Tesi di laurea dal titolo "Le collaborazioni coordinate e continuative"
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Determinati i requisiti che permettono di caratterizzare la fattispecie della
parasubordinazione, occorre evidenziare anche gli effetti giuridici che derivano
da tali tratti distintivi. Il più significativo è quello di carattere processuale che
comporta l'applicazione della disciplina speciale sul processo del lavoro. Ai
rapporti in oggetto si applicherà, quindi, l'intera disciplina procedurale introdotta
dalla legge n. 533/1973, ed inoltre i fori speciali di cui all'art. 413 c.p.c. con
alcune specifiche varianti ed alcuni specifici limiti previsti nel caso del rapporto
di agenzia; il sistema di conciliazione amministrativa previsto dagli artt. 410 ss.
c.p.c.; la possibilità di ricorrere a valutazioni equitative ; l'ordinanza emanabile
86
in corso di causa che vale come titolo esecutivo per il pagamento di somme non
contestate o nei limiti in cui il giudice ritiene raggiunta la prova ; l'esecutività ex
87
lege della sentenza di primo grado .
88
Al descritto sistema di natura processuale si collegano anche alcune garanzie
specifiche di natura sostanziale ed in particolare la disciplina generale in materia
di invalidità delle rinunzie o delle transazioni aventi ad oggetto diritti derivanti
89
da disposizioni inderogabili di legge o di contratto (o accordo) collettivo oltre al
diritto al risarcimento del danno da svalutazione monetaria con la maggiorazione
per gli interessi di mora sulle somme rivalutate . Appare, invece, molto dibattuta
90
l’applicabilità di altri istituti tipici del rapporto di lavoro subordinato ed in
particolare per i principi fissati dall'art. 36 Cost. in materia di retribuzione
proporzionata e sufficiente, su cui tuttora si registrano difformità di opinioni,
anche se il legislatore sembra orientato per una soluzione favorevole. D'altronde
la specifica normativa è stata coinvolta da una serie di disposizioni in materia
previdenziale e fiscale che hanno provocato una parziale assimilazione
all'attinente condizione giuridica di lavoro dipendente. È stata, in questa ottica,
resa obbligatoria l'iscrizione ad una gestione separata presso l'Inps, con contributi
86 Art. 432 c.p.c.
87 Art. 423 c.p.c.
88 Art. 431, 1° comma, c.p.c.
89 Art. 6, 1. n. 533/1973.
90 Art. 429 c.p.c. 56
progressivamente crescenti che tendono sempre più ad avvicinarsi a quelli
prescritti per il lavoro dipendente, per riconoscere una tutela previdenziale.
Inoltre è stata garantita una tutela specifica per le interruzioni dovute allo stato di
malattia o gravidanza ed una specifica tutela contro gli infortuni. Occorre, inoltre
segnalare che la Corte costituzionale ha molteplici volte affermato che il carattere
parasubordinato di un rapporto di lavoro risulta solo ai fini processuali e non
sostanziali poiché non c'è nessuna violazione fondata dell’art. 35 Cost. Appare,
91
invece, fermamente negativo l'orientamento della Suprema Corte per quanto
riguarda l'applicabilità, ai rapporti di parasubordinazione, del primo comma
dell'art. 36 Cost. riguardo la retribuzione equa e sufficiente. Questo perché tale
norma riguarda soltanto "il rapporto di lavoro subordinato e non può essere
indicato in tema di compenso per altre prestazioni lavorative, quali quelle del
lavoro autonomo, mentre l'estensione normativa di talune regole proprie del
lavoro subordinato a categorie di lavoro autonomo e l'applicabilità del rito del
lavoro ai rapporti c.d. parasubordinati costituiscono mere eccezioni alla regola
generale dell'inapplicabilità al lavoro autonomo di principi e regole tipiche del
lavoro subordinato” .
92
Gli elementi del contratto di collaborazione coordinata e continuativa
10.
È di rilevante importanza per la costituzione di un contratto di collaborazione
coordinata e continuativa, la presenza del contratto. Per quanto riguarda gli
elementi del contratto, valgono le disposizioni previste dagli articoli 1321 e
seguenti del codice civile che riguardano i contratti in generale, e specificamente
agli articoli 1343, 1344, 1345 riguardanti la causa ed i motivi illeciti contrattuali.
Per quanto riguarda, invece, la causa del contratto, essa non potrà essere diretta a
realizzare effetti contrari a norme imperative, vietati dalla legge, all'ordine
91 Il quale non esclude forme diverse di tutela, secondo la varia natura dei rapporti in cui
l’attività di lavoro è dedotta. Negli stessi termini Cass. 18 febbraio 1997, n. 1459.
92 Cass. 7 aprile 1987, n. 3400; Cass. 13 aprile 1995, n. 422. 57
pubblico e al buon costume. Infatti, viene considerato in frode alla legge quel
contratto che viene stipulato per eludere una norma imperativa, mentre
costituisce motivo illecito del contratto stesso il comportamento delle parti diretto
a raggiungere un fine vietato dall'ordinamento di comune accordo. Per la stipula
di un contratto di collaborazione non è richiesta nessuna forma specifica ma, per
inquadrare il rapporto nel migliore dei modi, si può pensare ad un contratto che si
basi se non altro sui seguenti elementi: causa. Le parti dovranno, di comune
accordo, condividere ed evidenziare lo scopo del contratto affinché vengano
definite le conseguenze giuridiche; oggetto. Deve essere specificato il tipo di
prestazione che il collaboratore pone a disposizione del committente senza
vincolo di subordinazione; accordo fra le parti. Bisogna evidenziare la proposta
del committente e la chiara accettazione da parte del collaboratore con l'impegno
a adempiere la proposta. Diventa essenziale, quindi, l'atteggiamento delle parti
nell'espletamento di quanto previsto; forma; corrispettivo. Da determinare in via
preventiva; scioglimento. ragionevole prevedere le cause che possono portare
eventualmente alla risoluzione anticipata del contratto stipulato.
Il lavoro coordinato e continuativo nella legislazione fiscale e
11. previdenziale
Una serie di interventi in materia fiscale e previdenziale hanno interessato la
categoria del lavoro coordinato e continuativo, determinando un'assimilazione
parziale alla situazione giuridica analoga del lavoro dipendente. Bisogna partire
dall'art. 2, 26° comma, legge n. 335/1995, che ha previsto l'iscrizione presso una
gestione speciale costituita presso l' lnps, sia per i soggetti che esercitano per
professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo di cui
all'art. 49 del T.U. delle imposte sui redditi, sia per i titolari di rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa di cui al 2° comma, lett. a, art. 49 del
medesimo T.U., sia per gli incaricati alla vendita a domicilio. Per quanto riguarda
in particolare i titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, il
58
26° comma dell'art. 2 rimanda al 2° comma, lett. a dell'art. 49 TUIR, il quale
comprendeva "i redditi derivanti dagli uffici di amministratori, sindaco o
revisione di società, assicurazioni ed altri enti, con o senza personalità giuridica,
dalla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili, dalla partecipazione
a collegi e commissioni e da altri rapporti di collaborazione coordinata e
continuativa".
Per quanto riguarda l'ultima categoria la norma specificava che "si considerano
tali i rapporti aventi per oggetto la prestazione di attività non rientranti
nell'oggetto dell'arte o professione esercitata dal contribuente ai sensi del 1°
comma, che pur avendo contenuto intrinsecamente artistico –professionale sono
svolte senza vincolo di subordinazione a favore di un determinato soggetto nel
quadro di un rapporto unitario e continuativo senza impiego di mezzi organizzati
e con retribuzione periodica prestabilita".
La norma fiscale contenuta nell'art. 34 della legge 21 novembre 2000, n.342, è
stata introdotta sulla base delle disposizioni sin qui delineate. La rubrica di tale
legge è chiaramente intitolata "Disposizioni in materia di redditi di
collaborazione coordinata e continuativa" . In questo modo si è avuta
93
l'assimilazione dei redditi prodotti dai collaboratori coordinati e continuativi e da
rapporti affini ai redditi di lavoro dipendente sulla base di una definizione della
categoria, in parte corrispondente a quella adottata in ambito previdenziale, in
parte introducendo degli elementi innovativi. I tratti principali di distinzione sono
descritti da: un principio estensivo dei redditi considerati che comprende anche i
valori e le somme in genere percepiti a qualunque titolo, anche sotto forma di
erogazione liberale, attraverso una definizione dei redditi imponibili che era già
93 L'art. 34 della legge citata assimila ai redditi di lavoro dipendente (di cui all'art. 47. TUIR,
approvato con d.p.r. 31 dicembre 1986, n. 917), e non più a quelli di lavoro autonomo, le
somme ed i valori in generale, a qualunque titolo percepite, nei periodi di imposta, anche sotto
forma di erogazioni liberali, in relazione agli uffici di amministratore, sindaco o revisore di
società, associazioni ed altri enti, con o senza personalità giuridica, alla collaborazione a
giornali, riviste, enciclopedie e simili, alla partecipazione a collegi e commissioni, nonché quelli
percepiti in relazione ad altri rapporti di collaborazione aventi per oggetto presunzione di attività
svolte senza vincolo di subordinazione a favore di un determinato soggetto nel quadro di un
rapporto unitario e continuativo, senza impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica
prestabilita, sempreché gli uffici di collaborazione non rientrino nei compiti istituzionali compresi
nell'attività di lavoro dipendente di cui all'art. 46, l° comma, concernente redditi di lavoro
dipendente, o nell'oggetto dell'arte o professione di cui all'art. 49, 1° comma, concernente
redditi di lavoro autonomo, esercitate dal contribuente” (1° comma). 59
adottata con riferimento al lavoro dipendente ; dall'utilizzo della formula “in
94
relazione" che richiama l'assimilabile espressione utilizzata dall'art. 3, d. lgs. N.
314/1997 in base al quale “tutte le somme ed i valori in genere a qualunque titolo
percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in
relazione al rapporto di lavoro" sono ritenuti reddito di lavoro dipendente; dalla
revisione della formula utilizzata per descrivere gli “altri rapporti di
collaborazione” escludendo sia il riferimento a prestazioni non rientranti
nell'oggetto dell'arte o professione esercitata dal contribuente ai sensi del 1°
comma, pur avendo contenuto intrinsecamente artistico-professionale”, sia
l'utilizzo della qualificazione “coordinata” che rimane pur sempre nel titolo.
Queste esclusioni hanno permesso di estendere l'ambito soggettivo dei produttori
di reddito considerati dalla norma, arrivando a comprendere anche attività che
non hanno effettivamente un contenuto professionale o artistico e quindi anche
attività di carattere non abituale e manuale; dalla chiarificazione finale attraverso
la quale si precisa che le relative attività possono essere accomunate ai redditi di
lavoro dipendente “sempreché non rientrino o nei compiti istituzionali compresi
nell'attività di lavoro dipendente, giacché in tal caso sono inquadrabili a tutti gli
effetti nei redditi di lavoro dipendente di cui all'art. 46, l° comma, o nell'oggetto
dell'arte o professione, ed in tal caso sono inquadrabili a tutti gli effetti nei redditi
di lavoro autonomo di cui all'art. 49, 1° comma". Ne consegue l'obbligo di partita
IVA, di applicazione della disciplina particolare anche per quanto riguarda il
regime delle detrazioni, e di iscrizione, quando esistente, alla Cassa di
previdenza.
Per quanto riguarda la politica legislativa, è importante sottolineare la scelta
legislativa di accomunare tali redditi a quelli di lavoro dipendente anziché a
quelli di lavoro autonomo. Questa scelta comporta delle conseguenze, sia per
quanto riguarda le erogazioni assoggettabili a tassazione, sia con riferimento al
sistema detrazioni fiscali, sia in relazione alle aliquote contributive applicabili.
Contemporaneamente si è verificata, inoltre, l'estensione delle tutele
previdenziali tipiche dei lavoratori dipendenti con un incremento progressivo
94 Art. 3, d.lgs. N. 314/1997. 60
della percentuale di contribuzione arrivata al 26%. Attraverso il d. lgs. n.
124/1993 si è prevista la possibilità di dar vita a dei fondi previdenza
complementare per i soggetti di cui all'art. 409, n.3, c.p.c., prevedendo una
ripartizione tra committente e collaboratore degli oneri di finanziamento. La
legge n. 488/1999 all'art. 51, ha previsto la corresponsione di un'indennità di
malattia in caso di degenza ospedaliera.
La legge 449/1997, ha previsto, inoltre, all'art. 59. 16° comma il pagamento
dell'indennità di maternità e degli assegni per il nucleo familiare a favore degli
iscritti alla gestione separata dell'Inps.
Il legislatore ha voluto, posteriormente, attraverso la legge n. 388/2000 all'art. 80,
puntualizzare che l'estensione della tutela relativa alla maternità e agli assegni al
nucleo familiare avviene allo stesso mode e nelle stesse forme già previste per il
lavoro dipendente. Inoltre, la legge n. 388/2000 all'art. 71, cui ha fatto seguito il
d. lgs. n. 42/2006, ha affermato la possibilità per i lavoratori parasubordinati la
possibilità di totalizzare dei periodi contributivi e cioè prevede la possibilità, allo
scopo di assicurare un’unica prestazione pensionistica, di unificare periodi
contributivi non coincidenti temporalmente e costituiti presso gestioni
previdenziali diverse.
Successivamente, attraverso l’art. 5, d. Igs. 23 febbraio 2000, n.38, si è prevista
l'estensione dell'assicurazione sugli infortuni sul lavoro alla categoria dei
parasubordinati, integrando il disegno avviato con la riforma del 1995. Questo
provvedimento ha segnato una tappa importante e simbolica per quanto riguarda
il percorso di avvicinamento al lavoro dipendente, anche per l'importanza che
tale forma di assicurazione obbligatoria ha assunto per lo sviluppo della
legislazione sociale. ln base alla normativa delineata "sono soggetti all'obbligo
assicurativo i lavoratori parasubordinati indicati all'art. 49, 2° comma, lett, a,
d.p.r. 21 dicembre 1986, n. 917, e succ. mod. ed int., qualora svolgano le attività
previste dall'art. 1 del T.U., o, per l'esercizio delle proprie mansioni, si avvalgano,
non in via occasionale, dei veicoli a motore da essi personalmente condotti”.
Nel caso, invece, in cui vi sia l'instaurazione di un rapporto di lavoro autonomo
in forma coordinata e continuativa anche di socio lavoratore di comparativa, è
61
previsto l'obbligo di comunicazione al servizio per l'impiego, a carico dei datori
di lavoro pubblici e privati, come accade per il lavoro dipendente, prevedendo
una sanzione amministrativa nel caso di mancata comunicazione .
95
La collaborazione coordinata e continuativa nelle amministrazioni
12. pubbliche
Le Pubbliche Amministrazioni possono anch'esse stipulare contratti di
collaborazione coordinata e continuativa, persino con riferimento a qualifiche
dirigenziali, ma con una serie di incisive limitazioni.
Originariamente la disciplina era contenuta nell'art. 7, 6° comma, del d.lgs. 3
febbraio 1993, n.29, come sostituito dall'art. 5 del d. lgs. n. 546/1993, il quale ha
previsto che le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali
ad esperti di provata competenza determinando in via preventiva: durata;
l'oggetto; il luogo; il compenso della collaborazione.
Questo, ovviamente, nei casi in cui si dimostri che vi sono esigenze cui non si
possa far fronte con personale di servizio. Le condizioni previste dalla norma
sono: che si tratti di incarichi che siano individuali; che si tratti, come
precedentemente accennato, di fare fronte ad incarichi che gli enti non possono
soddisfare attraverso il personale di servizio; che siano preventivamente
determinati durata, oggetto, luogo e compenso della collaborazione; che gli
incarichi siano conferiti ad esperti che abbiano una fondata competenza. Le
pubbliche amministrazioni che si avvalgono di collaboratori esterni o che
affidano incarichi di consulenza per i quali è previsto un compenso, sono tenute,
in base all’art. 1, 127° comma, della legge 23 dicembre 996, n. 662, a pubblicare
un elenco nel quale siano indicati l'ammontare erogato, i soggetti percettori e la
ragione dell'incarico.
95 Art. 6, d.lgs. n. 297/2002. 62
La copia degli elenchi, poi, deve essere trasmessa semestralmente alla Presidenza
del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Funzione Pubblica .
96
Sugli enti locali l'art. 110, 6° comma, d. lgs. n. 267/2000 ha confermato la
normativa contenuta nell'art. 51, legge n. 142/1990 stabilendo che “per obiettivi
determinati e con convenzione a termine, il regolamento può prevedere
collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità”. L'art. 7, 6° comma,
d.lgs. n. 165/2001 contenente norme generali sull'ordinamento del lavoro alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche, prevede che possono essere
conferiti incarichi a soggetti esterni alla pubblica amministrazione quando, però,
siano riscontrate esigenze cui le pubbliche amministrazioni “non possono far
fronte con personale in servizio” e che tali incarichi possono essere conferiti
soltanto ad “esperti di provata competenza”. Il riferimento alla parola “esperti"
sta ad individuare soggetti individuali e non forme societarie. Successivamente,
poi, la competenza dovrà essere dimostrata su base curriculare. È evidente come
le pubbliche amministrazioni nell'utilizzare forme di lavoro autonomo,
incontrano vincoli stringenti poiché entrano in contrasto con l'obiettivo di
contenere la spesa pubblica e di voler valorizzare, in via principale, le
professionalità interne alle amministrazioni. La Corte dei Conti, infatti, è
intervenuta numerose volte evidenziando il carattere eccezionale del ricorso a
soggetti esterni alla pubblica amministrazione e le responsabilità amministrative
e contabili che ne possono derivare a carico dei vertici dell'apparato
amministrativo .
97
L'abuso dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa
13.
Le indagini riguardo l'impiego delle collaborazioni coordinate e continuative
nella pubblica amministrazione e quelle che hanno portato all'emanazione della
96 V. altresì art. 58, 14° comma, d.lgs. N. 29/1993.
97 V. per tutte Corte conti, sez. giur., Lazio 25 settembre 2000, n. 1545/2000/EL. 63
riforma del lavoro, hanno messo in evidenza la presenza di distorsioni ed abusi
nell'impiego delle co.co.co.
Nel corso degli anni '90, in mancanza di una specifica fattispecie di riferimento,
le collaborazioni coordinate e continuative sono divenute identificative, di un
tipo di operazione economica che ha ricevuto la sua caratterizzazione sul piano
sociale, dove le collaborazioni hanno creato una fattispecie sostanziale
equivalente al lavoro subordinato, senza però essere caratterizzata dagli stessi
diritti e dai relativi costi che contraddistinguono il lavoro subordinato.
La notevole diffusione dell'utilizzo delle collaborazioni negli anni '90, ha
rappresentato una notevole via di fuga dalle eccessive rigidità che caratterizzano
il lavoro subordinato. Gli imprenditori, infatti, ne facevano utilizzo per aggirare
le limitazioni ed i costi derivanti da un'assunzione con contratto di lavoro
subordinato. Le collaborazioni non comportavano, infatti, alcuni vincoli giuridici
come, ad esempio, le limitazioni di ordine legale alla volontà del datore di lavoro
di porre fine al rapporto.
A queste rigidità si tentava di fuggire, quindi, attraverso l'utilizzo improprio di
rapporti di lavoro che erano formalmente autonomi mentre in sostanza erano
subordinati. Oltre a queste rigidità, se ne aggiungono altre relative alla rigida
normativa applicabile nelle pubbliche amministrazioni ed, infatti, “…si è
sviluppato il ricordo alle tipologie lavorative cosiddette flessibili ed alle
collaborazioni esterne ex. art. 2222 del codice civile, come previste dall'articolo
7, comma 6, del decreto legislativo 165/2001. Norme generali sull'ordinamento
del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e, per le
amministrazioni locali, dall'articolo 110, comma 6, del decreto legislativo 18
agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali,
anche al fine di rispondere agilmente a bisogni qualificati e temporanei senza per
questo dover aumentare il numero del personale stabilmente in servizio” . Grazie
98
a dati diffusi nel 2003, i collaboratori risultavano essere oltre due milioni
98 Circolare Ministro della funzione pubblica, n. 4 del 15 luglio 2004, prot. 5657, Collaborazioni
coordinate e continuative. Presupposti e limiti della stipula dei contratti. Regime fiscale e
previenziale, autonomia contrattuale. 64
aumentando rispetto al 1999 del 36% . Un'indagine dell'Aran , del 2001, poi,
99 100
ha evidenziato che, su un totale di 1.757.315 lavoratori, quelli impiegati in forme
contrattuali flessibili e cioè tempo determinato, part-time, formazione, co.co.co,
erano 256.370, pari quindi al 15% del totale. Le collaborazioni coordinate e
continuative, in particolare, riguardavano circa un terzo del totale, 82.299 su
256.370, con una punta negli enti locali del 44.20%. Il legislatore nel 2003,
quindi, per contrastare l'abuso delle collaborazioni coordinate e continuative,
aveva cercato di realizzare una profonda riforma che riguardava il campo delle
collaborazioni coordinate e continuative. Attraverso la riforma si voleva
introdurre un nuovo tipo contrattuale, e cioè il contratto di lavoro a progetto, che
avrebbe dovuto favorire la riconduzione al lavoro subordinato di tutte le false
collaborazioni attraverso una delimitazione certa dei confini del lavoro autonomo
genuino.
Salvo alcune eccezioni tassative ed espresse, tutti i rapporti di collaborazione
coordinata e continuativa venivano forzosamente ricondotte al nuovo tipo legale
del lavoro a progetto . Quelle, invece, che erano prive dei requisiti che
101
identificavano la nuova fattispecie contrattuale, venivano convertite in un
rapporto di lavoro subordinato . Inoltre, il contratto a progetto doveva
102
necessariamente essere a tempo determinato e la riforma aveva, quindi,
eliminato la possibilità dell'autonomia privata di regolare forme di lavoro
autonomo continuativo a tempo indeterminato al di fuori delle ipotesi già
esistenti e regolate dal codice civile (come ad esempio il contratto di agenzia),
ovvero al di fuori delle poche deroghe tassative ed espresse previste dall'art. 61,
comma 3, d.lgs. n. 276 del 2003.
99 Cfr. R. Riverso, Le collaborazioni coordinate e continuative, in La piazza, 12 maggio 2003, n.
8.
100 Cfr. Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni, I nuovi
rapporti di lavoro nella pubblica amministrazione, a cura di Vincenzo Todesco e Rolando
Vivaldi; D. DI COCCO, P. MASTROGIUSEPPE, S. TOMMASINI, Gli istituti di lavoro flessibile
nella pubblica amministrazione e nelle autonomie locali: una indagine sui dati quantitativi del
biennio 2000 -2002, Roma, 2003.
101 Art. 61, comma 1, d.lgs. n. 276 del 2003.
102 Art. 69, comma 1, d.lgs. n. 276 del 2003. 65
La disciplina del contratto di lavoro a progetto, oggi abrogata dall'art. 52. comma
l, d.lgs. n. 81 del 2015 per le nuove assunzioni, aveva sollevato numerosi
problemi interpretativi e applicativi che il legislatore del 2012 aveva tentato di
superare, riformulando la definizione del contratto e modificando, in parte, la
disciplina del rapporto e il sistema sanzionatorio. La riforma del 2012, tuttavia,
non aveva eliminato i problemi posti dagli artt. 61 ss., e la fattispecie del lavoro a
progetto si era definitivamente rivelata inidonea ad assolvere la funzione di
contrastare le pratiche elusive, e continuava ad essere fonte di un elevato
contenzioso giudiziale .
103
103 G. SANTORO PASSARELLI, I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa. Una
fattispecie in via di trasformazione?. Jovene, 2015, e G. SANTORO PASSARELLI, Lavoro a
progetto e partite Iva nella riforma del lavoro 2012, in LG, 2012, n. 10, 942 ss. 66
CAPITOLO 2
LE COLLABORAZIONE A PROGETTO NELLA LEGGE BIAGI E NELLA
LEGGE FORNERO
Dalle collaborazioni coordinate e continuative al lavoro a progetto
1.
L'istituto delle collaborazioni coordinate e continuative sin qui descritto è stato
radicalmente modificato dalla riforma Biagi attraverso una disciplina che giunge
a conclusione del dibattito, particolarmente vivace, che ha contraddistinto la
precedente legislatura di cui il riferimento storico più significativo è
rappresentato dal cosiddetto disegno di legge Smuraglia .
104
Le collaborazioni a progetto sono entrate nel nostro ordinamento attraverso il
D.Lgs n. 276 del 10 settembre 2003, a seguito di attuazione dell'art 4 della legge
delega n. 30 del 14 febbraio 2003.
