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Il secondo riferimento costituzionale
Il secondo riferimento costituzionale è rappresentato dal principio di uguaglianza e di pari dignità sociale contenuto nell'art. 3 della Costituzione. Questo principio si applica a tutti, non solo ai cittadini, e afferma che "quando viene in gioco il godimento dei diritti inviolabili dell'uomo, il principio costituzionale di eguaglianza in generale non tollera discriminazioni fra la posizione del cittadino e quella dello straniero" (Sentenza del 21 luglio 2004 n. 257, in www.cortecostituzionale.it). Infine, la tutela dei diritti dello straniero trova completamento nell'art. 10 comma 2 della Costituzione, secondo il quale la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità alle norme e ai trattati internazionali. La stessa disposizione prevede anche che lo straniero al quale nel paese d'origine sono precluse le libertà democratiche, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.sia impedito l'esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione, abbia diritto di asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge. Alla luce di tali principi costituzionali, si può aderire alla tesi che vede superata la rilevanza del dato testuale contenuto in Costituzione per il riconoscimento di diritti e libertà ai soli 'cittadini', dovendosi verificare di volta in volta se un diritto o una libertà espressivamente riferiti al cittadino non precludano un'estensione anche allo straniero. La tolleranza e i suoi limiti Una ricorrente obiezione alle politiche ispirate al 'riconoscimento' della diversità culturale importata dagli immigrati, sostiene che attraverso tale riconoscimento si rischi di mettere in secondo piano usi e pratiche compatibili con i valori democratici su cui si fondano le democrazie europee. Alcuni studiosi si domandano: 'se il multiculturalismo'implical'accettazione della diversità etnico-culturale, allora dobbiamo accettare anche il riconoscimento legale dei matrimoni combinati? il multiculturalismo minerà i nostri valori più cari e i nostri principi di libertà e uguaglianza?'. Tali interrogativi, tuttavia, sono facilmente superabili, poiché il riconoscimento culturale non è mai stato e non potrà mai essere 'assoluto e incondizionato' in quanto presuppone sempre l'apposizione di limiti di tolleranza. Tali limiti risiedono nel rispetto dei diritti fondamentali e sono necessari per il buon funzionamento della convivenza tra culture diverse. Essi vengono in rilievo soprattutto nei settori del diritto penale, essendo esso preposto a tutelare proprio i diritti fondamentali in discussione. Giovanni Sartori,
analizza i limiti che la tolleranza deve avere in una società civile, e approfondendo l'argomento afferma che: "il tollerare non è, né può essere illimitato. Allora, qual è l'elasticità della tolleranza? il grado di elasticità della tolleranza può essere stabilito da tre criteri. Il primo è che dobbiamo sempre fornire ragioni di quel che consideriamo intollerabile. Il secondo criterio coinvolge il principio di non far male, di non danneggiare, non siamo tenuti a tollerare comportamenti che ci infliggono danno o torto. E il terzo criterio è sicuramente la reciprocità: nell'essere tolleranti verso altri ci aspettiamo a nostra volta di essere tollerati". Secondo l'autore infatti sostenere che una diversità sempre maggiore sia per definizione un 'arricchimento', è una formula di 'sconvolgente superficialità': esiste un punto oltre il quale.il governo o la società per proteggere i diritti e le libertà del gruppo rispetto alla maggioranza. Secondo Kymlicka, entrambe le forme di rivendicazione sono legittime e necessarie per garantire il pluralismo e la convivenza pacifica tra gruppi diversi. Tuttavia, è importante che queste richieste siano basate sulla reciprocità e sulla disponibilità a comprendere e rispettare le differenze degli altri. In questo modo, il pluralismo può essere un valore positivo e costruttivo per la società.La società dominante per tutelare il gruppo dall'impatto di decisioni esterne a Ibidem.86 SARTORI G., Pluralismo multiculturalismo e estranei, Milano, 2002, cit. p. 38.87 65esso.
Le prime servono a limitare la libertà dei suoi stessi membri in nome della solidarietà di gruppo e della preservazione delle tradizioni. Ad esempio il matrimonio combinato forzato, imposto dai capigruppo, per costringere le persone a conservare il tradizionale modo di vivere anche quando esse avrebbero scelto di comportarsi diversamente.
