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Analisi della memoria e PTSD

Il lavoro si svilupperà con l’obiettivo di analizzare ciò che avviene nella memoria e nei suoi processi nel momento in cui un individuo è esposto a un evento traumatico, arrivando a comprendere, perciò, i meccanismi fisiologici e psicologici della memoria nel contesto del PTSD. A partire da questa comprensione, si formerà un ulteriore obiettivo, ovvero l’analisi approfondita del disturbo post-traumatico da stress per poter riconoscere i sintomi e capire cosa avviene biologicamente nel nostro cervello quando si è affetti da tale disturbo, valutando inoltre l’efficacia degli approcci terapeutici non farmacologici considerati di prevenzione. L'identificazione di strategie terapeutiche efficaci potrebbe migliorare la qualità della vita dei pazienti affetti da PTSD e contribuire al progresso degli studi nel campo della psicologia clinica.

Approccio interdisciplinare

Verrà utilizzato un approccio interdisciplinare, integrando dati provenienti dalle neuroscienze, dalla psicologia dinamica, dalla psicopatologia e dalla ricerca sul trauma. Sono state raccolte, quindi, numerose fonti come articoli, riviste scientifiche e libri per analizzare completamente il fenomeno.

Struttura della tesi

La tesi sarà divisa in tre capitoli, ciascuno dedicato a una fase specifica della ricerca. Partendo dall'esplorazione dei meccanismi neurobiologici della memoria nel primo capitolo, si andrà poi a esaminare le teorie del trauma psicologico nel secondo, per concludere con un'analisi dettagliata del legame tra trauma e memoria nel contesto del PTSD nel terzo capitolo.

Capitolo 1: La memoria e le sue caratteristiche

1.1. Meccanismi neurobiologici della memoria

La memoria, insieme all’apprendimento, riveste un ruolo estremamente importante nel funzionamento del cervello. È infatti proprio ciò che permette all’individuo di costruire una storia personale e di acquisire una consapevolezza di sé, permettendogli di adattarsi all’ambiente che lo circonda, requisito fondamentale della salute mentale. Essa, infatti, è considerata la centrale operativa che interviene in tutti i processi mentali grazie alla quale l’individuo è in grado di conservare e immagazzinare esperienze e ricordi passati che gli permettono di essere più consapevole con la realtà presente e futura (Breedlove, 2019).

“La memoria riesce a racchiudere una serie di funzioni diverse, ad esempio, ricordarsi eventi autobiografici, comprendere storie, riconoscere persone, imparare nuovi concetti, ricordarsi numeri di telefono abbastanza a lungo per poterli riscrivere, esplorare l’ambiente circostante, ballare, guidare, risolvere problemi geometrici e sviluppare risposte affettive come le paure o le preferenze” (Johnson & Multhaup, 1992, p. 33). Sembra quasi impossibile che una sola struttura possa essere in grado di riuscire a racchiudere un numero così elevato di funzioni, eppure il cervello umano è costituito da diverse aree e ognuna di esse prende parte a diverse forme di memoria.

Da un punto di vista neurobiologico, possiamo identificare la base dei processi mnestici nel neurone chiamato anche “cellula nervosa”. Ognuna di queste cellule è costituita da molteplici componenti considerati fondamentali nel lavoro di connessione tra le diverse cellule, più precisamente nel processo attuato dalle sinapsi. Il neurone è costituito da un corpo cellulare, il “soma”, considerato il centro metabolico della cellula nervosa, nel quale si trovano il nucleo e il reticolo endoplasmatico. Dal soma è possibile osservare altri due prolungamenti: l’assone e i dendriti. Questi ultimi costituiscono le componenti fondamentali nel funzionamento delle sinapsi. L’assone permette di condurre il segnale elettrico dalla cellula ad altre cellule nervose, in un intervallo di distanza che va dai 0.1 millimetri a più di 1 metro. Il neurone si ramifica nella parte terminale in diverse branche, le quali trasmettono il segnale ad altre cellule bersaglio. Essi sono chiamati “terminali assonici”. I dendriti invece sono considerati delle ramificazioni sulle quali possiamo trovare le cosiddette spine dendritiche, deputate a stabilire i contatti sinaptici. Ciò consente quindi di ricevere i messaggi e i segnali provenienti da altre cellule nervose. (Breedlove, 2019)

Le abilità cognitive sono nate e si sono sviluppate grazie alle connessioni fra i neuroni che, attraverso delle modifiche, aiutano lo sviluppo della memoria e dell’apprendimento. Queste modifiche possono essere classificate in cambiamenti a livello presinaptico, postsinaptico o di entrambi i tipi. I cambiamenti sono caratterizzati da un maggior rilascio di neurotrasmettitori; in questo modo le cellule recettrici aumentano, diventando sempre più forti e producendo effetti maggiori. I cambiamenti precedentemente elencati, in alcuni casi, possono addirittura essere visibili con l’aiuto di un microscopio, soprattutto nel caso della memoria a lungo termine. Attraverso questi collegamenti il cervello è in grado di modificarsi continuamente sia da un punto di vista funzionale sia da un punto di vista chimico e biologico, in questo caso si può parlare della cosiddetta “plasticità sinaptica”.