“La legge 14 febbraio 2003, n. 30, ha delegato il Governo ad emanare uno o più
decreti legislativi diretti a portare a compimento il disegno riformatore del
mercato del lavoro in Italia (cosiddetta Riforma Biagi). Un disegno nitidamente
anticipato, come noto, nel Libro Bianco dell'ottobre 2001 su il mercato del lavoro
in Italia ”. In particolare è l'art. 4 di tale legge ad autorizzare il governo ad
105
adottare uno o più decreti legislativi, recanti "disposizioni volte alla disciplina o
alla razionalizzazione" di alcune tipologie di lavoro, tra le quali il lavoro
coordinato e continuativo .
106
104 V. la Carta dei diritti dei lavoratori riproposta dall’ Ulivo e tradotta nel disegno di legge 4
dicembre 2002, n. 1872.
105 V. Relazione di accompagnamento al decreto di attuazione della Riforma Biagi. 67
Scrisse Marco Biagi in un articolo pubblicato nel 2001 che occorreva ripensare il
diritto del lavoro, per contrastare “il dilagante fenomeno del lavoro non
dichiarato e clandestino”. A suo avviso, il lavoro nero non solo sfrutta le forze
più deboli e marginalizzate, ma costituisce un elemento distorsivo “della stessa
competizione corretta tra imprese”.
Il progetto di Biagi puntava ad una complessiva rivisitazione del diritto del
lavoro che estendesse i livelli minimi di tutela a tutte le forme in cui si
estrinsecava l’attività lavorativa, con diversa intensità a seconda delle effettive
caratteristiche o dei particolari contesti in cui si svolge il lavoro. I principi
cardine della riforma del nostro diritto del lavoro si iscrivono nella strada
tracciata dall’Unione Europea e sottoscritta dagli stati membri per modernizzare
il mercato del lavoro.
L’idea di Biagi di modernizzare il diritto del lavoro, allineandolo allo standard
europeo, era a tutto campo: riguardava il mercato del lavoro, i contratti formativi,
gli strumenti di flessibilità, gli ammortizzatori sociali, la tipologia e la
regolazione dei nuovi lavori, le politiche per favorire il reinserimento lavorativo
delle donne. Un insieme complesso e articolato di regole poi inserito nella delega
approvata. Il professore era attento ai cambiamenti sociali e magistrale interprete
dei sviluppi regolatori socio-economici in atto. La sua predilezione per le soft-
laws e il suo entusiasmo per l’Europa e il federalismo erano una chiara
indicazione di una rinnovata concezione del diritto, quale tecnica di regolazione
sociale e di gestione del conflitto in società post-moderne e complesse.
Si tratta, senza dubbio, di una delle modifiche più importanti ed incisive della
legislazione di riforma, destinata almeno in astratto, ad una forte incidenza sulla
106 M. Pedrazzoli. Tipologie contrattuali a progetto e occasionali (introduzione), in Il nuovo
mercato del lavoro: commento al D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 di L. Montuschi, Zanichelli,
Bologna 2004. Prendendo le mosse da tale art. l'A. individua un "doppio binario": da un lato la
nuova fattispecie lavoro a progetto (art. 62 D.Lgs. 276/2003), dall'altro le vecchie co.co.co, le
quali devono essere ricondotte ad un progetto (art. 61 D.Lgs. 276;2003), la mancanza del quale
comporta per esse (e solo per esse) la sanzione di cui all'art 69 del medesimo decreto.
Quest'ultime pertanto non diventano contratti di lavoro a progetto. Di conseguenza l’A. chiama:
rapporti di lavoro coordinato e continuativo (semplice) le zone escluse dalla riforma (definite da
lui stesso "l'altra metà del cielo"), rapporti di lavoro coordinato e continuativo o a progetto quelli
individuati dall'art. 61, ed infine contratto di lavoro a progetto la figura delineata dall'art 62.
Occorre precisare che tale posizione, seppur suggestiva e autorevole, fa parte di una dottrina
minoritaria e non verrà accolta nella trattazione che segue. 68
realtà sociale in quanto da una parte frena la deriva che aveva portato ad un uso
sproporzionato e crescente dei contratti di collaborazione coordinata e
continuativa, in sostituzione dei contratti di lavoro subordinato, spesso
contraddistinti dalle stesse modalità esplicative, ma con tutele e costi molto più
contenuti. Da un'altra parte tende a dare stabilità all'istituto che esce da uno stato
di sostanziale assenza o mancanza di norme e di approssimazione per acquistare
una più precisa fisionomia così da costruire la base di riferimento su cui si
possono innestare alcune fondamentali tutele processuali e sostanziali.
Le incertezze nel disegno ispiratore della riforma
2.
Le norme contenute nel decreto legislativo 10 settembre 2003 n. 276 riguardanti
il lavoro a progetto sono di difficile interpretazione non solo per la difficoltà di
lettura per l’enorme importanza del fenomeno che queste norme intendono
regolare. L'esplosione delle collaborazioni coordinate e continuative è avvenuta a
partire dal 1995, con la legge n. 335 che in un certo senso le ha legittimate, per
approdare alla ragguardevole cifra di più di due milioni . Questa esplosione ha
107
alimentato un intenso dibattito circa la reale natura del fenomeno. Bisognava
capire se ed in che misura questo fenomeno fosse da imputare ad una genuina
scelta per l'autonomia, oppure al tentativo di eludere la normativa sul lavoro
subordinato. Si è trattato di un dibattito non conclusivo, anche per la mai sciolta
controversia in ordine di criteri identificativi della subordinazione e, per
converso, della autonomia. Il disegno ispiratore della nuova disciplina è
apparentemente chiaro, essendo enunciato sia nel documento preparatore e cioè il
cd. Libro bianco sul mercato del lavoro, sia nelle relazioni di accompagnamento
al disegno di legge-delega e allo schema di decreto legislativo. Si è detto che è
apparentemente chiaro, dal momento che lo stesso Libro bianco, da cui nasce
107 Precisamente 2.392.527 iscritti alla gestione special presso l’INPS: cfr. l’elaborazione
dell’IRES, Terzo rapporto sul lavoro atipico in Italia, aprile 2003, su dati Inps. 69
l'idea del lavoro a progetto, non è su questo punto assolutamente univoco. Esso
contiene, infatti, una certa dose di contraddittorietà poiché, apprezzando
criticamente, nel metodo e nei contenuti, le proposte discusse nel corso della
precedente legislatura, valuta negativamente l'idea di intervenire nel campo della
parasubordinazione, che non lascerebbe spazio alle nascenti esperienze negoziali,
e suggerisce di coltivare “ un’iniziativa legislativa limitatamente alla
identificazione e regolazione di una fattispecie particolarmente diffusa,
specialmente ma non esclusivamente nel terziario".
Nello stesso tempo però, ritiene che “sia necessario evitare l’utilizzazione delle
collaborazioni coordinate e continuative in funzione elusiva e frodatoria della
legislazione posta a tutela del lavoro subordinato, ricorrendo a questa tipologia
contrattuale al fine di realizzare spazi anomali nella gestione flessibile delle
risorse umane” . Il che implica di intervenire pesantemente nel campo della
108
cosiddetta parasubordinazione. La relazione al disegno di legge delega si limitava
a riprodurre esattamente il contenuto del Libro bianco e nulla prevedeva lo stesso
art. 4 della legge n. 30 del 2003 circa la sorte dei rapporti di collaborazione
coordinata c continuativa non rispondenti ai requisiti delineati. La relazione allo
schema di decreto delegato, invece, non contiene oscillazioni: essa qualifica
senza mezzi termini la nuova normativa come “riforma delle collaborazioni
coordinate e continuative” e la riconduce inequivocabilmente all'intento di
superare “la farisaica accettazione di questa pratica elusiva” e riportare "le attuali
co.co.co. o al lavoro subordinato o al lavoro a progetto, forma di lavoro
autonomo che non può dare luogo alle facili elusioni riscontrate pena la
trasformazione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ”.
109
108 Cfr. Libro Bianco sul mercato del lavoro in Italia. Proposte per una società attiva e per un
lavoro di qualità, Roma, ottobre 2001, p. 72.
109 Cfr. Relazione di accompagnamento allo schema di decreto legislativo del 6 giugno 2003,
pp. 14-15. 70
Il lavoro a progetto
3.
Il comma 1 dell’art. 61 del D.lgs. n. 276 detta innanzitutto la definizione di
contratto di collaborazione coordinata e continuativa a progetto, prevedendo in
proposito che tali rapporti devono essere riconducibili a uno o più progetti
specifici o programmi di lavoro o fasi di esso, determinati dal committente, e
gestiti poi autonomamente dal collaboratore, nel rispetto del coordinamento con
l’organizzazione del committente, indipendentemente peraltro dal tempo in
concreto impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa commissionata .
110
I primi commentatori si sono adoperati nel voler rintracciare nell'analisi
linguistica delle espressioni “progetto, programma o fase di programma" la
sussistenza di un reale carattere distintivo di questa fattispecie rispetto alla
collaborazione professionale classica di cui all'art. 409 c.p.c.
Il primo elemento che si pone all’attenzione dell’interprete è la riconducibilità
delle collaborazioni ad uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi
di esso determinati dal committente. Le nozioni di progetto, programma e fase
assumono una fondamentale importanza ai fini della delimitazione della
fattispecie, tuttavia il legislatore non ha ulteriormente specificato il significato di
tali espressioni.
Nell’indeterminatezza di tali espressioni, alcune indicazioni vengono fornite
dalla circolare del Ministero del Lavoro n. 1/04, secondo cui “ il progetto
consiste in un’attività produttiva ben identificabile e funzionalmente collegata ad
un determinato risultato finale cui il collaboratore partecipa direttamente con la
sua prestazione” e “ può essere connesso all’attività principale od accessoria
110 Art. 61, comma 1: “ Ferma restando la disciplina per gli agenti e i rappresentanti di
commercio, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale e
senza vincolo di subordinazione, di cui all'articolo 409, n. 3, del codice di procedura civile
devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso
determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato,
nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal
tempo impiegato per l'esecuzione della attività lavorativa”. 71
dell’impresa”. Il programma o la fase riguardano, invece, “ un tipo di attività cui
non è direttamente riconducibile un risultato finale”, ma “ un risultato solo
parziale destinato ad essere integrato, in vista di un risultato finale, da altre
lavorazioni e risultati parziali”.
Anche le indicazioni fornite dalla circolare, in ogni modo non trovano espresse
conferme nel dato normativo e il dibattito dottrinale circa il rilievo del progetto ai
fine della delimitazione della fattispecie è molto acceso.
Per avere un'idea più chiara, è interessante la sentenza del Tribunale di Genova
del 7 aprile 2006 che ha fatto un riepilogo delle diverse interpretazioni. Secondo
alcune interpretazioni dottrinali, il riferimento contenuto nella norma a un
progetto o ad un programma, termini che secondo il vocabolario della lingua
italiana possono essere utilizzati anche come sinonimi, costituirebbe
un’endiadi , da interpretarsi nel senso di necessaria esposizione o enunciazione
111
di ciò che il committente intende realizzare, a prescindere da qualsiasi altro
attributo.
Alcuni autori, come ad esempio Pedrazzoli, proprio svalutando la capacità
selettiva della portata nel linguaggio comune di queste espressioni, considerate
come sinonimi sostanzialmente capaci di ricomprendere ogni unità temporale in
cui può essere in astratto frazionata la prestazione di collaborazione coordinata
con l'organizzazione d'impresa giacché “una fase di programma di lavoro non si
nega a nessuno", hanno sostenuto una lettura riduttiva della novella secondo cui
la fattispecie della collaborazione sarebbe rimasta sostanzialmente invariata salvo
l'onere di apporvi un termine temporale determinato e determinabile, ma che non
vi sarebbe alcuna preclusione alla infinita e immediata reiterazione della stessa
prestazione con un nuovo contratto tra le medesime parti recante l'indicazione del
termine successivo .
112
Nel lavoro a progetto l'attività cui è obbligato il collaboratore deve essere
organizzata in funzione del risultato che viene determinato dal committente, ma
perseguito autonomamente dallo stesso collaboratore e indipendentemente dal
111 Figura retorica per cui un concetto viene espresso con due termini coordinati al posto di
due termini in rapporto di subordinazione, di solito due sostantivi al posto di un sostantivo
determinato da un aggettivo o da un complemento. 72
tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa pur coordinandosi con
l’organizzazione dell’impresa.
Il risultato a cui la norma si riferisce non è il “ risultato del risultato o risultato in
senso pregnante, cui tende l’organizzazione del committente” , inteso cioè quale
113
interesse finale dell’impresa per cui il perseguimento utilizza la prestazione del
collaboratore inserendola in modo organico nel suo ciclo produttivo, bensì il
risultato dotato di una sua compiutezza e autonomia ontologica realizzato dal
collaboratore con la propria prestazione e reso all'impresa quale adempimento
della propria obbligazione .
114
Quindi il progetto viene visto come progetto del collaboratore e non dell'azienda,
per cui il committente dovrebbe determinare il progetto che dovrebbe essere
attuato dal collaboratore con la propria attività, concorrendo al raggiungimento
degli obiettivi aziendali .
115
112 Si distingue la posizione di M. Pedrazzoli. Tipologie contrattuali a progetto e occasionali.
Commento al titolo VII del D.lgs. n. 276/2003, in WP C.S.D.E.L. “Massimo D'Antona", n.
29/2004 secondo cui il D. lgs. n. 276/2003 abbia instaurato una sorta di “doppio binario”, in cui
a fianco della nuova fattispecie del lavoro a progetto di cui all'art. 62 permarrebbero a norma
dell'art. 61 le collaborazioni coordinate e continuative di cui all'art. 409 n. 3 c.p.c. seppur
ricondotte a progetto, caratterizzate cioè dalla predeterminazione della durata temporale della
prestazione del collaboratore, depotenziando in tal modo il divieto sancito dall'art. 69 in quanto
sarebbe comunque consentito provare in giudizio con ogni mezzo che il rapporto che non
risponde ai requisiti formali e sostanziali di cui all'art. 62 realizzi un collaborazione coordinata e
continuativa riconducibile a progetto a norma dell'art. 61.
113 Perulli A., Tipologie contrattuali a progetto e occasionali, in E. Gragnoli- A. Perulli (a cura
di), La riforma del mercato del lavoro e i nuovi modelli occasionali, commentario al D.Lgs. 10
settembre 2003, n. 276; Vallebona A., Lavoro a progetto: incostituzionalità e circolare di
pentimento, in ADL, n. 1, 2004.
114 Contra E. Ghera, Sul lavoro a progetto, in AA.VV., Diritto del lavoro. I nuovi problemi.
L'omaggio all'accademia a Mattia Persiani. Padova, IL 2005, giunge invece a svalutare
completamente l'espressa finalizzazione del lavoro a progetto al risultato di cui all'art. 61 d.lgs.
n. 276/2003, in quanto precisa che "... la prestazione promessa dal collaboratore può includere
ogni tipo di risultato anche non autosufficiente, (diversamente dal tradizionale opus perfectum) e
la relativa obbligazione si configura come obbligazione di durata e, nello stesso tempo, di
risultato". Non si comprende però come poi (pp. 221 e ss.) possa (condivisibilmente) attribuire
al "c.d. rischio del lavoro — cioè dell'alea tecnico-economica incidente sull'utilità della
prestazione" rilevanza causale per il lavoro a progetto quando questo carattere non può
ritenersi compatibile la causa di un'obbligazione di mezzi (o ad adempimento continuativo)
consistente in un lacere personale; la giurisprudenza infatti ha sempre ritenuto l'assenza di
rischio un indice sintomatico della subordinazione ma non già un carattere esclusivo di questa
incompatibile con la natura autonoma della prestazione personale: cfr. Cass. sez. lav., sent. 6
agosto 2004 n. 15275, in Repertorio del Foro Italiano, 2004, voce Lavoro (rapporto), n. 453;
115 Trib. Milano, sentenza dell'8 gennaio 2007 e Tribunale di Torino, sentenza del 10 maggio
2006. 73
E’ dunque l’opus di cui all'art. 2222 c.c nella sua interpretazione rigorosa di
oggetto di un'obbligazione ad adempimento istantaneo , seppur a esecuzione
116
prolungata nel tempo, volta alla realizzazione di un bene e un servizio in
vantaggio del committente .
117
L’art. 2225 del codice civile chiarisce in modo inequivocabile che “opera" è il
"risultato” della prestazione in relazione al quale va determinato il corrispettivo
dovuto in difetto di accordo tra le parti. Soltanto adottando questa
interpretazione può conciliarsi la necessaria temporaneità del rapporto
contrattuale, che si deduce dall'art. 62 nella parte in cui prevede che il contratto
di lavoro a progetto contenga la “indicazione della durata, determinata o
determinabile, della prestazione di lavoro” , con l'indifferenza, ai fini
118
dell'adempimento dell'obbligazione del collaboratore, del tempo impiegato
nell'attività lavorativa necessaria sancita dal primo comma dell'art. 61. Del tutto
coerente con l'indifferenza del tempo impiegato risulta anche la previsione
dell'art. 67 comma 1 secondo cui "i contratti di lavoro di cui al presente capo si
risolvono al momento della realizzazione del progetto o del programma o della
fase di esso che ne costituisce l'oggetto".
116 C. Zolfi, Contratto e rapporto tra potere e autonomia nelle recenti riforme del diritto del
lavoro, i Giornale di diritto di lavoro e di relazioni industriali, 2004, p. 366 giunge alla
conclusione che "... il legislatore si è pertanto proposto di introdurre un momento di verifica ed
ha finito per ricondurre il lavoro coordinato e continuativo al suo nucleo originario: il contratto
d'opera", ma sembrerebbe che abbia utilizzato la nozione di contratto d'opera semplicemente
come sinonimo di lavoro autonomo tout court, ricomprendente dunque anche obbligazioni a
adempimento continuato (o se si preferisce di mezzi), giacché precisa poco prima che "... Tale
affermazione non implica che l'obbligazione oggetto del contratto a progetto debba essere
intesa strido sensu come di risultato, bensì che l'oggetto del contratto deve consistere in un
facere predeterminato, cosicché l'attività programmata viene in considerazione non come
messa a disposizione di semplici operae, ma come perseguimento di un opus" . P. Ichino,
L'anima laburista della legge Biagi. Subordinazione e "dipendenza" nella definizione della
fattispecie di riferimento del diritto del lavoro, in Giustizia civile, 2005, pp. 137 e 142, invece,
ritiene che l'obbligazione del lavoratore a progetto non deve essere necessariamente di risultato
ma comunque deve essere finalizzata a "un interesse produttivo di cui sia individuabile un
momento iniziale e uno finale", caratterizzato cioè da un "requisito di temporaneità sostanziale e
non meramente conseguente all'apposizione negoziale di un termine al contratto di lavoro. La
distinzione in seno al lavoro autonomo tra l'obbligazione di facere e l'obbligazione di risultato è
ben conosciuta e praticata anche dalla dottrina di cominon law cfr. P. Davies, Lavoro
subordinato e lavoro autonomo, in Diritto delle relazioni industriali, 2000, p. 210.
117 Pizzoferrato A., Il lavoro a progetto tra finalità antielusive ed esigenze di rimodulazione
delle tutele, in Illej n. 1, 2004; Santoro-Passarelli G., L'opinione, in Lavoro a progetto: opinioni a
confronto, in Il lavoro nella giurisprudenza, n. 7, 2004, pag 31; Ferraro G., Tipologie di lavoro
flessibile, Torino, 2004, pag. 248 e s.; Mezzacapo D., La fattispecie "lavoro a progetto ", WP
C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona", 2004, n. 47, pag 12. 74
E’ fin troppo evidente che il legislatore del D.lgs. 276/2003 ha lasciato
l’interprete dinanzi ad un dato testuale e sistematico troppo spesso contraddittorio
ed incoerente. Non si individua, però, alcun elemento testuale o sistematico che
impedisca di individuare nella determinazione di durata imposta dalla norma
semplicemente l’esplicazione ai fini del controllo giudiziale dell’effettiva natura
del rapporto di quale sia il termine di adempimento dell’obbligazione del
collaboratore a norma dell’ art. 1183 del codice civile .
119
L’art. 61 del D.lgs. 276/2003 precisa che tale durata possa essere non solo
determinata ma anche determinabile, potendo quindi ben coincidere con il
momento non precisamente prevedibile del compimento dell’opera da parte del
collaboratore o recare l’indicazione di una data o di un altro riferimento
temporale determinato che indichi il termine dell’adempimento, che le parti
possono qualificare anche “essenziale” a norma dell’art. 1457 del codice civile.
La previsione di un coordinamento non solo tecnico ma anche temporale, non
può ritenersi incompatibile con una prestazione d’opera. Il corretto adempimento
del collaboratore può richiedere fasi di confronto, di verifica intermedia, di
scambio di dati e informazioni o altre forme di cooperazione con il personale alle
118 Deve ritenersi assolutamente corretta il riferimento operato dal legislatore alla durata della
prestazione piuttosto che alla durata del rapporto in quanto nei contratti ad adempimento
istantaneo è la durata della prestazione che determina la durata del rapporto e non il contrario
come invece avviene nei contratti ad adempimento continuativo o di durata in cui la prestazione
è determinata in funzione della durata stessa, in quanto la sua entità quantitativa dipende dalla
durata del rapporto" (Oppo G., I contratti di durata, in Riv. dir. comm., 1943, I, pag. 169); questa
precisazione conferma la ricostruzione in termini di obbligazione ad esecuzione istantanea. 28
Cfr. A. Viscomi, Lavoro a progetto e occasionale: osservazioni critiche, in G. Ghezzi, Il lavoro tra
progresso e mercificazione, 2004, Roma, Ediesse, p. 320, il quale sottolinea la rilevanza nel
determinare la causa del contratto della finalizzazione della prestazione alla realizzazione del
progetto: "... il progetto, tipizzandone la funzione, si riflette sullo stesso profilo causale del
contratto di collaborazione".
119 Contra A. Perulli, Il lavoro a progetto tra problema e sistema, in Lavoro e diritto, 2004, p.
101. e Idem Commento artt. 61-63 d. lgs n. 276/2003, cit., p. 726 secondo cui "... Il termine
immaginato dall'art. 62,, lettera a) non è insomma un termine di adempimento, finalizzato
propriamente a regolare il momento in cui dev'essere adempiuta un'obbligazione certa e già
sorta (coerente con la struttura del contratto avente ad oggetto un opus singolo ed isolato, il cui
adempimento avviene uno actu), ma un termine negoziale, predisposto al fine di limitare
temporalmente un rapporto d'opera di durata, id est relativo ai bisogni durevoli del committente".
Una lettura particolare viene formulata da F. Lunardon, Lavoro a progetto e lavoro occasionale,
in Commentario al d.lgs. 10.9.2003 n. 276, coordinato da F. Carinci, 2004, Milano, lpsoa, p. 34,
secondo cui il termine indicato sarebbe a garanzia del lavoratore della durata minima del
rapporto a norma dell'art. 1183 co.civ. prima di quella data il creditore non potrebbe reclamare
l’adempimento e quindi infondate le critiche di precarizzazione del rapporto rivolte a lavoro a
progetto. 75
dipendenze del committente, nonché di presenza nei locali aziendali e/o
disponibilità di questi o di attrezzature aziendali; attività ed esigenze queste che
necessariamente impongono il coordinamento dei tempi.
La forma scritta del contratto di lavoro a progetto
4.
Il legislatore ha sancito alcuni requisiti formali e sostanziali dei contratto con
riferimento alla disciplina prevista. L’art. 62 del D.lgs. 276 stabilisce che il
contratto di lavoro a progetto deve essere stipulato in forma scritta.
Occorre soffermarsi in primo luogo sulla forma del contratto richiesta da tale
disposizione. Non risulta chiaro, infatti, se la forma scritta del contratto sia
necessaria solo ai probatori come avviene per gli elementi contenutistici, o se sia
da intendersi come requisito di forma contenutistica, ad substantiam actus valido
per l'esistenza del contratto .
120
La distinzione è di rilevante importanza poiché laddove la forma scritta è
richiesta per la validità del contratto, e tale può esserlo, solamente se
specialmente indicata dalla legge ex art. 1350, n. 13 c.c., oppure se prevista
convenzionalmente dalle parti ex art. 1352 c.c., essa diventa "elemento
essenziale" del contratto ex art. 1325, n. 4, c.c. e la sua mancanza comporta la
nullità dello stesso.
Se, invece, la forma scritta di un contratto è richiesta ad probationem tantum,
l'atto compiuto senza l'osservanza della forma stabilita dalla legge non è nullo e
l'unica conseguenza dell'inosservanza della forma è la limitazione della prova
testimoniale . Il contratto pertanto resta valido ma manca il documento dal
121
quale risultino la sua esistenza e il suo contenuto.
120 A. Perulli, Tipologie contrattuali a progetto e occasionali, in E. Gragnoli – A. Perulli (a cura
di), la riforma del mercato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali, commentario al D. lgs. 10
settembre 2003, n. 276, pag. 739.