Le tutele esterne riguardano invece i rapporti inter-gruppo ossia rispondono a rivendicazioni avanzate dal gruppo di minoranza nei confronti del gruppo di maggioranza, per limitare il peso e l'influenza del secondo al fine di preservare la propria identità culturale. Un esempio di queste può essere la richiesta di esenzione dall'obbligo di rispettare codici d'abbigliamento che risultano in contrasto con determinati precetti.
religiosi del gruppo diminoranza. Occorre ricordare poi come sostiene l'autore che: "le restrizioni interne possono esistere e spesso esistono davvero in paesi culturalmente omogenei. In qualche misura in ogni cultura, persino negli stati nazionali omogenei, si riscontra il desiderio di salvaguardare pratiche culturali dal dissenso interno. Le tutele esterne, invece, possono sorgere soltanto negli stati polietnici o multinazionali, in quanto proteggono uno specifico gruppo etnico o nazionale dagli effetti destabilizzanti delle decisioni della maggioranza". Secondo Kymlicka una democrazia liberale può e deve approvare determinate 'tutele esterne' a condizione che esse siano rivolte a promuovere il trattamento equo dei diversi gruppi. Esse inoltre sono legittime solo nella misura in cui promuovono la parità dei suddetti gruppi mediante la correzione di condizioni di svantaggio o l'eliminazione di rischi cui sono esposti i membri. Tale democrazia deve,
d'altro lato, respingere le 'restrizioni interne' perché esse limitano il diritto dei membri di un gruppo di contestare e modificare le autorità e le pratiche tradizionali. Il liberalismo infatti implica che gli individui siano liberi e capaci di mettere in discussione e eventualmente modificare le pratiche tradizionali della loro comunità, qualora giungano alla conclusione che queste pratiche non meritano più la loro 'fedeltà'.
Si può così concludere che il principio di tolleranza riguarda solamente le 'tutele esterne', volte al mantenimento dell'identità di gruppo e rispettose dunque del diritto alla cultura del singolo: i cittadini infatti sono portati a 'tollerare' le differenze delle culture diverse dalle loro,
sostanzialmente per preservarle e per concedergli il diritto alla propria identità, diritto che spetta a tali culture in quanto diritto fondamentale. D'altra parte invece il principio di tolleranza non deve riguardare le 'restrizioni interne' in quanto esse non sono rispettose dei diritti del singolo e fanno prevalere solamente le dinamiche del gruppo: la tutela delle minoranze infatti non giustifica la pretesa di una cultura minoritaria di limitare i diritti fondamentali dei propri membri. Ma dopo questa prima distinzione generica portata avanti da Kymlicka, ci si deve domandare più nello specifico che cosa è in effetti la tolleranza? e cosa significa 'tollerare' valori culturali diversi dai nostri? Considerata in quanto atteggiamento interpersonale, la tolleranza è definita dalla Dottrina come: "la soppressione del potere di interferenza con comportamenti, pratiche e atteggiamenti che sono oggetto di disapprovazione da parte delSoggetto tollerante. La tolleranza ben distinta dalla acquiescenza da una parte e dall'indifferenza dall'altra, si qualifica moralmente in quanto basata sul superiore valore morale del rispetto degli altri, della loro libertà, dignità e integrità morale. Il punto della tolleranza come virtù dipende dal fatto che le ragioni per il rispetto sono più forti delle ragioni della disapprovazione: in effetti solo nel caso di sincera disapprovazione morale la tolleranza è una virtù, perché se non c'è sforzo abbiamo piuttosto indifferenza". Tuttavia il rispetto può essere una ragione morale più forte della disapprovazione solo a determinate condizioni: innanzi tutto il CAMPIGLIO C., Identità culturale, diritti umani e diritto internazionale privato, in Riv. Dir. Internazionale., fasc4, 2011, p. 1029. GALEOTTI A. E., Multiculturalismo, filosofia politica e conflitto identitario, Napoli, 1999, pp.
105-110. 67 comportamento disapprovato non deve appartenere alla classe di quelli universalmente condannati e, in generale non deve comportare violazioni di diritti. Il rispetto per gli altri non può avere più peso della disapprovazione nel caso della tortura, della schiavitù, dell'omicidio. Quindi tra i comportamenti moralmente indifferenti e quelli intollerabili, si inserisce la classe dei comportamenti disapprovati ma non universalmente condannati, i quali costituiscono l'oggetto della virtù della tolleranza. In secondo luogo poi vi è una condizione soggettiva: il rispetto altrui è riconosciuto come più potente della stretta aderenza al proprio codice morale, solo se quest'ultimo include l'impegno al principio dell'egual valore morale di tutti gli esseri umani. Ciò implica una simmetria morale tra persone diverse e una assenza di