Fu Donald O. Hebb, negli anni Cinquanta, uno dei pionieri ad ipotizzare che l’acquisizione di nuove informazioni implicasse delle modifiche funzionali e strutturali dei neuroni. Egli provò infatti ad individuare i meccanismi neurali implicati nella memoria, fenomeno descritto accuratamente dalla sua celebre affermazione che lo contraddistingue e che riesce a spiegare ciò che lui stesso ha scoperto: “cellule che scaricano insieme si legano insieme” (Levine, 2018, p. 143), descrivendo, in particolare, il momento in cui un neurone presinaptico attiva numerose volte un neurone postsinaptico, creando così una connessione sinaptica più robusta e stabile. Questo concetto supporta le teorie precedentemente condivise in cui ogni ricordo viene creato attraverso una connessione tra i neuroni. Ciò significa che per poter affermare l’esistenza della memoria, i neuroni, inizialmente indipendenti, devono diventare sempre più sensibili all’attività di altre cellule nervose in modo tale da rendere la loro comunicazione più facile. La comunicazione viene rappresentata dalla trasmissione dell’eccitazione elettrica, mediante la sinapsi, ai dendriti del neurone adiacente.

Nei decenni successivi, intorno agli anni Settanta, gli studi hanno subito ulteriori risvolti. In particolare, troviamo gli approfondimenti estremamente importanti per la comprensione della trasmissione sinaptica di Eric Kandel, vincitore del premio Nobel. Egli si focalizzò sullo studio del neurone gigante di una lumaca di mare, l’Aplysia californica, scoprendo che ciò che permette l’apprendimento non è la modifica dei neuroni stessi quanto piuttosto il rinforzo delle sinapsi e delle connessioni tra i neuroni o la costruzione di nuove. Un’altra scoperta importante riguarda la memoria a breve termine e la memoria a lungo termine. Lo studio di Kandel rivelò che, mentre la memoria a breve termine si forma potenziando e rinforzando sinapsi preesistenti, la memoria a lungo termine richiede la creazione di nuove sinapsi e quindi di nuove connessioni neurali. (Tosi, 2013)

Viene riportato però, come nei collegamenti della memoria a breve termine siano presenti delle variazioni temporanee della conduttività sinaptica e non risultano cambiamenti a livello anatomico. Nella memoria a lungo termine sono invece presenti numerose modifiche funzionali e strutturali proprio a causa della creazione delle nuove connessioni neurali. In particolare, queste modifiche riguardano l’aggiunta di nuovi recettori nei dendriti del neurone postsinaptico ma anche la presenza di nuovi canali ionici nell’assone. Questa crescita consente di aumentare la velocità di conduzione e di trasmissione dei neurotrasmettitori, permettendo quindi una maggiore riuscita di connessione con altri neuroni. Questi cambiamenti permettono l’immagazzinamento della memoria, considerata, e successivamente denominata, come la “fase di consolidamento” di un ricordo (Levine, 2018).

Una volta osservata e confermata l’importanza del ruolo che giocano le connessioni neurali nella memoria, gli studiosi degli anni Settanta scoprirono una forma di neuroplasticità estremamente importante attraverso numerose ricerche ed esperimenti. Si concentrarono nello studio dell’ippocampo dei mammiferi, essendo quest’ultima un’area del cervello importante per la formazione e per il recupero di alcune forme di memoria. Negli esperimenti furono infatti posizionati degli elettrodi proprio nell’ippocampo dei ratti in modo tale da riuscire a stimolare un gruppo di assoni presinaptici per poi registrare la risposta elettrica dei neuroni postsinaptici. L’attivazione normale delle cellule presinaptiche produceva dei potenziali postsinaptici eccitatori detti EPSP, così come previsto. Ciò che non si aspettavano fu la risposta registrata nel momento in cui applicarono una breve raffica di stimoli elettrici ad alta frequenza, il tetano, ai neuroni presinaptici. Le cellule postsinaptiche, in questo caso, produssero EPSP di gran lunga maggiori. Questo potenziamento più stabile e soprattutto più forte fu chiamato “potenziamento a lungo termine”, con l’acronimo di LTP. (Breedlove, 2019)

In seguito a questa scoperta, la plasticità sinaptica divenne un elemento sempre più presente e centrale nella spiegazione del funzionamento della memoria. Il potenziamento a lungo termine viene considerata una caratteristica di tutti i sistemi neurali poiché presente in numerose specie sia invertebrate che vertebrate, e questo è ciò che ha permesso l’approfondimento dell’LTP per comprendere tutti i meccanismi che lo attivano. Oltre all’LTP viene identificato un altro meccanismo importante: la depressione a lungo termine (LTD) nel quale si verifica un processo opposto, ovvero un indebolimento dell’efficacia sinaptica. Questi due fenomeni, la LTP e la LTD avvengono principalmente nell’ippocampo.

La formazione ippocampale è costituita da due strutture a forma di C che si incastrano e possiamo identificare tre regioni fondamentali al suo interno: CA1, CA2 e CA3. Nella regione CA1 il potenziamento avviene nelle sinapsi che utilizzano il neurotrasmettitore eccitatorio glutammato e dipende da un suo sottotipo chiamato recettore N-metil-D-aspartato (NMDA), quest’ultimo collabora con altri recettori chiamati AMPA.

Perché consideriamo il potenziamento a lungo termine importante per la formazione di memorie? Come viene riportato nel libro “psicologia biologica: introduzione alle neuroscienze”...

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Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/02 Psicobiologia e psicologia fisiologica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher fra_db di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Neuroscienze e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Pontificia Salesiana - Unisal o del prof Lorenzetti Laura.
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