121 A. Torrente e P. Schlesinger, Manuale di diritto privato, pag. 291- 292. 76
In tali casi sono notevolmente ridotti i mezzi di prova a disposizione perchè pur
essendo ammesso il giuramento decisorio e la confessione, è precluso il ricorso
alle prove più consuete e cioè la prova testimoniale e per presunzione, a meno
che "il contraente non abbia senza sua colpa perduto il documento che ne forniva
la prova" . Se la prova dell'esistenza e del contenuto non viene attinta con i più
122
limitati mezzi ammessi, sarà possibile accertare che è venuto ad esistenza un
diverso contratto, se ne sussistono gli elementi 123
L’apparente perentorietà della disposizione viene, però, immediatamente
stemperata dalla precisazione che la forma scritta è richiesta ai fini della prova di
una serie di elementi, indicati nelle lettere a-e) della stessa disposizione. La
forma scritta è, dunque, richiesta ad probationem e non ad substantiam . Ne
124
consegue che la mancata indicazione di uno degli elementi previsti non incide
sulla validità del contratto, ma rileva soltanto in ordine alla possibilità di provare
altrimenti l’esistenza dell’elemento stesso con gli altri mezzi di prova ammessi
dall’ordinamento. In tal senso si è espresso anche il Ministero del lavoro nella
circolare n. 1/2004 in cui ha chiarito che il contratto va stipulato in forma scritta
ma che la forma è richiesta ad probationem e non ad substantiam.
Tuttavia nella stessa circolare l'orientamento ministeriale è chiaro: seppure la
forma scritta sia richiesta solo ai fini della prova, quest'ultima sembra assumere
valore decisivo rispetto all'individuazione del progetto, del programma o della
fase di esso in quanto in assenza di forma scritta non sarà agevole per le parti
contrattuali dimostrare la riconducibilità della prestazione lavorativa appunto a
un progetto, programma di lavoro o fase di esso.
La forma scritta del contratto in questione, visti gli elementi che lo stesso deve
contenere, sembra infatti essere volta a determinare una certezza in ordine al
122 Ex art. 2724, n. 3, c.c.
123 M. Pedrazzoli, Tipologie contrattuali a progetto e occasionali (introduzione), in Il nuovo
mercato del lavoro: commento al D.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 di L. Montuschi, Zanichelli,
Bologna 2004 pag. 757.
124 In tal senso LUNARDON, op.cit., p. 52; FERRARO, tipologie di lavoro flessibile, Torino,
2004, p. 260; PINTO, le collaborazioni coordinate e continuative e il lavoro a progetto, in
CURZIO, lavoro e diritti dopo il decreto legislativo 276/2003, Bari, 2004, p. 333, nonché La
categoria giuridica delle collaborazioni coordinate e continuative, in WP C.S.D.L.E. “Massimo
D’Antona”, 2005, 72, p. 40. 77
contenuto del contratto, limitando da un lato la libertà del collaboratore, dall'altro
quella del committente, stabilendo delle garanzie minime in favore del primo.
Tuttavia nel lavoro a progetto il comma 1 dell'art. 69 del D.Lgs. n. 276/2003
tende a complicare le cose in quanto esso prevede che qualora i .apporti di
collaborazione coordinata e continuativa siano instaurati senza l’ individuazione
di uno specifico progetto, programma o fase di esso, gli stessi debbono essere
considerati rapporti di lavoro subordinato.
Tutto ciò potrebbe imputarsi al palese tecnicismo legislativo, oppure esprimere la
volontà di sanzionare in maniera più severa la sola mancanza del progetto.
Bisogna chiedersi quindi se l'assenza di forma scritta può essere equiparata a
mancata individuazione del progetto, programma di lavoro o fase di esso, con
conseguente trasformazione del rapporto di lavoro in rapporto di lavoro
subordinato. In merito la dottrina maggioritaria ha risposto di no, ritenendo che la
conversione non sia da intendersi automatica e che quindi il comma 1 dell'art. 69.
ammetta una presunzione relativa che può essere superata con la prova contraria
dell'autonomia del rapporto.
I requisiti del contratto
5.
L’art. 62 del D.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, prevede l’elencazione degli
elementi essenziali del contratto ai fini della prova. Vari sono gli elementi
essenziali richiesti a fine probatorio. Il primo è l’indicazione della durata,
determinata o determinabile della prestazione di lavoro. Come si è detto, la
presenza della durata non è di per sé sufficiente ad includere il contratto di lavoro
a progetto tra i contratti di durata. Sembra, infatti, che l’indicazione di tale
durata ha il significato di un termine massimo di scadenza posto a favore del
78
prestatore . Il termine della collaborazione potrà essere dunque rappresentato
125
dall'indicazione di una data ovvero dal verificarsi di un evento stabilito.
Il secondo elemento essenziale è l'indicazione del progetto o programma di
lavoro, o fasi di esso, che dovrà essere individuato nel suo contenuto
caratterizzante. La lett. b dell'art. 62 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276,
avvalora l'idea che si è sostenuta quando si è definito il progetto come progetto
individuale e non come progetto aziendale. Il fatto che il progetto venga ricavato
nel contratto comporta che esso si riferisca al singolo collaboratore. Non avrebbe
senso, infatti, inserire un progetto attinente al ciclo produttivo dell’azienda
all'interno di un contratto di lavoro. Secondo tale indicazione dovranno, quindi
specificarsi i tratti essenziali dell'attività dedotta in contratto.
Il terzo elemento essenziale è l'indicazione del corrispettivo ed i criteri per la sua
determinazione, nonché i tempi e le modalità di pagamento e la disciplina dei
rimborsi spese. La norma in questione lascia quindi alle parti la concreta
individuazione dei criteri per la determinazione del compenso.
Qualche autore ha notato che da questo punto di vista "non ci sia nulla di nuovo
rispetto al principio di libertà sancito dalle norme generali sul lavoro autonomo
ove si prevede che il corrispettivo possa essere determinato dalle parti al
momento della stipulazione del contratto d'opera o determinabile sulla base di
criteri che le parti stesse hanno posto sulla quantificazione del quantum debeatur,
in seguito computato e liquidato” . La pattuizione del prezzo quindi, secondo
126
alcuni autori, può anche mancare essendo prevista solo ai fini della prova, ma, a
norma dell'art. 2225 c.c., il corrispettivo andrà determinato secondo le tariffe
professionali o gli usi, ovvero in mancanza, direttamente dal giudice . È
127
125 F. Lunardon, Lavoro a progetto e lavoro occasionale, in F. Carinci (coordinato da),
Commentarlo al D.Lgs. 10 settembre 2003. n. 276, Milano. 2004, vol. IV, Tipologie contrattuali a
progetto e occasionali, pag. 34. L'A. afferma "...a supporto di questa conclusione si può
richiamare la stessa disciplina comune dei contratti, laddove specifica che, se vi è l'indicazione
del termine, questo si presume a favore del debitore, nel senso che il creditore non può esigere
la prestazione fino al momento della scadenza (art. 1183 c.c.).
126 A. Perulli, Tipologie contrattuali a progetto e occasionali, in E. Gragnoli – A. Perulli(a cura
di), la riforma del mercato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali, commentario al D. Lgs. 10
settembre 2003, n. 276, pag. 744.
127 A. Perulli, op. cit., pag 744. 79
importante sottolineare, però, che in questa circostanza non dovrebbero essere
richiamate le tariffe delle professioni intellettuali che richiedono l'iscrizione in
appositi albi, poiché tali attività sono escluse dal campo di applicazione del
decreto ex art. 61, comma 3. Come in materia di locatio operis inoltre il
compenso dovrebbe essere corrisposto dopo l’esecuzione della prestazione, ma in
tal caso sono ammessi patti contrari volti alla previsione di anticipi o pagamenti
rateali. Infine è stato affermato che il richiamo alla disciplina dei rimborsi
128
spese, per di più senza precisare che essi sono "eventuali" come avviene nella
lett. e dell'art. 62, sembra richiamare una situazione in cui il collaboratore
anticipa di suo il pagamento delle spese e dei costi per la realizzazione del
progetto, e solo successivamente viene rimborsato in base ai giustificativi che
presenta al committente.
L' ultimo elemento essenziale è rappresentato dalle eventuali misure per la tutela
della salute e sicurezza del collaboratore a progetto, fermo restando quanto
disposto dall'art. 66, comma 4. L'eventualità delle misure ricomprese nella lett. e
dell'art. 62 non sembra molto incoraggiante secondo alcuni autori. Essa segnala
"una certa disattenzione del nostro legislatore rispetto alla raccomandazione
comunitaria che afferma il diritto di tutti i lavoratori autonomi di proteggere la
loro salute e sicurezza..., suggerendo agli Stati membri l'alternativa tra
l'inclusione dei lavoratori autonomi nel campo di applicazione delle normative
sulla salute e sicurezze e/o l’ adozione di misure specifiche nei loro confronti” .
129
Ovviamente la mancanza di eventuali tutele ulteriori non incide su quelle previste
da norme inderogabili di legge.
128 Pedrazzoli M., Tipologie contrattuali a progetto e occasionali (introduzione), in il nuovo
mercato del lavoro: commento al D. Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 di L. Montuschi, Zanichelli,
Bologna 2004 pag. 766.
129 A. Perulli, Tipologie contrattuali a progetto e occasionali, in E. Gragnoli – A. Perulli(a cura
di), la riforma del mercato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali, commentario al D. Lgs. 10
settembre 2003, n. 276, pag. 749. 80
Le conseguenze dei vizi di forma
6.
Nell’ art. 62 del D. Lgs. 276/2003, come si è visto, non vi è l'intenzione di voler
configurare la fattispecie lavoro a progetto in modo duplice sotto il profilo
fermale e cioè forma scritta ad substantiam per il contratto, forma ad
probationem per gli elementi del contratto. Possono, però, sorgere dei problemi
relativamente al collegamento tra l'art. 62 e l'art. 69 poiché in quest'ultima
disposizione si stabilisce la conversione del contratto di lavoro a progetto in
assenza di un progetto specifico, programma di lavoro o fase di esso. È stato
affermato che la mancanza di formalizzazione per iscritto del progetto nel
contratto rende molto ardua l'individuazione di un progetto, facendo scattare la
sanzione di cui all'art. 69.
Sicuramente "l'assenza di forma scritta del contratto tout court e dell'indicazione
del progetto nel contratto, si presenta pericolosamente vicina all'ipotesi di
assenza di progetto” , ma in tal caso il giudice non può fondare la conversione
130
sul dato meramente formale dell'assenza dell'indicazione per iscritto del
progetto . A meno che non scritta non si voglia propendere per l'interpretazione
131
che vede il requisito della forma scritta del contratto richiesta a pena di nullità,
l'assenza della forma scritta accompagnata dalla mancanza formale del
progetto , può solamente essere un fattore che indica l'inesistenza del progetto.
132
Il progetto, però, può comunque esservi nel concreto svolgimento della
prestazione lavorativa. Il progetto, quindi, può esistere anche se non
formalizzato .
133
130 F. Lunardon, Lavoro a progetto e lavoro occasionale, in F. Carinci (coordinato da),
Commentario al Digs. 10 settembre 2003. n 276., Milano, 2004., vol. IV, Tipologie contrattuali a
progetto e occasionali, pag. 51.
131 Tribunale di Milano, sentenza del 23 marzo 2006. n. 822, in www.csmb.unimo.it, laddove
tale giudice ritiene necessario, per valutare l'assenza del progetto, non solo la mancanza
formale di esso, ma anche la sua assenza in concreto.
132 Si veda E. Ghera, Sul lavoro a progetto, RIDL, 2005, I, pag. 210. L'A. sostiene vi siano due
forme di progetto: il progetto come elemento essenziale (art. 61, comma) la cui determinazione
in forma scritta all'atto della stipulazione non può mancare a pena di nullità, il progetto come
elemento testuale (art. 62 lett. b) valido solo ai fini probatori.
133 A. Stanchi, in Guida al lavoro (n. 6 del 3.2.2006), pag. 26. 81
Qualche autore , ritiene che elementi progetto e durata previsti dall'art. 62, siano
134
essentialia negotii, nel senso che essi non possono mai mancare. È imponente,
quindi, a questo punto, capire se l'assenza della forma scritta per tali elementi
indispensabili possa comportare la nullità del contratto. L'assenza della forma
scritta vale sul piano probatorio per tutti gli elementi dell'art. 62, non potendo
causare nei cosiddetti elementi "essenziali” (progetto e durata) conseguenze che
vanno al di là del piano probatorio. A variare, al limite, sarà la maggior difficoltà
che l’assenza della forma scritta di quegli elementi comporta dal punto di vista
probatorio, visto che nel caso in cui non si riesca a dimostrare l’esistenza del
progetto, scatta la sanzione prevista dall’ art. 69, comma 1.
La conversione del contratto di lavoro a progetto
7.
La rubrica dell'art. 69 del D.Lgs. 276/2003 reca il titolo "Divieto di rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa atipici e conversione del contratto". La
disposizione contiene tre commi, soprattutto il primo pone un delicato problema
ermeneutico .
135
Esso dispone che "I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa
instaurati senza l'individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro
o fase di esso ai sensi dell'art. 61, comma 1, sono considerati rapporti di lavoro
subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto".
Com'è subito evidente, non viene sanzionata la mancanza della forma scritta, la
cui trasgressione viene regolata dalla disciplina generale sui requisiti essenziali
del contratto, ma viene invece analiticamente regolamentata l'ipotesi in cui non
sia possibile individuare uno specifico progetto. Tale norma prevede una
134 Pedrazzoli M., Tipologie contrattuali a progetto e occasionali (introduzione), in il nuovo
mercato del lavoro: commento al D. Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 di L. Montuschi, Zanichelli,
Bologna 2004 pag. 761 e ss.
135 A. Perulli, Tipologie contrattuali a progetto e occasionali, in E. Gragnoli - A. Perulli (a cura
di), La riforma del mercato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali, commentarlo al D.Lgs. 10
enembre 2003, n. 276, pag. 786. 82
sanzione molto penetrante nei confronti di coloro che avviino collaborazioni che
sono prive di uno specifico progetto , programma di lavoro o fase di esso. È
136
una norma che non ammette obiezioni e che, quindi, non lascia spazio ad
adattamenti e modularizzazioni in quanto prevede una misura sanzionatoria per il
solo fatto di avere concepito un contratto a progetto privo di uno specifico
progetto. Questa norma risponde, quindi, ad una finalità essenzialmente
sanzionatoria ed anche implicitamente dissuasiva essendo volta a prevenire
qualunque ricorso strumentale, arbitrario ed elusivo della fattispecie in esame.
Inoltre, si tratta di una sanzione che non dà adito a diverse interpretazioni, come
quella che considera il rapporto di lavoro subordinato come una prestazione iuris
tantum suscettibile di una diversa qualificazione in relazione alle modalità
concrete di espletamento del rapporto. Si tratta, invece, di una presunzione iuris
et de iure, forse anche eccessivamente perentoria, ed anche con qualche
credibilità incostituzionale, ma che è nonostante tutto perfettamente in linea con
l’ottica anti elusiva di cui il legislatore si è interessato sin dal momento in cui ha
malamente disciplinato la fattispecie in esame.
Come dimostra il testo in esame, l’art. 69, comma 1, è strettamente legato però,
alla disposizione di cui all'art. 61, comma 1 , pertanto la maggiore o minore
137
incisività di tale mezzo sanzionatorio non potrà non dipendere dal ruolo che si
attribuisce al progetto, al programma, alla fase. Nel caso in cui dovesse prevalere
nella giurisprudenza la nozione di progetto come programma aziendale, la reale
portata della riforma verrebbe notevolmente sminuita.
Tale disposizione deve essere letta assieme all'art. 86, comma 1 del medesimo
decreto, il quale afferma che le collaborazioni coordinate e continuative esistenti
136 Trib. Milano, sent. 2 agosto 2006, n. 2655, in Lav. Giur., 2007, 1, 67. Ha ritenuto che per
mancata individuazione del progetto debba intendersi, sia la mancata individuazione formale del
contenuto del progetto o programma, sia la non configurabilità di un effettivo progetto, che non
può ritenersi adeguatamente descritto allorché consista nella semplice descrizione del
contenuto delle mansioni attribuite al lavoratore, senza alcun accenno all’obiettivo che si
intende raggiungere ed alle attività ad esso prodromiche e funzionali al suo conseguimento.
137 Cfr. M. Pedrazzoli, Tipologie contrattuali a progetto e occasionali (introduzione), in Il nuovo
mercato del lavoro :commento al D.Lgs. 10 settembre 2003. n. 276 di L. Montuschi, Zanichelli,
Bologna 2004., pag. 743. L'A. sostiene che l'intercomunicazione diretta tra i due articoli soddisfa
lo scopo di dotare le co.co.co. di una disciplina e razionalizzazione come previsto nella legge
delega. 83
prima dell'entrata in vigore del D.lgs. 276/2003 che non possono essere
ricondotte ad un progetto o ad una fase di esso, mantengono efficacia fino alla
loro scadenza e, in ogni caso, non oltre 24 mesi dalla data di entrata in vigore del
provvedimento in questione, salvo il prolungamento del termine eventualmente
indicato dalla contrattazione collettiva. Si descrive, quindi, una vera e propria
volontà molto chiara del legislatore di eliminare dall'ordinamento quelle
collaborazioni coordinate e continuative che non presentino i requisiti indicati
dall'art. 61, comma 1, poiché esse vengono considerate "socialmente
pericolose” , in quanto possono “imitare” veri e propri rapporti di
138
subordinazione raggirando la disciplina del lavoro subordinato. Tali rapporti si
convertiranno pertanto in rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato .
139
L’art. 69, comma 1, sembra pertanto attribuire una presunzione assoluta (iuris et
de iure) di fraudolenze ai rapporti instaurati contra legem, presunzione pertanto
140
non vincibile in giudizio da prova contraria .
141
Qualche autore ha sollevato dubbi di costituzionalità sulla norma in questione:
142
essa comporterebbe una violazione del principio di indisponibilità del tipo legale
da parte del legislatore, e contrasterebbe con gli artt. 35 e 41 della Costituzione.
138 D. Mezzacapo, La fattispecie "lavoro a progetto", WP C.S.D.L.E. "Massimo D' Antona",
2004, n. 47.pag. 24.
139 Problematicamente M. Mistione, il collaboratore a progetto, in Lav. giur.. 2003, pag. 821.
“Non si capisce come possa essere convertito in lavoro subordinato un lavoro che era senza
orario, senza indicazione di categoria, qualifica e mansioni". Cfr. con F. Liso, op. cit, pag. 27.
nota 41, secondo il quale il lavoratore dopo la conversione conserverebbe le disposizioni a suo
vantaggio.
140 Va segnalata l'opinione di M. Pedrazzoli, op. cit., pag, 743, secondo l'A. l'art. 69, comma 1,
ha un “notevole significato sistematico nel fondare la prospettazione più volte fatta di un doppio
binario".
141 In tal senso G. Sotoro-Passarelli, La nuova figura del lavoro a progetto, in ADL, 2005, pag,
108-109; M. Magnani — S. Spalaro, Il lavoro a progetto, WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona",
2004, n. 27, pag. 6 e 7; D. Mezzacapo, op. cit., pag. 24 e ss.., A. Pizzoferrato, Il lavoro a
progetto tra finalità antielusive ed esigenze di rimodulazione delle tutele, in Illej n. 1, 2004, pag.
8 e ss.; Massimo D'Antona", 2003, pag. 19 e ss., M. Pedrazzoli, Tipologie contrattuali a
progetto e occasionali (introduzione), in Il nuovo mercato del lavoro: comento al D.Lgs. 10
settembre 2003, n 276 di L. Montuschi, Zanichelli, Bologna 2004, pag. 743.
142 A. Vallebona, La riforma dei lavori, Padova, 2004, pag. Si vede anche M. Miscione,
collaboratore a progetto, in Lav. giur., 2003, pag. 821. L A. trova "imbarazzante" la soluzione
della conversione come sanzione. 84
La prima questione prende le mosse da quanto espresso dalla Corte
costituzionale con riferimento ad alcuni rapporti di lavoro, sostanzialmente
143
subordinati, che erano stati invece qualificati dal legislatore come autonomi. In
tal senso quindi l'art. 69. comma l, sarebbe incostituzionale perché
assoggetterebbe alla disciplina del lavoro subordinato rapporti che non
presentano i requisiti propri di tale fattispecie. Il legislatore quindi “non può
qualificare subordinato un rapporto in effetti autonomo seppur a tempo
indeterminato e sganciato da un progetto o un programma'' . A tale
144
interpretazione si può replicare che la disposizione del tipo legale da parte del
legislatore è stata giudicata illegittima dal giudice delle leggi, con riguardo alle
ipotesi di impostazione del regime del lavoro autonomo a rapporti che
presentavano, invece, i connotati tipici della subordinazione. Nel caso di specie,
invece, la situazione è invertita perché si vorrebbe estendere anche a dei
lavoratori autonomi, la copertura offerta dal lavoro subordinato. La ragione di
fondo quindi è del tutto diversa da quella che ha mosso i giudici della Corte
costituzionale a contestare la legittimità di alcune leggi o accordi .
145
La seconda questione è stata posta per la palese irragionevolezza e compressione
della libertà e autonomia contrattuale con violazione degli artt. 35 e 41 Cost., che
la conversione in questione comporterebbe . Anche tale censura non sembra
146
insuperabile.
Nel nostro ordinamento infatti la libertà di ricorrere ai contratti atipici è
condizionata in base all'ex art. 1322, comma 2, alla realizzazione di interessi
meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico. Il legislatore può ben
143 Cfr. Corte cost. 25-29 marzo 1993 n. 121, in foro it, 1993,I, c. 2432 e Corte cost. 21-31
marzo 1994 n. 115, in foro it., 1994, I, c. 2656
144 A. Vallebona, op. cit., pag. 21.
145 Né vale sostenere come fatto da alcun autori, che il lavoratore si vedrebbe costretto alla
subordinazione pur non avendola voluta. Si veda F. Liso, Analisi dei punti critici del decreto
legislativo 276/2003; spunti di riflessione, in WP C.S.D.L.E “Massimo D' Antona", pag. 27, nota
41. L'A. sostiene che questa tesi è "viziata dalla mancata considerazione che la formula
utilizzata dal legislatore dovrebbe essere idonea a conformare il programma negoziale per gli
aspetti di quest'ultimo che possono andare a svantaggio del lavoratore e non, invece, per quelli
che possono comunque essere considerati più vantaggiosi”.
146 A. Maresca, La nuovo disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative: profili
generali, in Guida al lavoro, 2004. n. 4, allegato, Pag. 1 85
considerare contra legem le collaborazioni coordinate e continuative instaurate
senza l'individuazione di uno specifico progetto .
147
La drastica conversione sancita dall'art. 69, comma 1, sarebbe quindi l'effetto
finale del mancato adempimento di un vincolo legale imposta per finalità
antielusive. "Quindi più che una compressione della libertà contrattuale delle
parti, la disposizione mirerebbe a garantire che tale libertà possa esprimersi in
modo trasparente e genuino, cercando di eliminare le “pieghe della legge" che
consentono di ricorrere allo schermo della collaborazione coordinata e
continuativa per occultare un rapporto di lavoro subordinato” .
148
Altra parte della dottrina, invece, preferisce la tesi della presunzione relativa al
fine di fare salva la possibilità del committente di dimostrare in giudizio che il
rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, anche se istaurato senza
l’individuazione di uno specifico progetto, si è in concreto estrinsecato secondo
modalità del lavoro autonomo . Ma l’opinione di chi, in base ai dubbi di
149
costituzionalità che hanno invaso parte della dottrina, ha proposto una lettura
della norma come se essa introducesse una presunzione relativa, non può essere
condivisa.
Secondo tale dottrina sarebbe possibile al committente provare l'insussistenza
della subordinazione presunta. Questa impostazione contrasta non solo con lo
scopo che la legge si propone di realizzare, ma presuppone un'inversione logica
dei primi due commi dell'art. 69. che finirebbe "per privare di qualsiasi
significato l'art. 69, comma l, schiacciandolo sotto la portata normativa del
comma 2 ”.
150
147 G. Santoro – Passarelli, La nuova figura del lavoro a progetto, in ADL, 200, pag, 109.
148 A. Perulli, Tipologie contrattuali a progetto e occasionali, in E. Gragnoli – A. Perulli (a cura
di), La riforma del mercato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali, commentario al D.Lgs. 10
settembre 2003, n. 276, pag. 789.
149 Questa è la tesi recepita anche nella circolare Ministeriale del Lavoro e delle Politiche
Sociali n. 1 del 2004, che appunto ritiene ammissibile la prova contraria fornita dal committente.
150 De Luca Tamajo R., Dal lavoro subordinato al lavoro a progetto, WP C.S.D.L.E. “Massimo
D’Antona”, 2003, pag. 21; Magnani M. – Spataro S., Il lavoro a progetto, WP C.S.D.L.E.
