
relazione tra il bambino e il suo caregiver. Si tratta di quella relazione in cui il piccolo
viene curato con affetto e amore dai propri genitori che, nelle famiglie maltrattanti, è
fortemente alterata, quando non completamente assente. I queste situazioni il bambino
non riesce ad apprendere come comportarsi socialmente e cosa aspettarsi dagli altri
nelle situazioni sociali, non impara ad esprimere e ad interpretare le emozioni altrui. I
genitori trasmettono ai loro figli dei modelli disadattivi di comportamento emotivo e
sociale.
Inoltre, le esperienze traumatiche in genere hanno un impatto emotivo ed affettivo
talmente potente da invadere tutta la mente del soggetto il quale, per non esserne
sopraffatto, è costretto a isolare e distaccare dalla propria coscienza tutti i pensieri
relativi al trauma in questione.
Di conseguenza il maltratatmento con il suo potente impatto traumatico, altera in
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maniera indelebile il normale corso di sviluppo del bambino e il trauma, in genere, è
tanto più forte e profondo quanto più si verifica precocemente e, in molti casi perdura
per tutto il corso della vita.
Numerosi studi soprattutto quelli che si rifanno alla teoria dell’attaccamento di
Bowlby (1969, 1973, 1980), hanno dimostrato la stretta relazione esistente tra
esperienze precoci di maltrattamento e successive difficoltà adattive nel bambino in
età scolare, e anche più tardi nell’adulto.
Il maltrattamento e l’abuso sono stati, a lungo, una realtà negata e/o tollerata e
giustificata, solo in tempi relativamente recenti il fenomeno è stato riconosciuto. Un
tale cambiamento di prospettiva si è accompagnato ad un grande e profondo
movimento culturale da parte del mondo scientifico e degli operatori sociali, volto a
comprendere questo fenomeno e a studiare gli effetti a lungo e a breve termine, in
prospettiva di tutela all’infanzia e di prevenzione. I movimenti sociali e politici degli
anni ‘70, in particolare il movimento delle donne e il movimento per i diritti civili,
hanno promosso un cambiamento culturale che ha reso la violenza contro le donne
socialmente inaccettabile. Si sono messe in atto varie azioni di contrasto alla violenza
ed è iniziata in molti paesi, soprattutto di tradizione anglosassone, una consistente
attività di ricerca in proposito. Dalle ricerche sulla violenza domestica, in particolare,
emerge un aspetto molto importante, ma raramente approfondito in maniera
sistematica, e cioè l’esperienza dei figli nelle situazioni di violenza intrafamiliare. In
Italia, seppur gli eventi di maltrattamento domestico sono molto frequenti mancano
studi sia della violenza domestica sia dei maltrattamenti ai bambini; mancano anche
studi che indaghino l’esperienza di ragazze e ragazzi che sono stati coinvolti nel
maltrattamento domestico.
I maltrattamenti e le violenze ai bambini sono sempre esistiti senza che se ne avesse,
però, la consapevolezza, sviluppatasi in tempi recenti grazie ai cambiamenti che si
sono verificati al livello sociale. In molte fiabe che si raccontano ai bambini,
compaiono comportamenti violenti e abusanti di genitori nei confronti dei figli come
ad esempio le fiabe di Pollicino, Hansel e Gretel, Biancaneve, Cappuccetto Rosso, e
Cenerentola oppure, la storia di Edipo, abbandonato dal padre, con i piedi legati; la
storia di Medea che uccise i figli. Anche la Bibbia racconta di figli maltrattati ad
esempio il sacrificio di Isacco da parte di Abramo, Mosè abbandonato nel Nilo oppure
la strage degli innocenti ordinata da Erode. Dunque le fiabe e la storia ci raccontano
una realtà che ha sempre accompagnato la storia dell’umanità.
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Ogni giorno i Media ci descrivono situazioni di bambini abbandonati, picchiati,
seviziati, utilizzati a fini pornografici, ma sono, solo i casi più eclatanti che fanno
notizia e che subito dopo entrano nel dimenticatoio della vita quotidiana.
Ogni giorno molti bambini vengono maltrattati fisicamente, sessualmente e
psicologicamente.
La violenza è fatta anche di minacce, soprusi, trascuratezze, ricatti psicologici,
d’incoerenze educative che lasciano nei bambini traumi che distruggono un sereno
processo di crescita.
Per concludere, nel seguente capitolo, prenderò in esame il tema degli esiti
psicopatologici che si possono verificare nei minori vittime di maltrattamento e di
abuso sessuale. Come si è visto nelle pagine precedenti, lo sviluppo di conseguenze
psicologiche a breve e lungo termine non è automatico ma dipende dall’equilibrio
dinamico che si viene e creare tra fattori protettivi e fattori di rischio.
