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CAPITOLO QUARTO
Il cibo nelle storie moderne
4.1. La modernità alimentare nella rinnovata letteratura per
l’infanzia
Ma dopo pochi altri passi, arrivato a fianco della colonna, vide appiè
di quella, qualcosa di più strano; vide sugli scalini del piedistallo certe
cose sparse, che certament non eran ciottoli, e se fossero state sul
banco d'un fornaio, non si sarebbe esitato un momento a chiamarle
pani. ma Renzo non ardiva creder così presto a' suoi occhi; perché,
diamone! non era luogo da pani quello. “Vediamo un po' che affare è
questo” disse ancora tra sé; andò verso la colonna, si chinò, ne
raccolse uno: era veramente pan tondo, bianchissimo, di quelli che
Renzo non era solito mangiarne che nelle solennità. “E’ pane
davvero!” disse ad alta voce; tanta era la sua maraviglia: “Così lo
seminano in questo paese? In quest'anno? e non si scomodano neppure
per raccoglierlo, quando cade? che sia il Paese di
408
Cuccagna questo?”
In questo breve passaggio della più celebre opera di Manzoni, il solo
fatto di trovare del pane incustodito, induce Renzo a ritenere di
trovarsi nel Paese di Cuccagna. Le descrizioni di questo luogo
idilliaco si sprecano nell’ambito della letteratura, ma, come abbiamo
visto, ad un certo punto questa utopia perde la sua carica iniziale ed il
desiderio di trovarsi in quel paese non è poi così forte.
Caffè Roma: 385 Broome St (e Mulberry). Bowery o Canal St. Aperto
dalle 8 a mezzanotte. Un caffè-pasticceria aperto da quasi ottant’anni
dove, anche se l’arredamento è un po’ cambiato, regna un’atmosfera
tranquilla di altri tempi. Tra le specialità chocolate cannoli, amaretto
408 A. Manzoni, I promessi sposi, a cura di S. Motta, Cornaredo (MI), Alfa Edizioni, 2009, cap. 11.
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cheese cake e tiramisù; ma il locale è rinomato anche per gli espressi,
409
i cappuccini, i gelati e la pasticceria.
Cinque righe di presentazione per uno dei tanti locali che affollano
Little Italy, famoso quartiere di New York. Lungi dall’essere
stilisticamente simile alla descrizione del Manzoni, di fatto appare
molto più invitante del ritrovare qualche pane per strada. Dovendo
stilare una classifica, infatti, sicuramente sarebbe più desiderabile
trovarsi nel caffè-pastcceria di New York. Così il Paese di Cuccagna
non ha più motivo di esistere, perché l’abbondanza e l’accessibilità di
cibo che lo contraddistinguevano sono ormai all’ordine del giorno,
non costituiscono più un desiderio irrealizzabile sul quale fantasticare
nella speranza di vederlo un giorno concretizzato. Questo comporta
che Oggi, abbiamo fatto del nostro meglio per ricreare il Paese del
Bengodi nel supermercato, con i suoi cibi preconfezionati e i suoi
piatti precotti a disposizione ad orario continuato, dove l’unico
410
problema, per chi ha soldi, è cosa scegliere.
In questo modo la modernità alimentare si caratterizza in primo luogo
come era della sovrabbondanza, moltiplicatrice di disponibilità:
disponibilità di prodotti e disponibilità di denaro per acquistarli.
Aggirandosi tra le corsie del supermercato il consumatore è a tu per tu
con la merce, vagando tra gli stimoli e i segnali che provengono dagli
espositori. Non serve più pianificare la spesa: gli atti di percorrenza,
osservazione e prelievo delle merci si svolgono automaticamente,
senza premeditazione. Il Paese di Cuccagna del folclore e delle fiabe
non ha più ragione di essere sognato semplicemente perché si è
realizzato. I mitici quattrocento panini imburrati di sopra e di sotto
409 Le Guide Routard, New York, Milano, Hachette Livre, 2005, p. 116
410 E. Jackson, Cibo e trasformazione, Milano, Zephyro Edizioni, 2000 p. 112.
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promessi dalla Fata Turchina a Pinocchio, per i piccoli lettori moderni
sono la quotidianità. Basta andare in qualche fast food. E così laddove
un tempo esistevano malattie gravi di denutrizione, ci sono ormai
malattie di supernutrizione, con cuori, stomaci e fegati rovinati
dall’eccesso tanto quanto dalla sregolatezza alimentare. Eppure
mentre la fame è svanita, e si mangia più del necessario, si continua
comunque a parlare di cibo e di tutti i fenomeni ad esso connessi. Per
questo Goffredo Fofi ci suggerisce
L’attenzione al corpo diventa preoccupazione e ossessione fisiologica.
La voracità e i suoi effetti sono uno dei più appariscenti segni della
nostra contemporaneità. Eppure, dietro questo, mi sembra di scorgere
una paura, sotterranea e atavica. La paura che tutto abbia un giorno a
scomparire, che la scarsità possa tornare, che la fame possa di nuovo
divorarci le viscere. Se si mangia tanto, e più in generale se si è
diventati così consumisti, è per il ricordo della fame passata, per la
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paura che la pacchia possa un giorno finire.