“Massimo D’Antona”, 2004, n. 27, pag. 7. 86
I committenti, infatti, sarebbero spinti a chiedere al giudice , dimostrare la
presenza del progetto, un'indagine sulle effettive e concrete modalità di
svolgimento del rapporto, dovrebbero cioè prima provare l'assenza di
subordinazione per far qualificare il contratto come lavoro a progetto.
Inoltre nel caso in cui il rapporto non si configuri come subordinato nel concreto,
l'assenza del progetto comporterebbe comunque la sanzione di cui all’art. 69,
comma 1 e quindi la conversione del contratto. Un’ interpretazione difforme
comporterebbe infatti il riconoscimento della nullità del contratto, privando il
lavoratore di qualsiasi tutela.
Per quanto riguarda poi il secondo comma dell'art. 69, esso stabilisce che
"Qualora venga accertato dal giudice che il rapporto instaurato ai sensi dell'art.
61 comma 1 sia venuto a configurare un rapporto di lavoro subordinato, esso si
trasforma in un rapporto subordinato corrispondente alla tipologia negoziale di
fatto realizzatasi tra le parti".
È evidente la netta differenza con il comma precedente. In questa ipotesi il
progetto è individuato, ma nella concreta attuazione del rapporto, le modalità del
suo svolgimento hanno configurato un rapporto di lavoro subordinato . Quindi
151
tale comma dichiara come la presenza di un progetto, non è di per sé sufficiente a
poter garantire che un rapporto non sia di lavoro subordinato, ed anche con la
presenza di tale elemento il giudice potrebbe, infatti. "approdare ad una
qualificazione del relativo rapporto nel senso della subordinazione, perché risulta
simulato il contratto oggetto di controllo" . In questa ipotesi, secondo l'articolo
152
69, comma 2, ultima parte, la trasformazione potrà avvenire anche da lavoro a
progetto in lavoro a termine o part-time, quindi non necessariamente si avrà una
trasformazione in lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato.
151 Sul punto si veda Tribunale di Milano, sez. lav., sentenza del 10 novembre 2005 in
www.csmb.unimo.it
152 Pedrazzoli M., Tipologie contrattuali a progetto e occasionali (introduzione), in il nuovo
mercato del lavoro: commento al D. Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 di L. Montuschi, Zanichelli.
87
Il corrispettivo
8.
La fattispecie lavoro a progetto è individuata, quindi, come un nuovo tipo
contrattuale distinto dalle vecchie co.co.co. e caratterizzato da un adempimento
che, a seconda dei casi, può essere istantaneo o durevole .
153
Una tale definizione non può non avere risvolti sulla disciplina del lavoratore a
progetto, contenuta negli artt. da 63 a 68 del D. lgs. 276/2003.
L'art. 63 reca la rubrica “Corrispettivo" e prevede che “il compenso corrisposto
ai collaboratori a progetto deve essere proporzionato alla quantità e qualità del
lavoro eseguito, e deve tenere conto dei compensi normalmente corrisposti per
analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto”.
La norma parla di compenso e non di retribuzione, nozione quest'ultima tipica del
lavoro subordinato . Questa indicazione segnala una prima differenza rispetto
154
ai criteri previsti dall'art. 36, della Costituzione, ed essa non e l'unica, né la
fondamentale. Una novità rispetto all'art. 47, lett. c-bis del Tuir, norma fiscale
che disciplinava precedentemente il compenso delle co.co.co. , è costituita dal
155
fatto che il corrispettivo, ora, è diventato proporzionato alla quantità e qualità del
lavoro eseguito dal collaboratore .
156
Si ripropone così il principio di proporzionalità in modo simile a quanto
delineato nel disegno di legge Smuraglia, dove però si richiedeva, in aggiunta,
153 V. D. Mezzacapo, Diritti ed obblighi del lavoratore a progetto, in Il lavoro nella
giurisprudenza, n. 1, 2006, pag. 29 e ss., L’A parla in tal caso di una “doppia anima” della
fattispecie del lavoro a progetto.
154 Nel lavoro subordinato la funzione o causa del contratto è lo scambio tra l’attività svolta alle
dipendenze e sotto la direzione del datore di lavoro per un certo tempo, e la retribuzione.
155 Secondo tale norma il compenso doveva essere “predeterminato e periodico”.
156 V. A. Perulli , Tipologie contrattuali a progetto e occasionali, in E. Gragnoli A. Perulli (a cura
di), La riforma del mercato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali, commentario al D.lgs. 10
settembre 2003, n. 27.pag. 750. L'A. mette in risalto una distinzione tra il lavoro a progetto e il
contratto d'opera. Mentre nel secondo il corrispettivo consiste nel quantum debeatur fissato in
relazione all'equilibrio contrattuale creatosi, nel lavoro a progetto il legislatore “fissa i termini
dello scambio a parametri oggettivi (proporzionalità). 88
che il compenso fosse comunque non inferiore ai minimi contrattuali previsti per
prestazioni analoghe a favore dei dipendenti .
157
Questa previsione è apparsa positiva e necessaria per evitare abusi e per rendere
il corrispettivo del prestatore di lavoro a progetto più adeguato, di quanto si
verificasse in passato, nelle co.co.co.. La legge delega n. 30/2003 all'art. 4, lett. c,
n. 1, segnala, infatti, tra i principi e criteri direttivi che il Governo deve rispettare
con riferimento alle collaborazioni coordinate e continuative “... l'indicazione di
un corrispettivo, che deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro”.
Il decreto di attuazione parla invece di proporzionalità rispetto alla quantità e
qualità del lavoro "eseguito ”, mettendo in luce un secondo tratto di diversità
158
tra la disposizione in questione e l'art. 36 della Costituzione.
Probabilmente questa precisazione contenuta nell'art. 63 è la conseguenza di una
corrente giurisprudenziale diffusa, che tende a negare l'applicazione dell’art. 36
ai rapporti di lavoro diversi da quello subordinato, come quelli di natura
associativa od autonoma .
159
Non è casuale, infatti, il riferimento della Costituzione ad una retribuzione
proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto dal lavoratore se infatti nel
lavoro subordinato la funzione economico-sociale del rapporto è rappresentata
oltre che dal corrispettivo, dall'attività del lavoratore, e quindi da una prestazione
non finalizzata alla realizzazione di un singolo risultato, sembra appropriato il
riferimento generico al "suo lavoro" rispetto al lavoratore subordinato, poiché la
sua prestazione è volta ad un soddisfacimento continuo del datore di lavoro in un
arco temporale molto ampio. Nel lavoro a progetto, invece, l'attività del
prestatore di lavoro è diretta, come per il contratto d'opera, alla realizzazione di
un risultato o più risultati, il "lavoro eseguito” quindi è qui più facilmente
individuabile, poiché soltanto in base al raggiungimento del risultato il lavoratore
a progetto può essere considerato adempiente. In questo caso dunque "l'eseguito",
157 V. art. 1, comma 1, lett. b, del d.d.l. Smuraglia
158 Mette in evidenza tale riferimento Mezzacapo D., Diritti ed obblighi del lavoratore a
progetto, in Il lavoro nella giurisprudenza, n.1, 2006, pag. 30.
159 M. Grandi, Commentario breve alle leggi sul lavoro, a cura di M. Grandi, G. Pera, Padova,
CEDAM, 2001, pag. 45 e ss. 89
è importante anche per la determinazione del compenso, che deve rispettare il
principio di proporzionalità alla quantità e qualità del lavoro. Un'attenta dottrina
ha, infatti, precisato come il riferimento al compimento della prestazione
lavorativa, sembri "più idoneo ad evocare l'esecuzione dell'opera di cui all'art.
2224 c.c., piuttosto che la generica prestazione di una attività lavorativa” come
160
invece è individuata dall'art. 36 della Costituzione. Secondo tale orientamento,
una interpretazione in senso contrario potrebbe essere giustificata soltanto nel
caso in cui si ritenga “che la prestazione del collaboratore a progetto possa
consistere anche nella sola messa a disposizione dalle proprie energie
lavorative”, e quindi non necessariamente volta alla realizzazione di un risultato
o più risultati all'interno del progetto. In questa situazione ovviamente la
prestazione non sarebbe molto differente da quella di un lavoratore subordinato,
pertanto il generico riferimento al “suo lavoro” di cui all'art. 36 Cos. sarebbe
compatibile col lavoro a progetto. Con questa conclusione non solo verrebbe
ridotto il valore della precisa scelta del legislatore, ma, una interpretazione volta
ad intendere la prestazione di lavoro a progetto come obbligazione di mezzi 161
svincolata da un risultato, renderebbe la riforma delle co.co.co. del tutto inutile,
data la finalità antifraudolenta della disciplina . Possiamo concludere quindi
162
che, nonostante il richiamo dell'art. 63 al principio di proporzionalità del
compenso alla qualità e quantità del lavoro svolto richiami il principio di cui
all'art. 36 della Costituzione, il compenso del collaboratore a progetto si
differenzia de quello del lavoratore subordinato.
Il mancato richiamo al criterio della sufficienza e le caratteristiche peculiari della
collaborazione a progetto spingono ed individuare tale principio come “mero
160 V. D. Mezzacapo, Diritti ed obblighi del lavoratore a progetto, in Il lavoro nella
giurisprudenza, n. 1, 2006, pag. 30.
161 Il tal senso di veda il Trib. Torino 5 aprile 2004 in Guida al lavoro, 2005, n. 22.
162 V. D. Mezzacapo, Diritti ed obblighi del lavoratore a progetto, in Il lavoro nella
giurisprudenza, n. 1, 2006, pag. 30. 90
parametro di valutazione economica resa dal collaboratore” alla stregua di
163
quelli indicati negli arti. 2225 e 2233, comma 2, c.c. 164
Obbligo di riservatezza: la possibilità per il collaboratore di svolgere la
9. sua attività a favore di più committenti
Nel D.Lgs. n. 276/2003 sono previsti elementi fisiologici della collaborazione a
progetto e cioè il vincolo del risultato e l' indipendenza dal potere direttivo, che
sottolineano la natura autonoma di questo rapporto. Dall'altro lato però, ci sono
caratteristiche che richiamano istituti propri del lavoro dipendente. L'obbligo di
riservatezza del lavoratore a progetto fa parte di essi perché l' art. 64 rievoca la
disciplina dell' obbligo di fedeltà nel lavoro subordinato.
Vi è però un'importante differenza tra le due norme. La rubrica dell' art. 2105 c.c.
reca, infatti, il titolo "obbligo di fedeltà" mentre quella dell’ art. 64 "obbligo di
riservatezza”. La diversa scelta dei termini della rubrica da parte del legislatore e
il conseguente minor grado di costrizione che consegue al titolo dell'art. 64,
sembra però essere in contrasto con il dispositivo della norma, in un certo senso
più incisivo di quello previsto dall’art. 2105 c.c .
165
La presenza contemporanea di caratteristiche proprie della fattispecie di lavoro
autonomo e di lavoro subordinato ha reso, secondo alcuni autori, “non
correttamente calibrate" le tutele del lavoratore a progetto . L'art. 64, comma 1,
166
del decreto prevede che il collaboratore a progetto possa svolgere la sua attività a
favore di più committenti, salvo che le parti abbiano stipulato diversamente. In
163 G. Leone, le collaborazioni (coordinate e continuative) a progetto, in Riv. Giur. Lav., 2004,
pag. 103.
164 In tal senso F. Lunardon, Lavoro a progetto e lavoro occasionale, in F. Carinci (coordinato
da), Commentario al D. lgs. 10 settembre 2003, n 276, Milano, 2004, vol. IV, Tipologie
contrattuali a Progetto e occasionali, pag. 23. Di "scollamento" rispetto ai criteri di cui all'art.
2225 parla però Magnani - S. Spataro, Il lavoro a progetto, WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”,
2004, n. 27, pag. 10, in termini simili si veda anche E. Ghera ., Sul lavoro a progetto, pag. 213
165 In tal senso L. Castelvetri, Il lavoro a progetto, finalità e disciplina, in M. Tiraboschi (a cura
di), la riforma Biagi del mercato del lavoro, Milano 2004, Giuffrè, pag. 160
166 G. Z. Grandi, Sub art. 64, in Tipologie contrattuali a progetto e occasionali, in E. Gragnoli-
A. Perulli (a cura di), La riforma del mercato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali,
commentario al D.Lgs.. 10 settembre 2003, n. 276, pag. 755, l'A. cita in parte G. Ferraro,
Tipologie di lavoro flessibile, Torino, 2004, pag. 249. 91
assenza di precise indicazioni, il patto contrario può essere, sia contestuale che
successivo all'instaurazione dei rapporto . Come detto, nonostante l'assenza
167
nella legge di una disposizione a riguardo, si ritiene che il prestatore, laddove si
obblighi all'esclusiva, dovrà percepire comunque un compenso maggiore .
168
Sicuramente non è un vanto per il legislatore non aver disciplinato in maniera
specifica l'eventualità del patto di esclusiva, dato che esso limita in maniera forte
l'indipendenza di un lavoratore autonomo, quale è il collaboratore a progetto.
Secondo qualche autore , l’assenza di esclusività può lasciare al lavoratore una
169
libertà di manovra che non è del tutto compatibile con le caratteristiche
dell'impegno assunto.
La presenza di più committenti sembra essere quindi l'ipotesi fisiologica per il
contratto in questione. Essa pero deve essere coordinata con la previsione del
comma 2 dell'art. 64, secondo il quale il collaboratore "non deve svolgere attività
in concorrenza con i committenti". Alcuni giuslavoristi pongono l'attenzione su
170
come nella legge delega non vi sia alcuna traccia della disposizione in questione
e come l'art. 64 abbia una portata del tutto diversa dall'art. 1743 c.c., che
disciplina il diritto all'esclusiva come elemento naturale del contratto di agenzia.
La disposizione codicistica infatti delinea una duplice portata dell'esclusiva, essa
opera sia a favore del committente, sia a favore dell'agente. Il preponente non si
può avvalere contemporaneamente di più agenti nella stessa zona per la stessa
attività e l'agente non può assumere l'incarico di trattare nella stessa zona e per lo
stesso ramo gli affari di più imprese in concorrenza tra loro.
167 V. Pinto, La categoria giuridica delle collaborazioni coordinate e continuative e il lavoro a
progetto, WP C.S.D.L.E. "Massimo D' Antona" n. 72, 2005, pag. 24.
168 D. Mezzacapo, Diritti ed obblighi..., op. cit., pag. 31; contra R. De Luca Tamajo, Dal lavoro
parasubordinato, op. cit., pag. 24 e A. Viscomi, op. pag. 326.
169 M. Papaleoni, Il lavoro a progetto o occasionale, in Diritto del lavoro i nuovi problemi, II,
CEDAM, 2003, pag. 1378.
170 M. Pedrazzoli, op.cit., pag. 783. 92
Nell'art. 64, invece, è molto arduo individuare un'esclusiva a favore del
collaboratore che, come nell'agenzia, comporti un obbligo nei confronti del
committente di avvalersi di un solo collaboratore a progetto .
171
Inoltre la possibilità del lavoratore di prestare la propria opera per più
committenti trova ulteriori limiti nei divieti che gli vengono imposti dal comma
dell'art. 64. D.lgs. n. 273/2003. Ai sensi di tale articolo il collaboratore a progetto
non può: svolgere attività in concorrenza con i committenti; diffondere notizie e
apprezzamenti attinenti ai programmi e alla organizzazione dei committenti;
compiere atti in pregiudizio della attività dei committenti.
La maggior parte della dottrina , ritiene che tale disposizione estenda al
172
lavoratore a progetto il contenuto degli obblighi previsti nell'art. 2105 c.c..
La norma codicistica impone infatti tre preclusioni al lavoratore subordinato,
173
parzialmente uguali a quelle previste dall'art. 64 del decreto.
Tale norma costituisce cioè "una sorta di parafrasi dell’art. 2105 c.c., con piccole
varianti prese a prestito dall'art. 2598 c.c., specie nel suo n. 2, in materia di
concorrenza sleale .
174
Le regole introdotte dal legislatore del 2003 presentano piccole differenze
rispetto all'art. 2105, anche se esse, per qualche autore, sono "oltremodo gravose
per il collaboratore" .
175
La prima limitazione è in linea non solo con l'art. 2105 c.c., ma anche con
precetti di portata più generale come il comportamento secondo correttezza
richiamato dall'art. 1175 c.c. e l'esecuzione di buona fede citata dall'art. 1375 c.c..
171 M. Pedrazzoli, op. cit., pag. 784; è dello stesso avviso M. Papaleoni, op. cit., pag. 1378.
172 M. pedrazzoli, op. cit., pag. 786; F. Lunardon, op. cit., pag. 59; E. Vitiello, I nuovi rapporti di
lavoro secondo la "Riforma Biagi", CEDAM, Padova, 2004, pag. 219; A. Viscomi, Lavoro a
progetto e occasionale: osservazioni critiche, in G. Ghezzi (a cura di) Il lavoro tra progresso e
mercificazione, commento critico al D.Lgs. 276/2003, Ediesse, Roma, pag. 326; M. Papaleoni,
op. pag. 1378; G. Leone, op. cit., pag. 105; D. Mezzacapo, Diritti ed obblighi..., op. cit, pag. 35;
G. Z. Grandi, op. cit., pag. 755.
173 In riferimento alla triplicità delle obbligazioni nei confronti del collaboratore si veda L.
Castelvetri, Il lavoro a progetto: finalità e disciplina, in M. Tiraboschi (a cura di), La riforma Biagi
del mercato del lavoro, Milano, 2004, Giuffrè, pag. 163.
174 M. Pedrazzoli, op. cit., pag. 785.
175 A. Viscomi, op. cit., pag. 326. 93
Ovviamente si potrà parlare di concorrenza soltanto quando l'attività del
collaboratore sia potenzialmente idonea a contendere la clientela al
committente .
176
Il divieto di concorrenza non riguarda soltanto il caso in cui il collaboratore
svolga la sua attività per un committente concorrente ad un altro con cui si sia già
impegnato, ma anche l'ipotesi di attività in proprio concorrente con quella di uno
dei committenti . II contratto infatti obbliga le parti non solo a quanto è espresso
177
nel medesimo, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge,
gli usi e l'equità secondo quanto affermato nell'art. 1374 c.c.. Questa
affermazione è in contrasto con la possibilità del collaboratore di poter svolgere
l'attività per più committenti, soprattutto se la sua competenza è specialistica. Per
questo motivo alcuni autori ritengono che il divieto in questione sia relativo
178
soltanto all'attività del collaboratore e non alle tipologie di attività svolte dai
committenti dello stesso. La dottrina, infine, ritiene possibile un accordo col
quale le parti regolino un divieto di concorrenza successivo allo scadere del
rapporto lavorativo del prestatore. Secondo parte di essa , tale accordo potrà
179
anche ricalcare il patto di non concorrenza previsto per il lavoratore subordinato
dall’art. 2125 c.c., ma in questo caso le parti potranno anche derogare allo stesso,
poiché tale norma non si applica al lavoratore autonomo. In assenza di una
espressa pattuizione a riguardo, il divieto di concorrenza cessa quindi con
l'estinzione del contratto . Il secondo divieto riguarda la diffusione di notizie e
180
apprezzamenti attinenti ai programmi ed alla organizzazione di essi. Come è
stato precisato in dottrina , la norma contiene probabilmente due divieti distinti
181
176 V. Pinto, op. cit., pag. 25.
177 M. Pedrazzoli, op. cit., pag. 786.
178 G. Z. Grandi, op. cit., pag. 760.
179 F. Lunardon, op. cit., pag. 61.
180 M. Pedrazzoli, op. cit., pag. 786; D. Mezzacapo, Diritti ed obblighi…, op. cit., pag. 35.
181 V. Pinto, op. cit., pag. 25. 94
al suo interno. Il primo riguarda la semplice divulgazione di notizie riservate, il
secondo il diffondere apprezzamenti, ossia giudizi di valore .
182
A differenza del patto di non concorrenza e del divieto di atti pregiudizievoli,
l'obbligo di riservatezza permane anche dopo la conclusione del contratto, con un
conseguente prolungamento nel tempo della responsabilità risarcitoria del
collaboratore . A tal proposito secondo alcuni autori “sarà ben difficile che un
183 184
collaboratore a progetto si occupi di tali e svariate attività da non scontrarsi mai
con precedenti committenti sul piano del medesimo tipo di attività da esso
svolte”. Il testo normativo si riferisce soltanto al programma, ma non c'è motivo
per non ampliare tale disposizione anche al progetto o alla fase di lavoro. Inoltre
sembra che la discrezione da parte del collaboratore non debba riguardare
l'organizzazione e i metodi di produzione dell'impresa come avviene invece per
l'art. 2105 c.c., poiché essi sono normalmente a lui sconosciuti. Pare, dunque,
opportuna la limitazione di questo divieto ai programmi da realizzare, ai progetti
e alle fasi, e , quindi, alla sola organizzazione di questi .
185
L'ultimo divieto riguarda il "compiere, in qualsiasi modo, atti in pregiudizio della
attività dei committenti”. Questa nozione risulta addirittura più estesa rispetto a
quella prevista dall'art. 2105 c.c. , poiché non riguarda le sole notizie, ma
186
qualsiasi tipologia di atti che possono danneggiare l'impresa, che non siano
compresi negli altri due divieti.
182 V. Pinto, op. cit., pag. 25.
183 A. Miranda e E. Vitiello, in Manuale pratico del rapporto di lavoro subordinato, Padova,
1999, pag. 179. Ed ancora E. Vitiello, op. cit., pag. 219; D. Mezzacapo, Diritti ed obblighi…, op.
cit., pag. 35.
184 G. Z. Grandi, op. cit., pag. 759.
185 E. Vitiello, op. cit., pag. 219; D. Mezzacapo, Diritti ed obblighi…, op. cit., pag. 35; contra A.
Viscomi, op. cit., pag. 326 secondo questo autore infatti “esprimere insoddisfazioni per
l’organizzazione e i ritmi di lavoro potrebbe rappresentare addirittura apprezzamento inviso al
committente e non ammesso dalla legge”.
186 E. Vitiello, op. cit., pag. 219. 95
L'estinzione del contratto per la realizzazione del progetto o programma
10. o fase di esso
Ai sensi dell'art. 67, comma 1, del D.Lgs. 276/2003 “ I contratti di lavoro di cui
al presente capo si risolvono al momento della realizzazione del progetto o del
programma o della fase di esso che ne costituisce l’oggetto”.
Questo disposto sembra evidenziare due aspetti. Il Primo aspetto è che il
progetto, il Programma, la fase di esso compongono l'oggetto del contratto. Il
secondo è che non sempre, nel contratto in questione, si può ricollegare la
realizzazione del progetto ad un termine ma in alcuni casi l'apposizione di una
scadenza è superflua, poiché il contratto può risolversi anche prima con la
realizzazione del risultato.
II secondo assunto è giustificato dal fatto che nell'art. 67, comma 1, è previsto un
criterio generale di estinzione per adempimento, in modo che "anche se ex post si
constatasse una perfetta sincronia dei due momenti, l'estinzione del contratto è
comunque sancita dalla realizzazione del progetto, non dalla scadenza dcl
termine" . Questa parte della norma sembra essere indirizzata ai casi in cui il
187
rapporto sia caratterizzato da un adempimento istantaneo e, quindi, di
conseguenza il termine rappresenta il periodo massimo entro il quale deve
avvenire l'adempimento. Se quindi l'esecuzione avviene prima della scadenza, il
collaboratore sarà adempiente e gli verrà corrisposto il compenso pattuito al
momento della stipulazione del contratto. Una volta che il progetto è stato
realizzato, non si ha una continuazione dell'attività, perché manca la ragione che
giustifica il contratto voluto dalle parti.
Gli obblighi di cui agli artt. 64-66 verranno meno, non potendo gravare
ulteriormente né sul committente, né sul collaboratore. In base all'art. 64, infatti,
l'estinzione del contratto causa la cessazione nei confronti del collaboratore sia
del compimento di atti pregiudizievoli nei confronti del committente sia del
divieto di concorrenza. Non verrà sospeso invece il dovere di non diffondere
notizie e apprezzamenti riguardanti i programmi e la loro organizzazione, poiché
187 M. Pedrazzoli, op. cit., pag. 817 – 818. 96
tale onere rientra nel più generale "obbligo di riservatezza". Il lavoro a progetto,
però, può configurarsi anche come il collaboratore sarà contratto di durata in
senso tecnico. In questa ipotesi, adempiente quando la ripetizione del medesimo
risultato avvenga per tutto l’arco temporale previsto nel contratto, oppure quando
i diversi risultati stabiliti siano realizzati per tutto il periodo convenuto.
La ricostruzione della fattispecie come rapporto anche di durata, non è però in
contrasto con l'art. 67 del decreto, poiché esso, al 2° comma, afferma che le parti
possono anche recedere prima della scadenza del termine per giusta causa o
secondo le diverse modalità stabilite nel contratto.