L’evoluzione psicopatologica del minore dipende quindi non solo dall’avere subito un
trauma ma anche dall’uso più o meno rigido, ripetitivo e massiccio di meccanismi
psicodinamici di difesa, quali la rimozione, la negazione, il distanziamento emotivo,
la scissione, la proiezione, l’idealizzazione, l’identificazione con l’aggressore e con la
vittima, che servono al bambino per controllare la sofferenza interiore, il senso di
colpa e di vergogna, la paura, la rabbia, i vissuti depressivi e angosciosi connessi
all’abuso ma anche per proteggere l’immagine interna e reale dei propri genitori,
soprattutto nei casi di abusi intrafamiliari (Montecchi, 2005).
2.2 La Teoria Dell’attaccamento
Vedremo ora come la teoria dell’attaccamento, a partire alle idee del suo fondatore
(Bowlby,1969,1973,1980) fino alle trasformazioni operate dagli autori successivi,
possa essere molto utile ai fini della comprensione delle origine e delle conseguenze
del maltrattamento infantile. A partire dalla seconda metà del primo anno di vita il
bambino è predisposto geneticamente a formare una relazione di attaccamento con la
persona che si prende cura di lui, in genere la madre . In altre parole, il piccolo ricerca
la vicinanza, il contatto e la protezione della persona a lui più vicina. Questo
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comportamento,in oltre, si accentua in presenza di pericoli ambientali (paura, dolore,
malattia) e si verifica anche in presenza di una figura genitoriale punitiva non buona e
poco accudente. La principale funzione di questa predisposizione innata è di
aumentare la probabilità di sopravvivenza del cucciolo; ma la relazione di
attaccamento fornisce anche la base sicura che consente al bambino di esplorare e di
conoscere l’ambiente circostante sapendo che in caso di pericolo egli potrà
ritornare verso la confortante figura di attaccamento. La sicurezza del bambino
nell’esplorazione dell’ambiente e nella relazione d’attaccamento promuove un
adeguato sviluppo, un senso di efficacia personale e di stima in sé stessi e lo sviluppo
delle competenze sociali. Questo è quello che accade nelle situazioni normali, in cui
la madre risponde prontamente e adeguatamente ai bisogni e alle richieste del suo
bambino, ma ci sono dei casi in cui la relazione di attaccamento risulta distorta e
problematica.
Mary Ainsworth e coll., Blehar, Waters, e Wal 1978, utilizzando la situazione
sperimentale della Strange Situation, hanno individuate tre principali tipologie di
attaccamento: sicuro, insicuro evitante, insicuro ambivalente (Tabella 1).
Gli stessi autori hanno trovato che il comportamento della madre è consistentemente
legato alla qualità dell’attaccamento del proprio bambino. Infatti, le madri dei
bambini con attaccamento sicuro risultavano disponibili e sensibili alle necessità del
bambino; le madri dei bambini con attaccamento insicuro erano poco espressive e
insensibili alle richieste di protezione e affetto da parte del piccolo (attaccamento
insicuro evitante) oppure si dimostravano ipercontrollanti e intrusive (attaccamento
insicuro ambivalente).
Per quanto riguarda il maltrattamento numerosi studi hanno mostrato che la maggior
parte dei bambini maltrattati presentano un attaccamento insicuro disorganizzato e che
quei pochi bambini maltrattati che hanno inizialmente un attaccamento sicuro, con il
tempo tendono anch’essi ad evidenziare un attaccamento insicuro. La figura di
attaccamento, infatti, serve al bambino per affrontare le normali esperienze della vita
che però nei primi anni possono a volte essere fonte di grande stress e paura se il
piccolo avverte un pericolo nell’ambiente in genere, egli cerca protezione nel
genitore; se però proprio la figura di attaccamento è allo stesso tempo la fonte e la
soluzione di questa paura il bambino si trova di fronte ad una profonda confusione in
quanto teme il genitore, ma allo stesso tempo è completamente dipendente da lui. In
genere tra il bambino e chi si prende cura di lui c’è sempre un legame, poiché per il
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bambino identificarsi con il genitore è di fondamentale importanza, non solo per le
sue funzioni principali ma anche soprattutto il costituirsi della propria personalità.
Così il piccolo utilizza i meccanismi mentali di difesa a sua disposizione e in
particolare, la rimozione, la dissociazione, l’isolamento, la regressione e la
somatizzazione per proteggere la figura di attaccamento e poterla interiorizzare.
Purtroppo, le precoci esperienze di attaccamento fungono d