Anche l’Italia, quindi, si è trasformata in una società dei consumi di
massa e ha sviluppato una compulsione al benessere privato. Le
conseguenze più vistose di questo processo riguardano la
trasformazione della mentalità collettiva, che coinvolge, naturalmente,
anche il comparto alimentare. Così dalla carenza si è passati
all’eccedenza nutrizionale, dallo stato dei bisogni necessari si è passati
a quello dei bisogni voluttuari, dalla convivialità familiare si è passati
all’alimentazione solitaria, dalla cucina regionale si è passati alle varie
sfaccettature della cucina etnica. E’ cambiato l’immaginario
alimentare, modificando valori, gusti, predilezioni, ma anche le
pratiche di consumo. Per questo si registrano fenomeni come il boom
della prima colazione completa, del dolce quotidiano e
dell’inarrestabile fuoripasto. Ormai si è evoluta anche la percezione
411 G. Fofi, Pasqua di maggio, Torino, Marietti, 1988, p. 55.
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del corpo, la concezione della salute, la consuetudine con i prodotti
industriali. Modifiche significative, che hanno destrutturato prima e
ricostruito poi la mentalità collettiva, introducendo un nuovo sentire
rispetto al tematica del cibo, che si è naturalmente riversata anche
nella letteratura.
Luogo ambiguo di due oralità, quella che articola il linguaggio e
quella che soddisfa un bisogno primario, è la bocca stessa dell’uomo a
porre in stretta relazione gastronomia e letteratura, saperi e sapori, cibi
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e parole, piatti e storie.
Sostiene Vinicio Ongini, che, pur consapevole dei bassi livelli di
lettura in Italia (si parlerebbe addirittura di un 65,2% di persone che
non leggono assolutamente libri), ritiene vi sia una fame di storie, nei
bambini e negli adulti. Inoltre, molto spesso l’atto del leggere è
correlato a modi di dire, come “ho divorato un romanzo”, o ad
interpretazioni, per cui si legge per capire, per conoscere, per
“gustare”, dimostrando che la conclusione dello stesso Ongini non è
poi così distante dalla realtà
Si associa spesso, nell’immaginario comune, la lettura alla mente, alla
testa staccata dal corpo. Un’attività cerebrale: il lettore sarebbe un
individuo etereo, con la testa fra le nuvole, uno che inciampa sempre.
La lettura è invece un processo di incorporazione, più simile alla
digestione che non all’astrazione e il lettore, il “grande lettore”, è un
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famelico, un affamato, un lupo.
La relazione tra il mangiare ed il leggere, quindi, sembra inscindibile,
essenziale. Ecco perché il tema del cibo percorre la letteratura senza
soluzione di continuità, evolvendosi e modificandosi insieme ad essa.
Il cambiamento della società determina anche un cambiamento della
letteratura, che si fa portatrice di nuovi valori e di tematiche rinnovate.
412 V. Ongini, a cura di, Una fame da leggere, Firenze, Unicoop, 1994, p. 2.
413 Ibidem, p. 4. 154
E’ l’apertura di orizzonti a cui abbiamo assistito anche nella letteratura
per l’infanzia, che è progressivamente diventata prodotto godibile dal
punto di vista non solo contenutistico, ma anche formale e stilistico. Il
modello costipato nell’insegnamento morale a tutti i costi ha lasciato il
posto alla descrizione della realtà dei personaggi e delle storie. Niente
più personaggi buoni a tutti i costi, niente più tematiche moraleggianti,
niente più finalità solo ed esclusivamente educative, perché, come
sostiene Silvia Blezza Picherle, riportando la posizione di Roberto
Piumini,
Lo scrittore non può perseguire scopi educativi e il libro non
dev’essere di alcuna utilità pratica, se non per il piacere che procura,
per l’uso specialissimo che ognuno ne fa, perché è un’esperienza
creativa che espande il pensiero, infine perché attraverso di esso il
lettore interpella se stesso, la sua affettività, le sue qualità e
414
ricostruisce in sé la natura e il mondo.
La letteratura, quindi, permette una connessione continua con il
mondo interno tanto quanto con quello esterno, che garantisce
un’interpretazione sistematica di se stessi alla luce del substrato
simbolico e culturale nel quale si è inseriti. Si tratta, per questo
motivo, di una capacità da non sottovalutare, perché, come riconosce
James Hillman
E’ facile rendersi conto che chi ha avuto modo di conoscere le favole
è meno vulnerabile […] Infatti, la “consapevolezza” della favola è di
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per sé psicologicamente terapeutica; fa bene all’anima.
Garantire una familiarità con le storie fin dall’infanzia fa in modo che
favola e vita s’integrino a vicenda, in modo tale che ci si ritrovi ad
avere, nel subconscio, storie che siano contenitori capaci di
414 S. Blezza Picherle, Libri, bambini, ragazzi, Milano, Vita e Pensiero, 2004, p. 277.
415 J. Hillman, Appunti sulla favola, in La grande esclusa, a cura di F. Butler, Milano, Emme
Edizioni, 1978, p. 29. 155
organizzare gli eventi in esperienze dotate di significato. Dando più
spazio, poi, agli aspetti immaginativi della personalità, l’irrazionale
diventa meno terrorizzante, quindi c’è meno bisogno di reprimere se
stessi e, se l’immaginazione è la forza dominante di una vita, quando
esaminiamo le storie, scopriamo che queste riflettono i grandi temi
impersonali dell’umanità. E’ proprio per questo motivo che la
letteratura per l’infanzia moderna non ha potuto non aprirsi alla
rappresentazione