L’ apposizione di un termine richiama dunque i contratti di durata in senso
tecnico, nei quali la prestazione lavorativa è stabilita in funzione del tempo.
Il termine e la sua scadenza, in questo secondo comma, riacquistano importanza,
poiché il contratto si estingue solo quando i risultati pattuiti siano stati realizzati
per tutto il periodo previsto nel contratto. Per la dottrina, il recesso per giusta
causa ex art. 67, comma 2, sembra avere un'efficacia
irretroattiva, che non può pregiudicare la prestazione già eseguita, in linea con le
ipotesi di recesso nei rapporti di durata .
188
Si può concludere che entrambe le anime della collaborazione a progetto sono
comprese nella nonna relativa all'estinzione del contratto, e che soltanto aderendo
alla dottrina che evidenzia questo dualismo di fattori radicato nella fattispecie
lavoro e progetto, si può risolvere l'apparente contraddizione tra i due commi
dell'art. 67.
Il recesso per giusta causa
11.
Ai sensi dell'art. 67, comma 2 del decreto, salvo diversa pattuizione tra le parti,
queste possono recedere prima della scadenza del termine soltanto per giusta
causa. La durata della prestazione lavorativa, comunque, può essere determinata
188 G. Santoro – Passarelli, la nuova figura del lavoro a progetto, in AA.VV., Diritto del lavoro. I
nuovi problemi. L’omaggio dell’accademia a Mattia Persiani, II, 2005, pag. 106. 97
o determinabile ex art. 62 lett. a, potendo il contratto prevedere un termine,
certus quando oppure un termine individuato per relationem nel senso che la
motivazione può essere espressa anche con riferimento ad atti del procedimento
amministrativo, come ad esempio pareri o valutazioni tecniche. Nel secondo caso
la dottrina ha dichiarato chiaramente come “ il progetto, programma o la fase
non possono essere entità tanto compatte ed univoche, da rendere di per sé
evidente e sicura per relationem la quantità di tempo che dovrà essere impiagato
per il loro perfezionamento” .
189
Una indicazione imprecisa o indeterminata, in merito può semplicemente
raggirare la disciplina normativa e permettere al committente di beneficiare del
collaboratore a tempo indeterminato. Si pensi ad esempio all'ipotesi in cui il
termine determinabile coincida con il compimento del progetto. In questa
circostanza "il collaboratore che non realizza il progetto non potrà mai essere
considerato inadempiente perché, a stretto rigore, il termine stabilito per l’
adempimento coincide con l' adempimento stesso" .
190
Dunque l'indicazione nel contratto di un termine non preciso e legato alla stessa
conclusione del progetto, potrebbe rendere perenne il vincolo del collaboratore a
progetto. Tornando alla giusta causa di recesso, essa, stante la lettera della legge,
consente lo scioglimento del vincolo contrattuale senza il bisogno di alcun
preavviso ( c.d. recesso straordinario) . Il concetto di giusta causa, fa tornare
191
alla mente l'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale che ha accompagnato
l'art. 2119 c.c., norma che, come si sa, non dà una nozione di giusta causa, ma si
limita a descriverne gli effetti . Una parte della dottrina , senza particolari
192 193
indicazioni, ha ritenuto che si può estendere anche al lavoro a progetto il tenore
della giusta causa prevista per il lavoro subordinato. Essa è definita dall'art. 2119
189 M. Pedrazzoli, op. cit., pag. 820.
190 D. Mezzacapo, Diritti ed obblighi…, op. cit., pag. 37.
191 M. Papaleoni, op. cit., pag. 1381.
192 G. Santoro – Passarelli, Diritto dei lavori, Torino, 2002, pag. 93.
193 L. De Angelis, La morte apparente delle collaborazioni coordinate e continuative, in Viscomi
A. (a cura di), Diritto del lavoro on line, www.unicz.it/lavoro/RICERCAMISCELLANEA.htm, pag.
. 225.
7; E. Vitiello, op. cit., pag 98
c.c. come la ragione che non consente la continuazione, neanche provvisoria, del
rapporto di lavoro. Vi sono, però, due nozioni di giusta causa ex art. 2119 c.c..
Una prima interpretazione ritiene che la giusta causa sia sempre costituita da un
inadempimento del lavoratore, un'altra, afferma invece che essa possa essere
rappresentata anche da qualsiasi azione idonea a far venir meno la fiducia tra le
parti . Cosi alcuni , in modo più prudente, ritengono non si possa applicare al
194 195
lavoro a progetto l'esperienza relativa all'art. 2119 c.c.. Più precisamente c'è chi
ritiene utilizzabile per la fattispecie lavoro a progetto, solamente la lettura di
giusta causa come inadempimento del lavoratore che non sia di scarsa
importanza ex art 1455 c.c . Questi autori si oppongono dunque ad una
196
ricostruzione della giusta causa, quale fattore anche esterno al rapporto, idoneo a
far venir meno la fiducia tra le parti del contratto di lavoro a progetto. Tale
elaborazione rievoca l'art. 1751, comma 2, c.c. sui casi in cui il proponente non è
tenuto a pagare all'agente l'indennità di cessazione del rapporto. Cosi, sarebbe ad
esempio, un’ ipotesi di giusta causa di recesso, la violazione dell'art. 64, sia nel
caso di mancato rispetto dell'esclusiva concordata, sia nel caso in cui non siano
osservati i tre obblighi gravanti sul collaboratore previsti dal comma 2 e cioè
divieto di concorrenza, di diffusione di notizie e apprezzamenti sui programmi, di
compiere atti pregiudizievoli . Vi è poi un'opinione, secondo la quale, sia la
197
giurisprudenza sulla giusta causa nel lavoro dipendente, sia quella relativa alla
giusta causa di recesso dal contratto d'opera, possono costituire "un ricco arsenale
esemplificativo” nella valutazione del recesso legale prima della scadenza dal
198
contratto a progetto. Qualunque sia la disciplina applicabile, il giudice dovrà
sempre accertare l'esistenza dei fattori comportanti la giusta causa di recesso.
194 G. Santoro – Passarelli, Diritto dei lavori, Torino, 2002, pag. 93.
195 A. Viscomi, op. cit., pag. 328 che sottolinea come in questo caso la giusta causa dovrà
essere definita “ dall’attività di prudente concretizzazione del giudice”.
196 U. Gargiulo, il recesso nel lavoro a progetto tra volontà delle parti e diritto dei contraenti, in
Arg. Dir. Lav., 2004, pag. 905.
197 G. Leone, op. cit., pag. 111; più cauto a riguardo è U. Gargiulo, , op. cit., pag. 907.
198 L. Castelvetri, Il lavoro a progetto: finalità e disciplina, in M. Tiraboschi (a cura di), La
Riforma Biagi nel mercato del lavoro, Milano, 2004, Giuffrè, pag. 167. 99
Laddove essi non siano rilevati dall'interprete, sarà possibile per il collaboratore
esperire un'azione risarcitoria per il pagamento del corrispettivo pattuito sino alla
scadenza, indebitamente risolto dal committente . La previsione legale del
199
recesso per giusta causa è però accompagnata dall'ipotesi di recesso
convenzionale prevista nell'ultima parte del 2° comma. Sembra in questo caso
preferibile l'opinione di chi considera "alternative e non cumulative" le due
200
ipotesi di recesso.
Ritenere che entrambe le cause di recesso possano coesistere all'interno di un
rapporto contrattuale, sminuirebbe infatti il valore della disciplina legale, potendo
le parti pattuire cause molto meno restrittive della giusta causa per svincolarsi dal
rapporto di lavoro.
Il recesso ad nutum: libertà dei contraenti di includere il preavviso
12.
Come anticipato, dal contratto a progetto si può recedere prima della scadenza
del termine, anche secondo le diverse causali o modalità, incluso il preavviso,
stabilite dalle parti nel contratto di lavoro individuale . Il Ministero del Lavoro,
201
con la già più volte citata circolare n. 1/2004, in merito ha chiarito che "si deve
ritenere pertanto che indipendentemente dal termine apposto al contratto qualora
il progetto sia ultimato prima della scadenza il contratto debba intendersi risolto.
Tuttavia se, come ha inteso il legislatore, è il progetto l'elemento caratterizzante
della collaborazione il corrispettivo determinato nel contratto sarà dovuto
comunque per l'intero”.
Mentre dunque il recesso per giusta causa è sempre possibile in un contratto di
lavoro a progetto in assenza di altre indicazioni, altri casi di recesso sono validi
soltanto se previsti in modo convenzionale dalle parti nel contratto.
Si noti da subito l'incongruenza tra quanto invece previsto nella norma. La prima
sembra introdurre il preavviso come un requisito fondamentale del recesso nel
contratto di lavoro a progetto.
199 M. Papaleoni, op. cit., pag. 1381.
200 D. Mezzacapo, Diritti ed obblighi…, op. cit., pag. 37.
201 Art. 67, comma 2, ultima parte. 100
Il contenuto della norma invece testimonia come l’indicazione di questo, non è
vincolante nei confronti delle parti, le quali sono assolutamente libere di non
inserire una tale precisazione nel contratto. Secondo la dottrina prevalente, la
norma in questione rimette ai contraenti la facoltà di prevedere nel contratto
anche un vero e proprio recesso ad nuntum.
L’opinione sembra condivisibile, soprattutto perché le parti possono recedere,
secondo l’art. 67, comma 2, non solo prevedendo altre cause di recesso, ma
anche senza motivo, disciplinando solamente una diversa modalità di recesso. Il
riferimento al preavviso infatti, sembra essere una indicazione esemplificativa di
una diversa modalità di recesso, e non una causale alternativa alla giusta causa .
202
Una comunicazione per iscritto della volontà di esercitare il potere derivante
dall'accordo tra le parti o dalla legge, di recedere unilateralmente da un contratto,
può costituire ad esempio una diversa modalità di recesso alternativa alla giusta
causa. La previsione di un recesso ad nutum stabilito da un patto per un contratto
a termine, qual è quello di lavoro a progetto, risulta, secondo alcuni, anomala e
senza precedenti .
203
Questa forma di recesso è infatti tradizionalmente prevista per contratti a lungo
termine e giustificata dall'avversione del legislatore, nei confronti della perennità
dei vincoli contrattuali. Altri autori quindi affermano che il recesso rimane un
atto causale, poiché il riferimento a "diverse causali" nell'art. 67 è incompatibile
con un recesso libero dei contraenti . Questa ricostruzione ha il pregio di voler
204
tutelare fortemente il collaboratore che normalmente è la parte più interessata al
proseguimento del rapporto contrattuale. Essa però sembra esulare dal contenuto
letterale della norma, la quale indica espressamente, con l'uso della disgiuntiva
“o”, che l’apposizione di diverse modalità di recesso è alternativa a quella di
ulteriori causali. Nello stesso errore incorre la circolare ministeriale laddove nel
202 U. Gargiulo, il recesso nel lavoro a progetto tra volontà delle parti e diritto dei contraenti, in
Arg. Dir. Lav., 2004, pag. 910.
203 U. Gargiulo, op. cit., pag. 909.
204 M. Pedrazzoli, op. cit., pag. 825. 101
punto VIII specifica che "le pani possono recedere prima della scadenza del
termine per giusta causa ed altre cause e modalità (incluso il preavviso)...".
In riferimento al preavviso, se esso è stabilito in modo convenzionale, la sua
previsione "può oscillare tra poche ore e diversi mesi" non essendovi parametri
certi a riguardo, data l'assenza di una contrattazione collettiva applicabile .
205
Se il recesso dovesse avere effetto immediato senza preavviso, alcuni
giuslavoristi ritengono poi debba essere corrisposta un'indennità sostitutiva.
206
Sembra infitte che non sia necessaria la forma scritta per la comunicazione della
volontà di recedere. Alcuni autori , in linea con orientamenti passati ,
207 208
ritengono che, non essendo prevista la forma scritta per la validità del contratto,
un tale onere non può gravare nemmeno nei confronti dell'atto di recesso. Si
auspica in questo caso, che la prassi negoziale preveda comunque una tale
indicazione, la quale può semplificare enormemente il lavoro del giudice.
La filosofia del decreto legislativo 10 settembre 2003, n.276
13.
Come già accaduto per il Libro Bianco dell’ottobre 2001 sul mercato del lavoro
in Italia e per il disegno di legge delega n. 848 del novembre 2001 , anche
209
l’approvazione del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, di attuazione
delle deleghe di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30, ha scatenato una vera e
propria di guerra di religione tra i sostenitori della riforma del mercato del lavoro
e una nutrita schiera di oppositori che, talvolta ancora prima di avere avuto modo
di conoscere il contenuto del decreto , non hanno esitato a parlare di «flessibilità
210
205 U. Gargiulo, op. cit., pag. 909.
206 G. Pellacani, op. cit., pag. 165.
207 U. Gargiulo, op. cit., pag. 912.
208 S. Sangiorgi, voce Recesso, in Enc. Gir. Treccani, Roma 1991, pag. 7.
209 Cfr., ,in particolare, i contributi raccolti in F.CARINCI,M.MISCIONE (a cura di), Il diritto del
lavoro dal Libro Bianco al disegno di legge delega 2002, Ipsoa, Milano, 2002. Si vedano altresì
le relazioni e gli interventi al I Seminario di studi « Massimo D’Antona », Il Libro Bianco sul
mercato del lavoro e la sua attuazione legislativa. Una riflessione sul cambiamento, Firenze, 18
gennaio 2002, in www.aidlass.org. 102
da pezzenti », « occupazione usa e getta », « mercificazione del lavoro ». Non è
211
mancato, invero, anche chi ha cercato di minimizzare il senso e soprattutto la
portata della riforma, adottando una lettura che potremmo definire di tipo «
minimalista »: non tanto, tuttavia, per segnalare i numerosi profili di continuità
212
con il passato , ma unicamente per ipotizzarne una scarsa operatività sul piano
213
pratico e nella prassi aziendale.
Le parole chiave con cui leggere il provvedimento sono piuttosto occupabilità,
imprenditorialità, adattabilità e pari opportunità. Parole moderne ed europee che
sono state importate nel nostro ordinamento nell’ambito delle politiche del lavoro
riconducibili alla c.d. « Strategia Europea per la occupazione ». Parole che si
traducono, di volta in volta, nel corpo del decreto, in un sistema efficiente di
servizi per l’impiego, pubblici e privati, autorizzati e accreditati, che, in rete tra
loro, grazie alla borsa continua del lavoro, accompagnano e facilitano l’incontro
tra coloro che cercano lavoro e coloro che cercano lavoratori; in forme di
flessibilità regolata e contrattata con il sindacato, alternative al lavoro precario e
nero, in modo da bilanciare le esigenze delle imprese di poter competere sui
mercati internazionali con le irrinunciabili istanze di tutela e valorizzazione della
persona del lavoratore; in misure sperimentali di politica attiva e di workfare a
favore di quei gruppi di lavoratori che oggi incontrano maggiori difficoltà
nell’accedere a un lavoro regolare e di buona qualità, anche in termini di
maggiore sicurezza sul lavoro, ovvero a conciliare tempi di vita e tempi di
lavoro: donne, diversamente abili, giovani e over 45/50, ecc.
210 Cfr. tra i tanti, all’indomani della approvazione in prima lettura dello schema di decreto
legislativo n. 250 del 6 giugno 2003, da cui è poi scaturito il decreto legislativo 10 settembre
2003, n. 276, E. SCALFARI, Gli allegri cantori del lavoro flessibile, in La Repubblica, domenica
8 giugno 2003 e L. GALLINO, Occupazione usa e getta, ivi, sabato 7 giugno 2003.
211 Cfr., tra i tanti, P. ALLEVA, Ricerca e analisi dei punti critici del decreto legislativo 276/2003
sul mercato del lavoro, inwww.cgil.it.
212 In questa prospettiva si è subito collocato, tra gli altri, T. TREU, già a partire dal suo Il Libro
Bianco sul lavoro e la delega del Governo, inDRI, 2002, 115 ss. Cfr., in particolare, l’intervento
di questo autorevole commentatore al convegno modenese del 31 ottobre 2003, su La riforma
del mercato del lavoro nella legge n. 30 del 2003 e nel d.lgs. 31 luglio 2003.
213 La continuità col passato, già fisicamente identificabile nel ruolo progettuale giocato da
Marco Biagi nel corso della passata legislatura al fianco di Tiziano Treu, è puntualmente
registrata da P. ICHINO, La « legge Biagi » sul mercato del lavoro: continuità o rottura col
passato?, in Corriere Giuridico, 2003, § 3. 103
Contrariamente a quanto sostenuto in letture prevenute del decreto, si tratta di
una riforma per le persone. Una riforma che punta non solo alla modernizzazione
delle aree più forti e dinamiche ma anche, direttamente e indirettamente, a
rilanciare le aree meno sviluppate del Paese, attraverso una rivisitazione delle
politiche di incentivazione della occupazione; quelle aree del Mezzogiorno, in
particolare, dove solo la trasparenza del mercato del lavoro e la modularità dei
rapporti di lavoro, seppure coniugate con azioni di contesto atte a favorire lo
sviluppo e la crescita della produttività, possono innescare un processo di
sviluppo economico, di crescita della occupazione regolare e di rafforzamento
della coesione sociale.
Obiettivo centrale della riforma è quello di garantire la effettiva occupabilità di
ogni singolo lavoratore in una dimensione, quella della economia della
informazione e della conoscenza , ove i paradigmi dello sviluppo economico e di
quello sociale tendono a convergere nella valorizzazione della persona.
Meritano una particolare sottolineatura quelle norme del decreto delegato,
ispirate all’esigenza di tutela delle forze deboli del mercato un’esigenza che stava
particolarmente a cuore a Biagi, che sosteneva: “è sempre presente e viva l’idea
che si debba combattere il lavoro sommerso ed agevolare l’inserimento effettivo
dei soggetti deboli, cioè di coloro che per condizioni personali o per età o per
sesso sono esclusi dal circuito attivo e rischiano di doversi accontentare, al
massimo, di un lavoro modesto e precario se non addirittura irregolare, oppure
dell’assistenza pubblica”.
Ad esempio, per favorire l’inserimento delle cooperative sociali dei disabili o dei
lavoratori svantaggiati nel d.lgs. 276/2003 è previsto, all’art. 14, la stipulazione
di convenzioni quadro su base territoriale, che hanno lo scopo di promuovere e
favorire il conferimento di commesse alle cooperative sociali, presso le quali
sono inseriti realmente i soggetti deboli e più svantaggiati.
Per quanto non priva di lacune e legittimamente criticabile sul piano della tecnica
normativa adottata, la riforma assume davvero la centralità della persona in età di
lavoro quando ridefinisce il collocamento ordinario come una rete fondata sulla
anagrafe del singolo lavoratore destinata a integrarsi con il suo libretto formativo.
104
E ancora quando promuove un mercato efficiente e trasparente attraverso
strumenti quali la borsa continua del lavoro , operatori debitamente autorizzati
214
e/o accreditati e sedi di certificazione dei contratti di lavoro; e cioè una pluralità
di operatori che assistono un contraente che, spesso, è «debole » solo per una
asimmetria informativa o per mancanza di adeguata formazione, consentendogli
di conoscere e di incontrare con trasparenza e tempestività tutte le opportunità di
lavoro in tutto il Paese e di stipulare il contratto di lavoro più coerente con le sue
esigenze di lavoro.
Il decreto mira altresì a garantire uno sviluppo adeguato, e in una cornice
giuridica coerente con le logiche della nuova economia e le istanze di tutela del
lavoro, dei processi di esternalizzazione del lavoro, in modo da consentire al
sistema delle imprese di beneficiare delle logiche di rete e degli investimenti in
capitale digitale e tecnologia e contrastare le forme fraudolente di decentramento
produttivo.
I riflessi della riforma
14.
La nuova normativa contiene evidenti perplessità ed anche molteplici
contraddizioni. L'inserimento del contratto a progetto sul modello del contratto di
collaborazione non sembra ben riuscito per una ragione storica e normativa. Le
Collaborazioni coordinate avevano, infatti, progressivamente attenuato la loro
derivazione dalla fattispecie del lavoro autonomo ed avevano acquisito caratteri
sempre più affini a quelli inerenti le modalità di svolgimento del lavoro
subordinato.
214 La Borsa continua nazionale del lavoro (o BCNL), in Italia è una rete integrata di strumenti,
servizi, informazioni, documentazione per il mercato del lavoro. Venne introdotta dall'art. 15 del
d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276. Nella Borsa, i cittadini, i lavoratori, i disoccupati, le persone in
cerca di un lavoro, i soggetti autorizzati o accreditati e i datori di lavoro possono decidere di
incontrarsi in maniera libera sulla base di servizi liberamente scelti dall'utente. Gli operatori del
mercato del lavoro, siano essi pubblici o privati, accreditati o autorizzati, hanno l'obbligo di
conferire alla BCNL i dati acquisiti, in base alle indicazioni rese dai lavoratori. 105
Su queste basi si giustificava l'estensione di alcune garanzie, che invece
potrebbero apparire non più del tutto adatte una volta recuperata la matrice
autonoma del rapporto. E’ inoltre molto significativo il fatto che anche alcune
delle novità introdotte ad esempio in materia retributiva oppure di sicurezza, se
hanno piena giustificazione in un rapporto continuativo più o meno stabile, sono
assai meno comprensibili in un rapporto a progetto in cui il dato che dovrebbe
prevalere è il raggiungimento del risultato finale.
Da un punto di vista sostanziale la nuova disciplina non comporta sensibili
miglioramenti economici e normativi nella condizione dei collaboratori
coordinati e continuativi ed anzi sotto certi punti di vista contiene delle tutele
addirittura più ridotte di quelle che si erano venute a determinare nell'evoluzione
normativa degli ultimi tempi, specie in ambito sindacale.
Tutto ciò si può anche giustificare con il carattere selettivo della nuova figura che
tende a salvare quelle collaborazioni che presentano una precisa valenza
funzionale.
Più complesso è, invece, decidere quale sia il trattamento applicabile a quelle
collaborazioni coordinate e continuative che mantengono una matrice
tradizionale in relazione alla posizione soggettiva degli interessati (professionisti,
pensionati) ovvero per ragioni temporali.
Per tali soggetti si ritiene che rimanga invariato il regime giuridico preesistente
senza le integrazioni introdotte dalla riforma. In altre parole, mentre i lavoratori a
progetto finiscono per cumulare i trattamenti già previsti dalla legislazione
preesistente a favore dei co.co.co, le collaborazioni di stampo tradizionale
mantengono soltanto le preesistenti forme di tutela e non sono assoggettati alla
nuova disciplina prescritta per i lavoratori a progetto anche quando siano
prescritte garanzie e tutele tendenzialmente universali come avviene, in certa
misura, in materia di definizione del compenso e di sospensione del rapporto di
lavoro per cause riferibili al lavoratore.
Si potrebbe affermare chiaramente che le conseguenze di un diverso trattamento
sono irrazionali e molto contraddittorie. Infatti il legislatore avrebbe fornito di
una maggior tutela i lavoratori a progetto, i quali hanno recuperato in gran parte
106
l'originaria matrice autonoma, mentre avrebbe riconosciuto una tutela minore ai
rapporti di collaborazione di stampo tradizionale, benché più affini, quanto meno
nelle modalità esplicative, ai lavoratori subordinati. La differenza di trattamento
potrebbe parzialmente giustificarsi in relazione alle caratteristiche soggettive dei
soggetti esclusi considerati meno meritevoli di interventi protettivi. La
trasformazione giudiziale del rapporto di collaborazione coordinata e
continuativa in rapporto di lavoro dipendente può avere notevoli ripercussioni in
ambito previdenziale, ove peraltro è registrabile un notevole contenzioso, ora
promosso direttamente dall'Inps, per ottenere il pagamento della contribuzione
previdenziale, ora invece dagli stessi collaboratori per ottenere i vari diritti
connessi allo stato di subordinazione.
Per evitare un eccessivo sovraccarico economico in situazioni di incerta
qualificazione dei rapporti di lavoro, l'ente previdenziale ha chiarito che la
trasformazione - qualificazione giudiziale di un rapporto in quello di lavoro
subordinato - non configura una situazione di evasione contributiva ma di mera
omissione contributiva con effetti sezionatori quindi sensibilmente più
215
ridotti . L'assetto che ne deriva della disciplina sin qui descritta si presenta
216
problematico anche sul piano dell'attuale disciplina previdenziale e fiscale, a
causa della recente tendenza del legislatore a voler assimilare progressivamente i
redditi di collaborazione a quelli di lavoro dipendente. Tale assimilazione, che si
giustificava per le prassi diffuse di utilizzazione delle collaborazioni, si presenta
ora alquanto discutibile con riferimento ai lavori a progetto, che si presentano
con una definizione alquanto diversa da quelle adottate in passato per le
collaborazioni coordinate e continuative, sia in ambito previdenziale, sia in
ambito fiscale.
La nuova disciplina del lavoro a progetto: legge 28 giugno 2012, n. 92.
15.
215 V. art. 116, legge n. 388/2000.
216 V. in particolare circ. Inps n. 74 del 30 aprile 2003. 107
La legge 28 giugno 2012, n. 92, nel suo complesso e articolato contenuto
regolativo, dedica alcune previsioni anche ai rapporti di lavoro a progetto 217
nonché al sostegno al reddito dei collaboratori a progetto quando versino in stato
di bisogno per mancanza di lavoro . Si tratta di due nuclei normativi ben distinti
218
tra di loro per varie ragioni ma che si prestano ad una trattazione unitaria.
Per quanto attiene il primo di essi, in particolare, la L. n. 92/2012 riformula la
descrizione del contenuto tipico del contratto di lavoro a progetto, introduce una
serie di presunzioni al fine di facilitare le operazioni di qualificazione giuridica
dei rapporti, modifica le previsioni in materia di corrispettivo e riscrive
parzialmente il regime dell'estinzione del rapporto.
La legge, peraltro, lascia inalterata l'opzione fondamentale di politica del diritto
compiuta nel 2003 consistente nell'assegnazione al contratto di lavoro a progetto
del ruolo di schema negoziale tendenzialmente esclusivo a disposizione dei
committenti interessati a beneficiare di quelle particolari forme di lavoro
autonomo denominate "collaborazioni coordinate e continuative" e nella
conseguente restrizione dei margini entro cui i privati possono esercitare
l'autonomia negoziale loro riconosciuta dall'art. 1322 c.c . Il d.lgs. n. 276/2003
219
imponendo in linea generale di ricondurre le collaborazioni coordinate e
continuative ad un progetto , ha appunto tipizzato un nuovo schema negoziale
220 221
al quale le parti sono tenute a ricorrere ogni volta che intendano porre le
condizioni negoziali affinché una prestazione di fare, pur orientata alla
217 V. l’art. 1, cc. 23-27.
218 Cfr. l’art. 2, cc. 51-56.
219 Circostanza che, ad esempio, ha comportato una drastica riduzione della possibilità che gli
operatori economici possano avvalersi di collaboratori coordinati e continuativi a tempo
indeterminato (essendo il contratto di lavoro a progetto uno schema negoziale ad efficacia
necessariamente limitata nel tempo).
220 Proprio l'imposizione dell'obbligo di ricondurre le collaborazioni non subordinate ad un
progetto porta ad escludere che il legislatore si sia limitato ad attribuire rilievo giuridico ad un
dato di tipicità sociale (come sostenuto da TIRABOSCHI M., Il lavoro a progetto profili teorico
ricostruitivi, in AA. VV. Diritto del lavoro, I nuovi problemi, L'omaggio dell'accademia a Mattia
Persiani, 2, Cedam, Padova, 2005. pag 1445) anziché creare un vero e proprio schema
negoziale. E ciò resta fermo anche considerando come, in precedenza, la giurisprudenza
avesse già evidenziato come il "coordinamento" non fosse altro che l'«espletamento dell'attività
nell'ambito di un programma preordinato, anche implicito» (CASTELVETRI L., La definizione
del lavoro a progetto, in AA.VV., Diritto del Lavoro, i nuovi problemi, L’omaggio dell’accademia a
Mattia Persiani, 2, Cedam, Padova, 2005, 1297). 108
produzione di un'opera o di un servizio, debba essere necessariamente coordinata
con l'attività e l'organizzazione del committente perché sia concretamente
possibile procurare l'utilità attesa da quest'ultimo e, conseguentemente,
soddisfare il suo interesse creditorio . Di qui, appunto, la già segnalata riduzione
222
dei margini di autonomia negoziale concessi alle parti sia per quanto riguarda la
scelta del contratto da sottoscrivere, sia per quanto attiene alla disponibilità del
regolamento negoziale .
223
Orbene, tenendo in debito conto questa opzione fondamentale, è possibile
individuare il senso e la portata della legge a partire dalla preoccupazione del
tutto condivisibile e dalla convinzione che hanno mosso il legislatore.
La preoccupazione attiene alla necessità di contrastare le persistenti pratiche
abusive consistenti non solo nella dissimulazione di veri e propri rapporti di
lavoro subordinato sotto l'apparenza di contratti di lavoro a progetto o, perfino, di
contratti d'opera con tanto di assoggettamento dei relativi compensi all'imposta
sul Valore Aggiunto. Essa attiene anche alle collaborazioni autonome genuine
sotto l'apparenza di contratti d'opera o di incarichi professionali e ciò al fine di
evitare di sostenere gli oneri contributivi, ormai elevati, connessi alle prime. La
convinzione di fondo che ha mosso il legislatore, invece, è che tali pratiche non
221 Ritiene che il contratto di lavoro a progetto sia un nuovo schema negoziale bensì un
“sottotipo” del contratto d'opera, NAPOLI, Riflessioni sul contratto a progetto, in AA.VV., Diritto
del Lavoro, i nuovi problemi, L’omaggio dell’accademia a Mattia Persiani, 2, Cedam, Padova,
2005, pag. 1349.
222 Questo, infatti, pare essere il tratto distintivo delle collaborazioni coordinate e continuative.
Si può aggiungere che la cooperazione tra le parti — sub specie di coordinamento spazio-
temporale delle rispettive attività — è necessaria proprio perché il "bene promesso" è destinato
ad essere funzionalmente integrato nell'organizzazione del committente (circostanza
particolarmente evidente quando il "risultato finale" cui tendono le parti è un servizio). Sul tema,
però, il dibattito è tuttora aperto. In proposito, v. almeno le diverse opinioni di PERSIANI,
Individuazione delle nuove tipologie tra subordinazione e autonomia , ADL, 2005, 20 ss.;
PROIA, Lavoro coordinato e lavoro a progetto, in AA.VV., Diritto del lavoro, I nuovi problemi.
L'omaggio dell'accademia a Mattia Persiani, 2, Cedam, Padova, 2005, spec. 1397 ss.; GHERA,
Il nuovo diritto del lavoro, Giappichelli, Torino 2006, 6 ss.;
223 Conviene ricordare che la disciplina legale, salvo esplicita previsione in senso contrario,
deve ritenersi inderogabile dalle parti in senso peggiorativo per il collaboratore; essa, invece,
non impedisce «l'applicazione di clausole di contratto individuale o di accordo collettivo più
favorevoli per il collaboratore a progetto» (cosi l'art. 61, c. 4, d.lgs. n. 276/2003; ma v. anche
l'art. 1. c. 1204, I, 27 dicembre 2006, n. 296). Occorre peraltro considerare che la questione è
influenzata dalle nuove forme di raccordo tra legge e autonomia collettiva instaurate dall'art. 8,
cc. 1 e 2, lett. e. d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, in L. 14 settembre
2011, n. 148. 109
potessero essere contrastate efficacemente mediante i controlli ispettivi o
attraverso i tradizionali rimedi giurisdizionali ma che, al contrario, l'obiettivo
richiedesse l'introduzione di disincentivi normativi in grado di assicurare il
rispetto spontaneo ed automatico della legge da parte degli operatori
economici .
224
Ulteriori elementi di incertezza, se non di vera e propria confusione, erano poi
connessi alle ambiguità concettuali e alle antinomie che caratterizzavano molte
previsioni relative al rapporto di lavoro a progetto, sia nella sua fase genetica che
in quelle esecutiva ed estintiva. Anche in questo caso, però, l'auspicabile
intervento del legislatore non c'è stato, ragione per cui è facile prevedere che le
incertezze siano destinate a rimanere inalterate e le soluzioni prospettate ad
essere molto controverse.
Le modifiche alla disciplina del lavoro a progetto
16.
La riforma della disciplina in materia di lavoro a progetto appare, quindi, ispirata
alla ragione di fondo di irrigidire la flessibilità in entrata e ristabilire il primato
del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, significativamente
definito "contratto dominante" , riducendo il dualismo del mercato del lavoro .
225 226
Tale intervento viene perseguito dal legislatore attraverso un netto restringimento
delle condizioni di "uso" del lavoro a progetto e, viceversa, un ampliamento delle
condizioni del suo "abuso".
A questo fine risponde la riscrittura della fattispecie di cui all'art. 61. D.Lgs 10
settembre 2003, n. 276 nella quale sono inseriti nuovi requisiti tipologici.
224 Il concetto di “disincentivo economico” è esplicitamente impiegato nel documento
preparatorio della riforma 23 marzo 2012.
225 Coì recita l’articolo 1, 1° comma, lett. a), L. 28 giugn0 2012, n. 92.
226 Così è detto espressamente nella bozza di riforma dei contratti Linee di intervento sulla
disciplina delle tipologie contrattuali, 1. 110
Viene, quindi, integralmente sostituito il comma 1 dell'art. 61 per stabilire che,
salvo determinate categorie tipizzate (agenti, rappresentanti e lavoratori di call-
center), i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa prevalentemente
personale e senza vincolo di subordinazione di cui all'art. 409, n. 3, c.p.c.,
"devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici determinati dal
committente e gestiti autonomamente dal collaboratore". In altri termini il
legislatore, dopo aver ribadito la disciplina ormai speciale riservata ai soggetti
impiegati in call-center outbound , ha eliminato dalla formula originaria il
227
riferimento "ai programmi di lavoro o fasi di essi", per poi aggiungere che "il
progetto deve essere funzionalmente collegato a un determinato risultato finale e
non può consistere in una mera riproposizione dell'oggetto sociale del
committente”, cosi come il progetto non può comportare lo svolgimento di
"compiti meramente esecutivi e ripetitivi".
Com'è facile intuire, il legislatore ha voluto sancire la netta appartenenza dei
contratti a progetto alla categoria dei contratti d'opera regolati dal codice civile
eliminando ogni equivoco e approssimazione che aveva contraddistinto la
precedente regolamentazione. Per dare coerenza a tale disegno, ha prefigurato
una rete a maglie cosi strette da rendere francamente problematica la stipula di
contratti a progetto per cosi dire ineccepibili.
Gli interventi legislativi, così sinteticamente riepilogati, risultano coerenti con la
ratio di restringere le maglie del lavoro a progetto, rafforzandone la funzione
antielusiva . Ciò che non persuade però è l'impostazione di fondo adottata
228
227 Con riferimento ai cali-center l’ art. 24-bis della 1. n. 134/2012, di conversione del d.lgs. n.
8/2012, ha introdotto una modifica al comma 1 dell'art. 61, d.lgs. n. 276/2003, esonerando
dall'obbligo del progetto anche le “attività di vendita diretta di beni e di servizi realizzate
attraverso cali-center outbound per le quali il ricorso ai contratti di collaborazione a progetto è
consentito sulla base del corrispettivo definito dalla contrattazione collettiva nazionale di
riferimento" (comma 7). L'esclusione si applica alle attività svolte dai cali-center con almeno 20
dipendenti (comma 1 ). Inoltre la stessa norma ha introdotto una serie di vincoli alquanto
stringenti con riferimento ai cali-center che operano fuori dal territorio nazionale.
228 In questo senso, v. d.d.l. 3249, comunicato alla Presidenza il 5 aprile 2012, dove è detto
che il lavoro a progetto è spesso "abusato" dal committente e cela nei fatti un normale rapporto
di lavoro subordinato. Sottolinea la coerenza del complessivo intervento legislativo in materia di
flessibilità in entrata con gli obiettivi dichiarati dalla riforma, M.T. CARINCI, Il rapporto di lavoro
al tempo della crisi: modelli europei e flexicurity “all'italiana" a confronto, relazione presentata
durante le giornate di studio A.i.d.la.s.s. di Pisa, 4-5 giugno 2012, in Giornale dir. Lav. e
relazioni ind., 2012, spec. 544 ss. 111
rispetto al lavoro autonomo, colto in un'ottica soltanto patologica e confinato in
uno spazio assai più circoscritto rispetto al dominante lavoro subordinato . In
229
questo senso, la riforma, nell' imputare alla fattispecie della subordinazione ogni
risposta protettiva, non risponde al comune sentire di una parte di lavoratori
autonomi che sottolineano il carattere non solo fraudolento, ma genuino del
lavoro autonomo, invocando protezioni diverse per qualità e quantità da quelle
che si ricollegano al lavoro subordinato.
La ridefinizione della nozione di progetto
17.
ln base all'articolo 1, 23° comma, lett. a), 1. 28 giugno 2012, n. 92, dalla
fattispecie delle collaborazioni coordinate e continuative riconducibili a progetto,
di cui all'articolo 61, l° comma, d.1g. 276/2003, sono anzitutto espunte le
ambigue e, per vero, scarsamente applicate nozioni di “programma” e "fase”,
dando ragione all'opinione per cui "progetto o programma” costituivano una sorta
di endiadi . La nuova normativa, quindi, conferma che il contratto a progetto ha
230
ad oggetto una collaborazione coordinata e continuativa a cui va aggiunto, con
finalità evidentemente antifraudolenta, un elemento additivo rappresentato da un
progetto specifico . Viene poi precisato che il progetto deve essere non sola
231
specifico, e quindi avere un adeguato livello di compiutezza e individualità nel
contesto produttivo, ma deve essere anche “funzionalmente collegato ad un
risultato finale”, laddove il testo previgente utilizzava l'espressione “in funzione
229 In questo senso, v. TREU, Riequilibrio delle tutele e flexicurity, in MAGNANI E
TIRABOSCHI (a cura di), La nuova riforma del lavoro. Commentarlo alla legge 28 giugno 2012,
n. 92 recante disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di
crescita, Milano, 2012, 25; G. SANTORO PASSARELLI, Dall'art. 409, n. 3, c.p.c. alla riforma del
lavoro Monti. Quaranta anni per contrastare il lavoro autonomo ma non per tutelare il lavoro
autonomo debole ma genuino, in NOGLER E CORAZZA (a cura di). Liber amicorum Marcello
Pedrazzoli, Milano, 2012, 773;
230 Per tutti, PROIA, Lavoro a progetto e modelli contrattuali di lavoro, in Arg. dir. lav.. 2003,
pag 667. In giurisprudenza, tenta di distinguere i significati di "progetto" e "programma", ad
esempio, Trib. Milano 15 ottobre 2010, in Riv. Critica dir. lav., 2011. pag 607, con nota di BIASI.
112
del risultato” riferita sia alla gestione autonoma del progetto da parte del
collaboratore, sia alla sua determinazione unilaterale da parte del committente.
Il mutamento non è di poco conto e contribuisce a chiarire il controverso
significato del "progetto". Ma tutto ciò non è stato ritenuto ancora sufficiente dal
legislatore, giacché ha richiesto che: il progetto non si esaurisca in una mera
riproposizione dell'oggetto sociale del committente: deve armonicamente
coordinarsi con l'organizzazione di quest'ultimo; deve prescindere da una mera
rilevazione del tempo impiegato; non può comportare lo svolgimento di compiti
meramente esecutivi e ripetitivi.
Il progetto dovrebbe essere inteso come pianificazione di un'attività in vista della
produzione di un'opera o della realizzazione di un servizio destinati, in entrambi i
casi, ad essere funzionalmente integrati nell'organizzazione del committente . Al
232
progetto dovrebbe essere possibile assegnare una duplice valenza in grado, tra
l'altro, di risolvere la denunciata contrapposizione.
Per un verso, infatti, l'individuazione e la pianificazione di un'attività distinta
rispetto a quella giuridicamente riferibile al committente è la condizione
essenziale che legittima quest'ultimo a sottoscrivere questo contratto e, in
definitiva, a ricevere una collaborazione di natura coordinata e continuativa. Il
progetto, in questa prospettiva, individua indirettamente quell'interesse
produttivo del creditore che, proprio in quanto “temporalmente ben
231 Sulla specificità insiste la circ. n. 4/2008 del Ministero del lavoro secondo la quale “ con
riferimento al progetto, programma di lavoro o fase di esso, il personale ispettivo deve
verificarne anzitutto la specificità, tenendo presente che lo stesso non può totalmente coincidere
con l’attività principale o accessoria dell'impresa come risultante dall'oggetto sociale e non può
ad essa sovrapporsi ma, come già sottolineato dalla circolare n. 1/2004 e n. 17/2006, potrà
essere soltanto ad essa funzionalmente correlato. Ciò comporta che il progetto non può limitarsi
a descrivere il mero svolgimento della normale attività produttiva né può consistere nella
semplice elencazione del contenuto tipico delle mansioni affidate al collaboratore".
232 E’ questa la ragione del dissenso rispetto all'opinione che vede nel contratto a progetto una
forma di esternalizzazione dell'attività economica «a favore di una persona» (cha la svolgerà
con il lavoro prevalentemente proprio): NAPOLI, Riflessioni sul contratto a progetto, in AA.VV.,
Diritto del lavoro, I nuovi problemi, L'omaggio dell'accademia a Mattia Persiani, 2, Cedam,
Padova, 2005, pag. 1356; ma anche DE MARINIS, Impresa e lavoro oltre la legge Biagi,
Giappichelli, Torino, 2008, pag. 114. 113
circoscritto” , giustifica il ricorso al contratto di lavoro a progetto . Orbene, è
233 234
chiaro che, così inteso, il progetto non può che costituire l'esito di una
valutazione unilaterale del committente, peraltro insindacabile anche dal
giudice . Contemporaneamente, e per altro verso, proprio perché individua il
235
risultato finale alla cui realizzazione sono teologicamente orientati sia l'apporto
lavorativo che le modalità di coordinamento tra questo e l'organizzazione del
committente, il progetto non può che essere consensualmente definito tra le parti.
Un'altra indicazione deriva dalla già segnalata preoccupazione del legislatore di
evitare che il ricorso al contratto di lavoro a progetto dissimuli sul piano formale
la natura subordinata della prestazione resa in concreto.
La legge, infatti, stabilisce che “il progetto non può comportare lo svolgimento di
compiti meramente esecutivi o ripetitivi, che possono essere individuati dai
contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale” .
236
Ma l'indicazione legislativa è carica di ambiguità soprattutto perché lascia
intendere che "compiti" diversi da quelli espressamente indicati dalla previsione,
ossia compiti che non siano né "esecutivi" né "ripetitivi", possano essere
legittimamente ricompresi nel progetto. Orbene, è evidente che inteso nel senso
rigoroso di attività dovuta da qualcuno in conseguenza dell'assegnazione da parte
di qualcun altro, nessun compito è compatibile con la struttura fondamentale del
contratto di lavoro a progetto. Anche qualora si volesse riconoscere al
committente un potere di coordinamento nei confronti del collaboratore, esso non
potrebbe mai comportare l'assegnazione di compiti perché si risolverebbe al più
233 Entrambe le espressioni sono riprese da ICHINO, L'anima laburista della legge Biagi.
Subordinazione e “dipendenza" nella definizione della fattispecie di riferimento del diritto del
lavoro, GC, II, 2005, pag. 138.
234 Contratto la cui efficacia, come è noto e come già ricordato, è indefettibilmente limitata nel
tempo
235 Si ricordi, infatti, che ai sensi del terzo comma dell'art. 69 d.lgs. n. 276/2003 (come
modificato dall'art. 1, c. 23, lett. f, I. n. 92/2012), «il controllo giudiziale è limitato esclusivamente
in conformità ai principi generali dell'ordinamento, all'accertamento della esistenza della
progetto non può essere esteso fino al punto di sindacare nel merito valutazioni e scelte
tecniche, organizzative o produttive che spettano al committente».
236 Così l’ultimo periodo del primo comma dell’art. 61. D.lgs. n. 276/2003, nuovo testo. 114
nel potere di dare istruzioni sulle modalità di esecuzione di un'obbligazione il cui
oggetto è definito consensualmente.
Al contrario, la precisazione delle mansioni è un tratto tipico del contratto di
lavoro subordinato poiché in questo tipo di rapporto, spesso non vi è altro modo
per determinare la promessa negoziale del lavoratore e circoscrivere l'ambito di
esercizio dei poteri datoriali di specificazione e di conformazione della
prestazione.
Il regime delle presunzioni di cui all'art. 69 d.lgs. n. 276/2003
18.
Il tema da ultimo trattato introduce il discorso sulle presunzioni relative al
rapporto di lavoro a progetto, come noto contenute nell'art. 69 del d.lgs. n.
276/2003. L'art. 1, c, 23, lett. g, L. 92/2012, anzitutto, completa la previsione
secondo la quale l'accertamento della natura subordinata dell'apporto reso dal
“collaboratore" determina l'instaurazione tra le parti di un rapporto di lavoro
subordinato "corrispondente alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le
parti" . Orbene, la novella prevede che “salvo prova contraria a carico del
237
committente, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a
progetto, sono considerati rapporti di lavoro subordinato sin dalla data di
costituzione del rapporto, nel caso in cui l'attività del collaboratore sia svolta con
modalità analoghe a quella svolta dai lavoratori dipendenti dell’ impresa
committente" .
238
La norma, che riguarda tutte le collaborazioni e non solo quelle a progetto,
integra e completa i cosiddetti indici sintomatici della subordinazione
237 Cosi l'art. 69, c. 2, d.lgs. n. 276/2003. Sulle conseguenze sanzionatorie derivanti
dall'accertamento della natura subordinata delle collaborazioni instaurate prima del 30
settembre 2008, v. anche la previsione dell'art. 50, 1, 4 novembre 2010 n. 183.
238 Questo, appunto, è il testo aggiunto dall'art. 1, c. 23. lettera g), L. n. 92/2012 all'art. 69, c.
2, d.lgs. n. 276,2003. A norma del comma 25 del medesimo articolo 1, poi, tale presunzione si
applica esclusivamente ai contratti di collaborazione stipulati successivamente alla data di
entrata in vigore della legge (e, quindi, successivamente al 18 luglio 2012). 115
generalmente impiegati dai giudici per determinare induttivamente la natura
giuridica del rapporto di lavoro a partire dalle modalità esecutive dell'attività che
ne costituisce oggetto. Criteri che assumono un “rilievo sintomatico” e che una
consolidata giurisprudenza individua negli elementi “della collaborazione, della
continuità della prestazione, dell’osservanza di un orario determinato, del
versamento, a cadenze fisse, di una retribuzione prestabilita, del coordinamento
dell’attività lavorativa all’assetto organizzativo dato dall’impresa del datore di
lavoro, dell’assenza, in capo al lavoratore di una, sia pur minima, struttura
imprenditoriale ”. Nell'ipotesi qui in discorso, qualora l’apprezzamento degli
239
indicatori non desse risultati appaganti, il giudice dovrebbe verificare se, sempre
in concreto, il collaboratore abbia svolto la propria attività con “modalità
analoghe” e, quindi, non necessariamente identiche alle modalità di esecuzione
della prestazione di lavoro subordinato nell'impresa del committente. La
presunzione, tuttavia, non opera se l'apporto del collaboratore si sostanzi in
“prestazioni di elvata professionalità” le quali, peraltro, possono essere tipizzate
«dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente
più rappresentative sul piano nazionale» .
240
In questo caso, insomma, la qualificazione formale data dalle parti al momento
dell’instaurazione del rapporto può essere superata soltanto qualora ricorrano gli
elementi sintomatici della subordinazione di cui si è detto o, se si preferisce, il
procedimento diretto alla qualificazione del rapporto allo specifico fine previsto
dall'art. 1374 c.c. è quello comune.
Peraltro, se l'eccezione all'operare della presunzione è chiara, molto meno lo è la
sua ragione d'essere. Probabilmente, anche in questo caso la scelta legislativa ha
alla base quella doppia equivalenza tra lavoro professionalizzato e lavoro
autonomo, da un lato, e tra lavoro dequalificato e lavoro subordinato, dall'altro,
che non soltanto non è sempre vera in fatto, ma è certamente infondata in diritto.
Come si evince dal dato testuale, comunque, l'eccezione in discorso è destinata
ad operare sempre e, quindi, anche in assenza di un'individuazione da parte
239 Così la fondamentale Cass. SS.UU. 30.6.1999, n. 379, IP, 2001, 97.
240 V., ancora, l'ultimo periodo dell'art. 69, c. 2, d.lgs. n. 276/2003. 116
dell'autonomia collettiva delle prestazioni di elevata professionalità . In assenza
241
di clausole collettive, pertanto, spetterà al giudice stabilire quale sia in concreto il
livello minimo di conoscenze e competenze a partire dal quale si può discorrere
di una “elevata professionalità”.
Ciò detto sulla prima delle due presunzioni presenti nell'art. 69 d.lgs. n.
276/2003, resta da dire dell'altra la quale, invece, dispone che i rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa che siano instaurati senza
individuazione di uno specifico progetto "sono considerati rapporti di lavoro
subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto ”.
242
Il legislatore, in questo caso, si è limitato ad intervenire con una norma di
interpretazione autentica che, purtroppo, non risolve affatto i dilemmi in cui si
sono finora dibattute dottrina e giurisprudenza. Oggi, infatti, sappiamo che
"l'individuazione di uno specifico progetto costituisce elemento essenziale di
validità del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, la cui mancanza
determina la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato” .
243
Dunque, con la norma di interpretazione autentica già citata, il legislatore rende
definitivamente insostenibile la tesi della presunzione relativa e elimina la
possibilità stessa di un'interpretazione costituzionalmente orientata seppure
forzata sul piano testuale. Per quanto sia prematuro trarre conclusioni definitive,
insomma, si può plausibilmente ritenere che la norma rafforzi e renda palesi i
dubbi di legittimità costituzionale già espressi in passato. Il punto cruciale è che
entrambe le previsioni, interpretata ed interpretante, confondono due piani che
sono logicamente, prima che giuridicamente, distinti: il piano del contratto di
lavoro a progetto e quello della natura giuridica della prestazione.
241 Quanto al contratto collettivo abilitato ad individuare prestazioni di elevata professionalità
(e, quindi, a determinare l’ampiezza dell’area sottratta all’operare della presunzione), la
circostanza che il legislatore richieda la sottoscrizione delle organizzazioni sindacali – e non
anche delle organizzazioni datoriali- più rappresentative sul piano nazionale è motivo sufficiente
per concludere che il rinvio legale includa anche il contratto collettivo aziendale.
242 Cfr. l’art. 69, c. 1, d.lgs. n. 276/2003.
243 V. l’art. 2, c. 24, L. n. 92/2012. 117
La circostanza che il progetto non sia stato correttamente individuato o manchi
del tutto è certamente un fatto rilevante sul piano del contratto/rapporto e che ben
può essere sanzionato sul medesimo piano.
La medesima circostanza, pero, non può avere alcun riflesso sulla qualificazione
della prestazione resa in esecuzione di quel contratto poiché essa, con tutta
evidenza, continuerà a dipendere da un fatto diverso: ossia, dall'essere stata posta
in essere alle dipendenze e sotto la direzione altrui.
Tra i due fatti, vale a dire tra l'assenza di un elemento anche essenziale del
contratto e l'assoggettamento ad eterodirezione, non vi è né vi può essere alcuna
relazione necessaria ed indefettibile. Proprio per questa ragione, è possibile che
vi siano contratti in cui il progetto è correttamente individuato ma che, ciò
nonostante, dissimulino prestazioni di lavoro subordinato e, d'altra parte, possono
darsi ipotesi di contratti in cui il progetto manchi del tutto ma la prestazione
eseguita sia genuinamente autonoma. Se così è, è evidente perché anche la norma
interpretativa di cui alla L. n. 92/2012, nel disporre l'invalidità del contratto a
progetto l'instaurazione coattiva di un rapporto di lavoro subordinato precludendo
l'accertamento della natura giuridica della prestazione eseguita, si presenti come
incostituzionale. Se è vero, infatti, che il legislatore ha piena discrezionalità nella
formulazione tanto dei meccanismi sanzionatori quanto dei dispositivi
presuntivi , è anche vero che essa non può mai sconfinare nella formulazione di
244
dispositivi, come quello in discorso, "manifestamente irragionevoli" proprio per
la confusione dei piani che le contraddistinguono.
Inoltre, considerato che la legge comporta l'instaurazione di un rapporto di lavoro
subordinato senza che il committente abbia la possibilità di dimostrare la diversa
244 Su questi ultimi, v. in particolare C. Cost. 12.4.2005, n. 144, DR1, 2005, 1115 ss. Con tale
pronuncia la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, c. 3, d.l. 22 febbraio 1992,
n. 12, conv., con modificazioni, in L. 23 aprile 2002 n. 73, in relazione agli arti. 3 e 24 Cost. nella
parte in cui — ai fini dell'applicazione della sanzione — non ammetteva la possibilità di provare
che li lavoro irregolare avesse avuto inizio successivamente al primo gennaio dell'anno in cui
era stata constatata la violazione. In questa circostanza, più precisamente, la Corte ha rilevato
una lesione del diritto di difesa, in quanto la norma precludeva al datore di lavoro ogni possibilità
di provare circostanze attinenti alla propria effettiva condotta, idonee ad incidere sulla entità
della sanzione che gli sarebbe stata applicata, nonché la irragionevole equiparazione, ai fini
dell’applicazione della sanzione, di situazioni tra loro diseguali, con riferimento a soggetti che
utilizzavano i lavoratori irregolari in momenti diversi e per i quali la constatazione della
violazione sia, in ipotesi, avvenuta nella medesima data. 118
natura della prestazione ricevuta, pare sia configurabile anche una violazione
dell'art. 14, c. 1, Cost. .
245
Infine, resta la circostanza che l'effetto del dispositivo è rappresentato da
un'ingiustificata disparità di trattamento perché attribuisce trattamenti normativi
uguali a soggetti in situazioni diverse (vale a dire a collaboratori autonomi e a
lavoratori subordinati) e trattamenti normativi distinti a soggetti in situazioni
sostanziali identiche (ossia, a collaboratori autonomi il cui contratto manchi del
requisito del progetto e collaboratori a progetto il cui contratto sia perfetto). In
definitiva, la sanzione è irragionevole perché sproporzionata, in quanto determina
un effetto permanente e cioè l'instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato
e l'applicazione della relativa disciplina, appunto in capo ad un soggetto che non
versa nella specifica condizione che è presupposta e che giustifica l'applicazione
delle tutele proprie del lavoro subordinato.
Le presunzioni di cui al nuovo art. 69-bis
19.
Come anticipato, i vincoli giuridici derivanti dall'introduzione del contratto di
lavoro a progetto e gli oneri economici derivanti dalla specifica imposizione
contributiva prevista in riferimento a queste ultime , hanno determinato e via
246
via accentuato la tendenza degli operatori ad abusare del contratto d'opera per
dissimulare sotto la forma di incarichi di lavoro autonomo “puro”, oltre che veri e
propri rapporti di lavoro subordinato, anche collaborazioni coordinate e
continuative genuine.
245 V. già LEONE, Le collaborazioni (coordinate e continuative) a progetto, RGL. l, 2004, 96; e
PINTO, La categoria giuridica delle collaborazioni coordinate e continuative e il lavoro a
progetto, Working papers del Centro Studi di Diritto del Lavoro Europeo "Massimo D' Antona",
n. 72, htp://www.lex.unict.it/eurolabor/ricerca/wp (poi anche in CURZIO P., a cura di, Lavoro e
diritti a tre anni dalla legge 30/2003, Cacucci, Bari, 2006, 2005, 30).
246 Imposizione contributiva che la L. 92/2012 ha innalzato (cfr. l’art. 2, c. 57) e che il d.l. 22
giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni in L. 7 agosto 2012, n. 134, ha
successivamente abbassato per i collaboratori iscritti esclusivamente alla Gestione Separata
INPS ed ulteriormente innalzato per tutti gli altri (v. l'art. 46-bis, c. 1. lett. g, e, per quanto
riguarda la compensazione delle minori entrate contributive così determinata, art. 46-bis, c. 3).
119
Più precisamente, si è progressivamente diffusa la pratica consistente nell'eludere
l'applicazione della disciplina del lavoro a progetto facendo leva sulla
qualificazione del corrispettivo a fini tributari. Sennonché, a ben considerare, le
cose non stanno affatto in questo modo poiché la qualificazione del rapporto ai
fini integrativi del regolamento contrattuale (ex art. 1374 c.c.) non dipende, ed
anzi logicamente precede, la qualificazione del reddito a fini tributari. Inoltre le
prestazioni di lavoro sono qualificabili induttivamente e, quindi, esclusivamente
in ragione delle loro concrete modalità esecutive. Ciò è vero sia per il lavoro
subordinato, sia per le collaborazioni coordinate e continuative. Anche prima
della riforma, quindi, le tattiche fraudolente innanzi richiamate erano tutt'altro
che incontrastabili sul piano sia ispettivo che giudiziale. È vero, peraltro, che nel
caso del lavoro coordinato le frodi erano più facilmente praticabili per l'assenza
di una chiara identificazione legislativa delle collaborazioni coordinate e
continuative o, se si preferisce, di una condivisa e consolidata precisazione delle
caratteristiche distintive di queste ultime rispetto alle altre forme di lavoro
autonomo. Stando così le cose, il legislatore si è limitato ad intervenire stabilendo
un nuovo sistema presuntivo che, almeno nelle intenzioni, dovrebbe agevolare le
operazioni di qualificazione giudiziale dei rapporti di collaborazione autonoma.
L'articolo 69-bis, infatti, dispone che i rapporti di lavoro autonomo instaurati con
soggetti che siano titolari di "posizione fiscale ai fini dell'imposta sul valore
aggiunto" debbano essere qualificati come “collaborazioni coordinate e
continuative”, con tutte le conseguenze del caso, qualora ricorrano almeno due
delle seguenti condizioni: che il rapporta abbia una durata complessiva superiore
a otto mesi annui per due anni consecutivi ; che il corrispettivo pattuito “anche
247
se fatturato a più soggetti riconducibili al medesimo centro d'imputazione di
interessi, costituisca più dell’80 per cento dei corrispettivi annui
complessivamente percepiti dal collaboratore nell'arco di due anni solari
247 V. il testo dell'art. 69-bis, c. 1, d.lgs. n. 276/2003 come modificato dall'art. 46-bis, c. 1, lett.
c, d.l. n. 83/2012, convertito con modificazioni in L. n. 134/2012. 120
consecutivi ”; o che, infine, il lavoratore “disponga di una postazione fissa di
248
lavoro presso una delle sedi del committente”.
Si tratta, com’è evidente sin da una prima lettura, di una serie di fatti dai quali è
possibile indurre la "dipendenza economica" del collaboratore dal committente
249
o la ricorrenza di una forma di coordinamento organizzativo tra le parti
particolarmente stretto e molto simile all'integrazione della prestazione
nell'organizzazione altrui che caratterizzano il rapporto di lavoro subordinato. In
merito alla prima situazione conviene sottolineare come il legislatore, proprio al
fine di ridurre al massimo le possibilità di elusione della disciplina, disponga che
nel calcolo del reddito fatturato debba tenersi conto dei corrispettivi
complessivamente percepiti da più soggetti ossia, da più persone fisiche o
giuridiche che siano riconducibili al “medesimo centro di imputazione di
interessi”. La nozione di “centro di imputazione di interessi” costituisce il fulcro
di una strategia giudiziaria diretta a contrastare le operazioni fraudolente
realizzate dall'autonomia privata attraverso la costituzione di più società di
capitali, e la conseguente ed artificiosa segmentazione tra di esse di un'attività
economica sostanzialmente unitaria, senza affrontare i dilemmi giuridici
derivanti dal cd. superamento della personalità giuridica di ciascuna.
L'individuazione di un unico centro di imputazione di interessi, infatti, consente
al giudice di procedere coattivamente all'imputazione unitaria di tutti i rapporti di
lavoro subordinato indipendentemente dalla società che abbia stipulato il relativo
contratto. Sennonché, e per tornare al tema qui trattato, è poco plausibile ritenere
che il medesimo sintagma possa essere assunto nel significato ora esposto
allorché sia riferito alla necessità di smascherare l'abuso del contratto d'opera. Al
contrario, proprio la specifica funzione antielusiva assolta dalla previsione che la
contiene dovrebbe costituire motivo determinante per sostenere
un'interpretazione estensiva della nozione. Essa, più precisamente, consiglia di
intendere la formula legislativa in modo da ricomprendere nell'unico "centro di
248 Cfr., nuovamente, il testo dell'art. 69-bis, c. 1, d.lgs. n. 276/2003 come modificato dall'art.
46-bis, c. 1, lett. c, d.l. n. 83/2012, convertito con modificazioni in L. n. 134/2012.
249 V. CARINCI, Complimenti, dottor Frankenstein: II disegno di legge governativo in materia di
riforma del mercato del lavoro, LG, 6, 2012, 541. 121
interessi" tutti i soggetti giuridici che, pur essendo titolari di attività economiche
sostanzialmente e non solo formalmente distinte, operino stabilmente in modo tra
loro coordinato.
La presunzione di cui all'art. 69-bis d.lgs. n. 276/2003, peraltro, non solo
ammette la prova contraria da parte del committente ma è destinata a restare
inoperante in tre casi.
È questa, conviene premettere, la parte della previsione che per diverse ragioni
desta notevoli perplessità. Il legislatore, infatti, esclude anzitutto che la ricorrenza
degli elementi di fatto innanzi indicati possa costituire indice sintomatico
affidabile della natura coordinata e continuativa della collaborazione resa
allorché la prestazione lavorativa costituisca "esercizio di attività professionali
per le quali l'ordinamento richiede l'iscrizione ad un ordine professionale, ovvero
ad appositi registri, albi, ruoli o elenchi professionali qualificati e detta specifici
requisiti e condizioni ”.
250
La norma ha una sua ragionevolezza nei limiti in cui l’iscrizione all’albo del
lavoratore costituisca il presupposto giuridico per l’esercizio dell’attività libero-
professionale e, quindi, sul piano tributario, legittimi la titolarità di una posizione
fiscale ai fini dell’ IVA. Ma tale circostanza è in contrasto rispetto alla
qualificazione giuridica dell’attività di lavoro autonomo oggetto di uno o più
rapporti in termini di collaborazione coordinata e continuativa.
Perplessità ancora maggiori suscita l'altra eccezione all'operatività della
presunzione.
La sostanziale monocommittenza e la stretta integrazione fisica tra le attività del
committente e del lavoratore, infatti, non costituirebbero indicatori sintomatici
dell'instaurazione di una collaborazione coordinata e continuativa anche nel caso
in cui l'attività di lavoro “sia connotata da competenze teoriche di grado elevato
acquisite attraverso significativi percorsi formativi, ovvero da capacità tecnico
pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell'esercizio concreto
di attività” . Infine, il legislatore esclude l'operatività della presunzione rispetto
251
250 Cfr. l’art. 69-bis, c. 3, d.lgs. n. 276/2003.
251 V. l’art. 69-bis, c. 2, let. a, 3, d.lgs. n. 276/2003. 122
a rapporti contrattuali di cui sia parte un “soggetto titolare di un reddito annuo da
lavoro autonomo non inferiore a 1.25 volte il livello minimo imponibile ai fini
del versamento dei contributi presidenziali di cui all'articolo 1, comma 3, della
legge 2 agosto 1990, n. 233” . L'operatività della presunzione soltanto al di
252
sotto di questa soglia reddituale conferma
come alla recente norma sia sottesa la convinzione pratica che l'area dei rapporti
economici in cui si situano le collaborazioni sia quella delle attività autonome,
oltre che poco qualificate sul piano professionale, anche scarsamente remunerate.
Per i lavoratori autonomi che percepiscano redditi superiori a tale soglia, infatti,
la prestazione d'opera può essere riqualificata sul piano giuridico soltanto se il
lavoratore dimostri in giudizio la ricorrenza in concreto dei tratti caratterizzanti la
collaborazione coordinata.
L'operare della presunzione di cui all’art. 69-bis e la conseguente riqualificazione
del rapporto in termini di collaborazione coordinata e continuativa comporta, per
espressa previsione legislativa, il prodursi degli effetti descritti nel quarto e nel
quinto comma dell'articolo 69-bis.
Essa determina in primo luogo “l'integrale applicazione della disciplina” del
contratto di lavoro a progetto «ivi compresa la disposizione dell'articolo 69,
comma 1” . In secondo luogo, la riqualificazione del rapporto produce
253
conseguenze sul piano contributivo, poiché, quando la prestazione lavorativa [...I
si configura come collaborazione coordinata e continuati, gli oneri contributivi
derivanti dall'obbligo di iscrizione alla gestione separata dell'INPS ai sensi
dell'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, sono a carico per
due terzi del committente e per un terzo del collaboratore, il quale, nel caso in cui
la legge gli imponga l'assolvimento dei relativi obblighi di pagamento, ha il
relativo diritto di rivalsa nei confronti del committente” .
254
252 V. l’art. 69-bis, c. 2, let. b, 3, d.lgs. n. 276/2003
253 Questa previsione, peraltro, è destinata ad essere applicata immediatamente ai rapporti
instaurai successivamente all'entrata in vigore della L.n. 92/2012 (e, quindi, dopo il 18 luglio
2012) e solo dal 18 luglio 2013 anche ai rapporti già costituiti a quel medesimo momento: cfr.
l'art. 69-bis, c. 4, d.lgs. n. 276/2003.
254 Così l’art. 69-bis, c. 5, d.lgs. n. 276/2003. 123
I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa esclusi dalla
20. disciplina del lavoro a progetto
Vale la pena di ricordare che, anche dopo la L. n. 92 del 2012, non tutti i rapporti
di collaborazione coordinata e continuativa devono essere necessariamente
assoggettati alla disciplina del contratto di lavoro a progetto. Più precisamente,
possono darsi due casi: o che i committenti interessati ad instaurare rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa siano tenuti ad applicare la disciplina di
altro contratto tipico; oppure che essi possano esercitare l'autonomia loro
riconosciuta dall'art. 1322 c.c. e che lo facciano vuoi per strutturare nel modo più
opportuno il contenuto obbligatorio del contratto d'opera, vuoi per concludere
contratti atipici di lavoro autonomo. L'area delle collaborazioni autonome
sottratte alla disciplina del lavoro a progetto, peraltro, è difficilmente
riconducibile ad unità poiché è costituita da situazioni tra loro molto diverse e
che, al più, possono essere raggruppate a seconda che attribuiscano rilievo
giuridico al committente e all'attività svolta dallo stesso, a condizioni relative al
collaboratore o, infine, a contenuti o a caratteristiche della collaborazione.
Nelle esclusioni del primo tipo rientrano, ad esempio, quelle disposte “in favore
delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni
sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione
sportiva riconosciute dal C.O.N.I., come individuate e disciplinate dall'articolo
90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289“ ; ma anche delle pubbliche
255
amministrazioni .
256
Inoltre, tra i committenti che non sono tenuti a sottoscrivere un contatto di lavoro
a progetto devono ora essere inclusi anche gli operatori economici che esercitano
“l'attività di vendita diretta di beni e servizi realizzate attraverso call center
255 Cfr. l'art. 61, c. 3, d.lgs. n. 276/2003. 124
outbound” . Si può supporre che il legislatore, proprio al fine di incentivare la
257
permanenza sul territorio nazionale di queste attività labour intensive, abbia
inteso garantire agli operatori economici un duplice beneficio. Oltre all'esonero
dall'obbligo di stipulare un contratto di lavoro a progetto, infatti, quelli tra essi
che dovessero comunque trovare conveniente stipulare, ex art. 1322 c.c., contatti
di lavoro a progetto sarebbero altresì esonerati dall'applicare i parametri di
commisurazione dei corrispettivi dettati in via generale per tutti i collaboratori a
progetto dall'art. 63 d.lgs. n. 276/2003.
Sotto forma di inciso al primo comma dell'art. 61, in altri termini, è stata
introdotta una deroga al principio per cui i compensi dei collaboratori a progetto,
quand'anche determinati dalla specifica contrattazione collettiva per essi valida,
non possono comunque essere inferiori ai livelli retributivi previsti dai contratti
collettivi per i lavoratori subordinati di professionalità equiparabile. Nonostante il
contratto di lavoro a progetto, soprattutto in ragione della sua strutturale
temporaneità, si presenti come poco consono e difficilmente adattabile alle
caratteristiche organizzative dei call-center, infatti, gli operatori del settore lo
hanno spesso impiegato perché consente di contenere il costo del lavoro e di
migliorarne la produttività . La scelte regolative in discorso, quindi,
258
assecondano le richieste degli operatori del settore di ricorrere alla collaborazioni
non subordinate senza dover soggiacere ai vincoli del lavoro a progetto e di poter
corrispondere ad essi trattamenti economici "di mercato".
256 Essendo inapplicabile alle p.a. l'intero d.lgs. n. 276/2003 e, per quanto qui più interessa,
l'obbligo di riconduzione della collaborazione al progetto di cui all'art. 61. c. 1, d. lgs. (arg. ex art.
6, 1. 14 febbraio 2003, n. 30, e art. 1, c. 2, d.lgs. n. 276/2003). Conviene ribadire che anche per
le p.a. l'esonero dall'obbligo da ultimo considerato non equivale ad un divieto di stipulare
contratti di lavoro a progetto. Stante la perfetta compatibilità di questo schema negoziale e della
relativa disciplina con i vincoli sostanziali in materia di conferimento degli incarichi di lavoro
autonomo imposti dall'art. 7, c. 6 ss., d. lgs. 30 marzo 2001, n. 165, infatti, le p.a. sono libere di
ricorrervi qualora lo ritengano opportuno.
257 V. l'art. 61, c. 1, d.lgs. n. 276/2003 (cosi come integrato dall'art. 24-bis, c. 7, d.l. n. 83/2012,
convertito con modif. in L. n. 134/2012). 125
II corrispettivo dovuto al collaboratore a progetto
21.
Alcune previsioni della L. n. 92/2012 intervengono sulla disciplina del lavoro a
progetto e, tra queste, meritano di essere segnalate per prime quelle relative alla
determinazione del corrispettivo dovuto.
L'originaria previsione in materia stabiliva che il compenso corrisposto ai
collaboratori a progetto dovesse essere "proporzionato alla quantità e qualità del
lavoro eseguito” e dovesse “tenere conto dei compensi normalmente corrisposti
per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del
rapporto”. Successivamente, peraltro, questa regola era stata integrata con
l'introduzione di un ulteriore parametro di commisurazione del compenso. Le
parti, infatti, avrebbero dovuto concordare l'ammontare del corrispettivo tenendo
altresì conto "dei compensi normalmente corrisposti per prestazioni di analoga
professionalità, anche sulla base dei contratti collettivi nazionali di riferimmo” .
259
La nuova disciplina arricchisce i criteri di commisurazione anzitutto affiancando
al precedente criterio della proporzionalità quelli della "particolare natura della
prestazione" e quello della specificità "del contratto che la regola ". In realtà, il
260
primo criterio è concettualmente ricompreso in quello, più ampio, di
258 Né sono mancate in questo particolare settore merceologico gravi forme di abuso del
medesimo contratto. A quest'ultimo proposito è forse il caso di ricordare che l'esito di
un'ispezione del maggio 2006 è all'origine di un'articolata vicenda dalle notevoli ripercussioni.
Più precisamente, il riconoscimento della natura subordinata di 3.600 contratti a progetto ha
indotto, per un verso, il Ministero del lavoro ad "orientare" la valutazione degli ispettori del
lavoro (cfr. le diverse e perfino contraddittorie indicazioni fornite dalle circolari della Direzione
Generale per l'Attività Ispettiva nn. 17 del 14 giugno 2006 e 4 del 29 gennaio 2008; nonché la
nota 25/I/0017286 del 3 dicembre 2008); e, per altro verso, gli operatori del settore a
concordare con le organizzazioni sindacali idonei percorsi di "stabilizzazione" (a partire
dall'Avviso Comune 4 ottobre 2006) generosamente sostenuti dal legislatore nazionale (cfr. l'art.
1, cc. 1202 ss., 1. n. 296/2006) e da alcune amministrazioni regionali. Proprio questi benefici
economici hanno assicurato per qualche tempo la "profittabilità" delle attività di sollecitazione
telefonica; mentre il loro esaurimento è certamente una delle ragioni delle più recenti scelte di
delocalizzazione in Paesi extra-europei (trattandosi, comunque, di un'attività a basso valore
aggiunto e di un settore in cui le dinamiche concorrenziali sono tuttora fondate quasi
esclusivamente sulla compressione dei costi di produzione).
259 Così l’ art. 1, c. 772, I. n. 296/2006.
260 Così il nuovo testo dell'art. 63, c. 1. d.lgs. 276/2003 dopo le modificazioni di cui all'art. 2, c.
23, lett. c, L. 92/2012. 126
proporzionalità se, come appare plausibile, il concetto di "natura della
prestazione" attribuisce rilevanza giuridica alle caratteristiche intrinseche
dell'attività promessa e quindi, ancora una volta, alla “qualità” del lavoro. Più
interessante, invece, è l'altro criterio che permette al giudice di valutare
l'importanza di alcune clausole nell'economia del contratto (si pensi, sempre a
titolo di esempio, alle clausole di esclusività del rapporto) al fine di correggere,
riequilibrandolo, lo scambio negoziale.
Proprio la previsione di criteri di determinazione del compenso conferma che
ratio della disciplina legislativa è anzitutto la realizzazione di una "giustizia
contrattuale", sebbene non possa più affermarsi che essa non produca alcun
effetto apprezzabile sul piano della "giustizia sociale". L'obiettivo che il
legislatore intende perseguire consiste certamente nell'evitare che la libera
negoziazione tra le parti determini un eccessivo squilibrio patrimoniale tra le
parti, a tutto vantaggio del committente. Ma, sebbene la previsione legislativa
non imponga di valutare se il compenso pattuito sia anche sufficiente ad
assicurare al collaboratore ed alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa (per
usare le parole dell'art. 36 Cost., al quale la previsione in discorso è stata spesso
accostata) , un effetto in tal senso deriverà necessariamente dall'applicazione dei
261
parametri di congruità del corrispettivo pattuito. Evidentemente preoccupato che
la libertà di determinazione dei compensi potesse comportare la pattuizione di
corrispettivi bassi, con la conseguente riduzione delle entrare contributive , il
262
261 Cfr. SANTORO PASSARELLI, 2005 , 1425. Contra, implicitamente, MARAZZA, Il lavoro
autonomo dopo la riforma de Governo Monti, in ADL , 4-5-2012. Altra questione, poi, riguarda la
possibilità di includere le collaborazioni coordinate e continuative, non solo a progetto, nell’area
del lavoro costituzionalmente protetto (dal quale sono da escludere le altre forme di lavoro
autonomo). La tesi, convincentemente proposta da GAROFALO M.G, Unità e pluralità del
lavoro nel sistema costituzionale, in AA.VV., Scritti in onore di Edoardo Ghera, I, Cacucci, Bari,
2008, spec. 453-454, si fonda sull'assunzione dell'art. 3 cpv. Cost. a fondamento del sistema
delle norme costituzionali di tutela del lavoro e sulla lettura del combinato disposto degli arti. 35
e 36, c. 1, Cost. conseguentemente orientata alla rimozione degli ostacoli all'uguaglianza
sostanziale dei lavoratori (non necessariamente subordinati).
262 Come già accaduto in occasione dell'approvazione dell'art. 1, c. 772, L. n. 296/2006 (la
quale, non a caso, era una legge finanziaria). Non è casuale, insomma, che la I. n. 92/2012
abbia sia riformulato le norme sul corrispettivo, sia rimodulato (al rialzo) quelle sul prelievo
contributivo. Ovviamente, la scelta regolativa produce altresì l'effetto di evitare che la libertà di
determinazione dei compensi (e, segnatamente, la possibilità di pattuire con il collaboratore a
progetto un compenso inferiore all'ammontare della retribuzione spettante al lavoratore
subordinato "equiparabile") costituisca un incentivo ulteriore a dissimulare rapporti di lavoro
subordinato sotto la forma del contratto di lavoro a progetto. 127
legislatore ha individuato alcuni parametri vincolanti per le parti. Più
precisamente, l'ammontare del compenso non può scendere al di sotto della
soglia minima che il legislatore individua in modo diverso a seconda che esista o
meno una "contrattazione collettiva specifica" per i collaboratori a progetto posta
in essere dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale .
263
In assenza di pattuizioni collettive specificamente dirette a fissare l'ammontare
minimo dei compensi dovuti ai collaboratori a progetto, invece, l’unico
parametro al quale fare riferimento sarà il secondo tra quelli innanzi indicati (vale
a dire quello relativo ai lavoratori subordinati). La legge stabilisce testualmente,
infatti, che il corrispettivo dovuto non potrà “essere inferiore, a parità di
estensione temporale dell'attività oggetto della prestazione, alle retribuzioni
minime previste dai contratti colletti nazionali di categoria applicati nel settore di
riferimento alle figure professionali il cui profilo di competenza e di esperienza
sia analogo a quello del collaboratore a progetto” . In definitiva, con l'unica
264
eccezione dei collaboratori impegnati nei call-center outbound , l'ammontare
265
del corrispettivo spettante al lavoratore a progetto è saldamente ancorato alla
retribuzione collettivamente fissata per il lavoratore subordinato “comparabile”.
Ed è appunto questa connessione con la contrattazione collettiva che dovrebbe
innescare una dinamica redistributiva della ricchezza prodotta per molti aspetti
analoga a quella fondata sull'art. 36, c. Cost. .
266
263 Quanto al livello di contrattazione, la L. n. 92/2012 chiarisce che tale contrattazione
collettiva può essere interconfederale o nazionale di categoria oppure, a condizione che vi sia
un rilievo esplicito da parte del contratto nazionale, anche decentrata: v. l’art. 63, c. 1, ultimo
periodo, d. lgs. n. 276/2003 (come sostituito dall'art. 2, c. 23. lett. c, L. n. 92/2012).
264 Art. 63, c. 2, d.lgs. n. 276/2003 introdotto dall'art. 2, c. 23, lett. c, L. n. 92/2012.
L'equivalenza tra le due formule testuali riportate in testo è implicitamente negata, invece, da
MARAZZA, 2012, Il lavoro autonomo dopo la riforma del Governo Monti, in ADL. 4-5, lì dove
sostiene che il riferimento all'esperienza presente nella seconda di esse «lascia intendere che
la quantificazione della retribuzione parametro deve essere effettuata anche valorando le voci
del contratto collettivo nazionale di lavoro legate all'anzianità di servizio». Sennonché appare
più e rispettoso del dato testuale e della funzione propria della previsione il considerare la
competenza e l'esperienza come due elementi per individuare il profilo professionale
“comparabile”) (e non le voci retributive costituenti il parametro)
265 Per i quali il corrispettivo è svincolato da qualsiasi parametrazione rispetto ai lavoratori
subordinati "comparabili".
266 Dinamica che, come è ovvio, condiziona anche il piano contributivo. 128
Il regime transitorio
22.
E’ importante infine segnalare, che le disposizioni innovative innanzi esaminate,
si applicano ai contratti stipulati successivamente alla data di entrata in vigore
della legge. Questo determina la coesistenza di due modelli di contratto a
progetto, la cui disciplina è sensibilmente differenziata in ragione di un dato
meramente temporale. Differenza peraltro accentuata dalla norma interpretativa
dell'art. 69, comma 1 e comma 24, nel senso che l'individuazione di uno specifico
progetto costituisce elemento essenziale di validità del rapporto di lavoro
subordinato a tempo indeterminato, che pure sembra applicarsi soltanto ai nuovi
rapporti.
Ciò indurrebbe a ritenere che prima dell'entrata in vigore della riforma
l'individuazione di uno specifico progetto non avrebbe costituito un elemento
essenziale di validità del rapporto con le conseguenze innanzi richiamate, come
in qualche modo ha ritenuto la famosa circolare ministeriale del 2004 ed una
parte minoritaria della giurisprudenza. Così ricostruita la normativa
intertemporale, balza subito all'evidenza non solo un delicato interrogativo sulla
facoltà del legislatore di far operare una norma meramente interpretativa soltanto
da una data convenzionale, ma ancora più una questione di legittimità di regimi
giuridici differenziati con riferimento a situazioni fattuali eguali .
267
La nuova disciplina in materia di recesso
23.
267 Sul regime transitorio relativo alla precedente disciplina sul lavoro a progetto, v. sent. Corte
cost. n. 399/2008, con la quale è stata dichiarata l'illegittimità dell'art. 86. comma 1, d.lgs. n.
276, che sanciva la cessazione anticipata dei rapporti di collaborazione instaurati prima della
riforma che non fossero riconducibili ad un progetto. 129
La L. n. 92/2012 ha parzialmente modificato anche la disciplina del recesso dal
rapporto . Rispetto al passato, è rimasta ferma la facoltà di recesso riconosciuta
268
al committente qualora la sospensione del rapporto in ragione di una malattia e di
un infortunio si protragga “per un periodo superiore a un sesto della durata
stabilita nel contratto, quando essa sia determinata, ovvero superiore a trenta
giorni per i contratti di durata determinabile” .
269
È cambiata, invece, la disciplina delle altre ipotesi di recesso. Se la disciplina
previgente stabiliva che le parti potessero recedere dal rapporto "prima della
scadenza del termine per giusta causa ovvero secondo le diverse causali o
modalità, incluso il preavviso, stabilite dalle parti nel contratto di lavoro
individuale" , quella attuale ammette anzitutto per entrambe le parti del rapporto
270
la facoltà di recesso per "giusta causa" . Anche qui, come nel caso di altri
271
contratti di durata il legislatore non puntualizza cosa debba intendersi per giusta
causa. Nulla vieta, però, di intendere quest'ultima, sulla falsariga di quanto
previsto dall'art. 2119 c.c., come una "causa che non consenta la prosecuzione,
anche provvisoria, del rapporto".
Il legislatore ammette in favore del committente un'ulteriore possibilità di
recedere dal contratto qualora nell'esecuzione del rapporto emergano "oggettivi
268 Il quale, come è noto, è destinato ad estinguersi fisiologicamente con la realizzazione del
progetto « che ne costituisce l'oggetto» (cosi l'art. 67, c 1, d.lgs. n. 276/2003 cosi come
modificato dall'art. 1, c. 23. lett. d, L. n. 92/2012).
269 V. I'art. 66, c. 2, d.lgs. n. 276/2003.
270 Così I'art. 67, c. 2, vecchio testo, d.lgs. 276/2003. La previsione, poi, aveva alimentato un
vivace dibattito circa la legittimità o meno del recesso acausale, e quindi privo di oggettive
ragioni giustificatrici, delle parti (e, in particolare del committente). Per la possibilità di introdurre
convenzionalmente un regime di libera recedibilità si sono espressi gran parte degli interpreti.
In particolare v., in tempi più recenti, RUSCIANO, D.Igs. 276 e subordinazione: variazioni sul
tema, DL, I, 2005, 448: GHERA, Il nuovo diritto del lavoro, Giappichelli, Torino, 2006, 62;
PALLINI, Il lavoro a progetto: ritorno al... futuro?, in ID., a cura di, Il «lavoro a progetto» in Italia
e in Europa, il Mulino, Bologna, 2006, 129; SANTORO PASSARELLI, Lavoro a progetto, Enc.
dir. Annali, IV, Giuffrè, Milano, 2007, 152 e 2011, 682; LEPORE, Questioni in tema di lavoro a
progetto, DL, 2006, I, 2006, 318 e 2007, 848; PASSALACQUA, Il lavoro coordinato, in AA.VV., I
contratti di lavoro, a cura di Vallebona A.. I, Utet, Torino, 2009, 149; contra, PERULLI,
Subordinazione e autonomia, in BESSONE M., diretto da, Trattato di diritto privato, XIV, Il lavoro
Subordinato, a cura di Franco Carinci, 2, Il rapporto individuale di lavoro: costituzione e
svolgimento, coordinato da Adalberto Perulli, Giappichelli, Torino, 2007, 110.
271 Così l'art. 67, c. 2, d.lgs. n. 276/2003 come sostituito dall'art. 1, c. 23, lett. e, L. n. 9212012.
130
profili di inidoneità professionale del collaboratore tali da rendere impossibile la
realizzazione del progetto".
La legge, insomma, giustifica il recesso immediato del committente allorché nel
corso dell'esecuzione del contratto alcuni comportamenti attuativi dello stesso,
non necessariamente costituenti inadempimento, ovvero altri accadimenti
estranei al rapporto lascino dubitare dell'idoneità professionale del
272
collaboratore e rendano ragionevole e plausibile un giudizio prognostico circa
l'impossibilità che il collaboratore adempi esattamente alla propria obbligazione.
Proprio la circostanza che il legislatore abbia attribuito autonomo rilievo a questa
fattispecie costituisce una valida ragione per ritenere che soltanto un
inadempimento possa assurgere a giusta causa di recesso. Infatti, e ragionando al
contrario, se la giusta causa fosse intesa come designante qualsiasi evento o
accadimento idoneo a pregiudicare l'affidamento del creditore nella realizzazione
del progetto, essa finirebbe col comprendere anche quei fatti che il legislatore ha
posto a fondamento del recesso per inidoneità professionale; con la conseguenza
che l'autonoma previsione di quest'ultima causale non avrebbe alcuna ragione
d'essere.
In merito al recesso per inidoneità professionale, peraltro, è necessario
aggiungere che, pur nel silenzio del legislatore, il recesso debba ritenersi
giustificato solo a condizione che i profili di inidoneità professionale non fossero
già conoscibili dal committente prima dell'instaurazione del rapporto utilizzando
la medesima diligenza richiesta, a seconda delle diverse ipotesi, dall'art. 1176 c.c.
Occorre considerare, infatti, che il committente è pur sempre il titolare
dell'organizzazione entro la quale andrà ad integrarsi funzionalmente l'opera o il
servizio che saranno realizzati dal collaboratore e, conseguentemente, è lecito
attendersi dallo stesso una valutazione particolarmente attenta delle conoscenze e
delle competenze del collaboratore già nella fase precedente la conclusione del
272 Si pensi al caso del collaboratore al quale sia stato affidato l'incarico di realizzare un
progetto particolarmente complesso dopo che il committente abbia assunto presso terzi
informazioni circa una precedente esperienza professionale. Qualora successivamente tali
informazioni dovessero rivelarsi infondate, ad esempio perché l’opera o il servizio realizzato
presso terzi abbiano manifestato vizi prima occulti, il recesso del committente potrà ritenersi
giustificato. 131
contratto. L'interpretazione restrittiva della formula legislativa, del resto, è
giustificata anche dall'opportunità di salvaguardare - per quanto possibile -
l'affidamento del collaboratore circa la realizzazione del progetto affidatogli.
Per quanto attiene al collaboratore, invece, la legge non consente direttamente
alcuna facoltà di recesso ulteriore oltre quella per giusta causa. Ammette, però,
che il collaboratore possa “recedere prima della scadenza del termine, dandone
preavviso, nel caso in cui tale facoltà sia prevista nel contratto individuale di
lavoro”. Saranno le parti in sede di negoziazione del contratto, quindi, a
riconoscere eventualmente al collaboratore la facoltà di recedere dal rapporto e le
condizioni in presenza delle quali essa potrà essere esercitata. La
regolamentazione legislativa del recesso, si presenta, quindi, più vincolante per il
collaboratore che per il committente. In conclusione, occorre altresì evidenziare
come la legge nulla disponga circa la forma, necessariamente scritta o libera, del
recesso.
La necessità della forma scritta, quanto meno del recesso del committente, si può
però evincere indirettamente dalla disciplina dell'impugnazione dell'atto stesso.
Conviene ricordare come restino ferme anche le regole relative all'impugnazione
da parte del collaboratore del recesso intimato dal committente. Come è noto,
infatti, l'art. 32, c. 3, lett. b, L. 4 novembre 2010 n. 183, ha esteso anche al
“recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e
continuativa, anche nella modalità a progetto” la disciplina prevista per
l'impugnazione del licenziamento da parte del lavoratore subordinato.
Pertanto, il recesso del committente dovrà essere impugnato pena di decadenza
entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta,
ovvero dalla comunicazione, anch'essa in forma scritta, dei motivi, ove non
contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere
nota la volontà del lavoratore anche attraverso l'intervento dell'organizzazione
sindacale diretto ad impugnare il recesso stesso .
273
Inoltre, "l'impugnazione è inefficace se non è seguita, termine di duecentosettanta
giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di
273 V. l’art. 6, c. 1, L. 15 luglio 1966, n. 604. 132
giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di
tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre
nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. Qualora la conciliazione
o l'arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l'accordo necessario al
relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di
decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo” .
274
L'indennità di fine rapporto per i collaboratori a progetto
24.
Realmente innovativa è, invece, la scelta compiuta dalla L. n. 92/2012 di rendere
strutturale, seppure con alcune significative modificazioni, la misura di sostegno
al reddito introdotta, per le prima volta e in via sperimentale, dall'art. 19, c. 2, d.l.
29 novembre 2008 n. 185, convertito, con modificazioni, in L. 28 gennaio 2009,
n. 2 .
275
Requisito essenziale per beneficiare della prestazione è l'aver stipulato un
contratto di lavoro a progetto, oramai cessato, e l'essere iscritti, ai fini
dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i
superstiti, esclusivamente alla cosiddetta Gestione separata dell'INPS di cui
all'art. 2, c. 26, L. 8 agosto 1995, n. 335 . Si tratta, con tutta evidenza di una
276
misura tutt'altro che universale posto che sono esclusi dalla possibilità di
percepire l'indennità tutti i collaboratori coordinati e continuativi che abbiano
sottoscritto contratti diversi da quello a progetto.
La circostanza, peraltro, deve essere ulteriormente precisata considerato che,
anche nelle ipotesi in cui le parti continuano a godere di un'autonomia negoziale
piena, esse possono trovare comunque conveniente ed opportuno stipulare un
contratto di lavoro a progetto. Il punto è che se è vero che in quelle ipotesi il
274 Così l’art. 6, c.2, L. n. 604/1966.
275 Comma inizialmente modificato dall'articolo 1 della L. 28 gennaio 2009, n. 2, in sede di
conversione, successivamente sostituito dall’art. 2, c. 130, della L. 23 dicembre 2009, n. 191,
dall'art. 6, c. 1, Iett. c. del d.l. 29 dicembre 2011, n. 216 e, da ultimo, abrogato, a decorrere dal
1° gennaio 2013, dall'art. 2, c. 69, lett. a, L. n. 92/2012. Sulla misura sperimentale di sostegno
al reddito v. SANTORO PASSARELLI, Lavoro a progetto, Enc. dir. Annali, IV, Giuffrè, Milano,
2011, 683.
276 Arg. Ex art. 2, c. 51, L. n. 92/2012. 133
contratto a progetto resta uno schema negoziale liberamente eleggibile e si vuole
comunque evitare di far dipendere il beneficio previdenziale dalle variabili scelte
dell'autonomia privata, occorre concludere che possono percepire l'indennità in
discorso soltanto i lavoratori autonomi che siano stati parte di un rapporto di
lavoro a progetto e che non avrebbero potuto prestare quella specifica
collaborazione in esecuzione di altro schema negoziale. Si finisce per aggravare,
in tal modo, l'evidente disparità di trattamento giuridico riservato a situazioni
identiche, non essendo plausibile che, a parità di tutte le altre condizioni previste
dalla legge, la mancanza di lavoro incida più pesantemente sui collaboratori a
progetto rispetto alle altre categorie di collaboratori autonomi. Quanto allo “stato
di bisogno”, dal 1° gennaio 2013, data di entrata in vigore della nuova
disciplina , esso sarà individuato in modo parzialmente diverso da quanto fatto
277
in precedenza.
Le nuove previsioni, in particolare, individuano una serie di condizioni che
devono essere soddisfatte contemporaneamente affinché possa maturare il diritto
al beneficio. Il collaboratore, infatti, deve aver anzitutto operato in favore di un
unico committente percependo un compenso lordo complessivo non superiore ai
ventimila euro . Ciò che conta ai fini della monocommittenza, peraltro, è che
278
nel corso dell'anno di calendario deve intendersi, il lavoratore abbia collaborato
con un unico committente essendo, invece, del tutto irrilevante che ciò sia
avvenuto in forza di uno o più contratti di lavoro a progetto .
279
Ulteriore elemento strutturale della fattispecie è rappresentato dalla necessità che,
sempre nell'anno precedente la cessazione della collaborazione, siano stati pagati
alla Gestione separata dell'INPS i contributi dovuti sui compensi per almeno
277 Cfr. l'art. 2, c. 51, primo periodo, L. n. 92/2012. Il successivo comma 54, poi, precisa che
«restano fermi i requisiti di accesso e la misura del trattamento vigenti alla data del 31 dicembre
2012 per coloro che hanno maturato il diritto entro tale data ai sensi dell'articolo 19, comma 2,
del decreto-legge 29 novembre 2008, n 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28
gennaio 2009, n. 2, e successive modificazioni ».
278 Arg. ex art 2, c. 51, lett. a e b, L. n. 92/2012. La seconda di queste previsioni, inoltre
dispone che il limite dei ventimila sia «annualmente rivalutato sulla base della variazioni
dell’indice ISTAT dei prezzi al consunto per le famiglie di operai e impiegati intervenuta
nell'anno precedente».
279 Cfr. l'art. 2, c. 51, lett. a, L. n. 92/2012. 134
quattro mensilità . Questa condizione, unita alla circostanza che il collaboratore
280
nel medesimo anno deve essere stato disoccupato per un periodo "ininterrotto di
almeno due mesi", attesta l'intento del legislatore di escludere dal godimento del
beneficio i lavoratori impegnati nella realizzazione di progetti di breve durata
ovvero anche di lunga durata (purché superiore a dieci mesi) ma con compensi, e
contribuzione, modesti .
281
In concreto, al collaboratore che presenti la relativa domanda entro il termine che
sarà stabilito dall'ente previdenziale, sarà corrisposta un'indennità di ammontare
pari al "5 per cento del minimale annuo di reddito di cui all'articolo 1, comma 3,
della legge 2 agosto 1990, n. 233, moltiplicato per il minor numero tra le
mensilità accreditate l'anno precedente e quelle non coperte da contribuzione" .
282
Tale indennità, peraltro, è liquidata in un'unica soluzione solo se il relativo
importo è inferiore o al più pari a mille euro oppure, in caso di ammontare
superiore, in più ratei di “importi mensili pari o inferiori a 1.000 euro” .
283
280 V. l'art. 2, c. 51, lett. e, L. n. 92/2012; ma le mensilità sono ridotte da quattro a tre per il
triennio 2013-2015 (arg. Ex art. 2, c. 56, lett. a, L. n. 92/2012).
281 Quest'ultima considerazione si spiega considerando l'operare congiunto di due condizioni:
quella in discorso e quella, precedentemente segnalata, rappresentata dall'ammontare
massimo lordo del compenso (pari a ventimila euro).
282 Cfr. l'art. 2, c. 52, L n. 92/2012. Limitatamente al primo triennio di applicazione dell'istituto,
per il vero, l'importo dell'indennità sarà pari al 7 per cento, anziché al 5 per cento, del minimale
annuo (arg. ex art. 2. c. 56. lett. b, L. n. 92/2012).
283 V. l'art. 2, c. 53, L. n. 92/2012. 135
CAPITOLO 3
DAL CONTRATTO A PROGETTO ALLA RIFORMA DEL JOBS ACT
L’habitat culturale e normativo della riforma
1.
Il nostro diritto del lavoro sta conoscendo una trasformazione molto profonda,
anche se le coordinate di fondo di questa trasformazione non sono ancora
chiaramente decifrabili . Il rilievo è comune e fondato: l'operazione di riforma
284
compiuta con il Jobs Act, ed in parte ancora da compiere, è profonda e complessa
sicché, a volerne comprendere il senso, non ci si può fermare alla considerazione
di un solo istituto, che va collocato nel contesto complessivo del programma di
riforma.
I diversi provvedimenti legislativi del Jobs Act hanno inciso profondamente sulla
disciplina previgente di talune categorie fondanti della nostra disciplina e,
secondo una parte della dottrina questi provvedimenti avrebbero destrutturato il
285
diritto del lavoro, nel senso che il Jobs Act avrebbe smantellato le tutele
assicurate dallo Statuto dei lavoratori (reintegrazione mansioni e controllo a
distanza).
284 Cfr. M.V. BALLESTRERO, La riforma del lavoro: questioni di costituzionalità, in Lav. dir.,
2015, p. 39.
285 U. Romagnoli, Controcorrente, in Lav. dir., 2015, p.3 ss. 136
Viceversa, secondo altri , il Jobs Act invece avrebbe flessibilizzato la disciplina
286
del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato per estenderla ad un
maggior numero di lavoratori e per renderla più attrattiva per i datori di lavoro,
riducendo le tutele nel rapporto di lavoro, ma avrebbe incrementato le tutele per
gli inoccupati (cioè coloro che non hanno ancora un posto di lavoro) e i
disoccupati ( cioè coloro che hanno perso il posto di lavoro e sono alla ricerca di
un nuovo posto di lavoro) .
287
Certo le statistiche dicono che il numero dei rapporti di lavoro sarebbe aumentato
considerevolmente, e tuttavia questo aumento non rifletterebbe un incremento di
nuova occupazione ma prevalentemente un travaso dai rapporti precari e
temporanei al contratto a tutele crescenti economicamente conveniente per il
datore di lavoro a cagione della decontribuzione almeno per i rapporti stipulati
entro il 31 dicembre 2015.
Questo dato di realtà non deve comunque far perdere di vista che l'aumento
dell'occupazione dipende essenzialmente dalla crescita e dallo sviluppo
economico che, dopo un periodo di crisi acuta, in questi anni risulta piuttosto
modesto. Si aggiunga che la competizione tra le imprese derivante dalla
internazionalizzazione dei mercati, diventata brutale (basti pensare alla vicenda
della Volkswagen), e la concorrenza, assunta come valore dalla normativa
europea, hanno imposto alle imprese di ridurre i costi di produzione e, tra questi,
quello del lavoro.
Queste sono le cause alla base dei nuovi provvedimenti in materia di lavoro che,
tenendo conto di un contesto profondamente diverso da quello del 1970, hanno:
ampliato la cerchia dei soggetti protetti e quindi in buona sostanza allentando le
maglie della subordinazione anche attraverso la decontribuzione per un certo
periodo; attenuato le tutele per coloro che hanno un posto di lavoro subordinato a
286 A. Maresca, Il tempo indeterminato finalmente competitivo, in Ilsole24ore, 25 febbraio 2015
e in Bollettinoadapt.it.
287 M. Tiraboschi, Prima lettura del d.lgs. n. 81/2015 recante la disciplina organica dei contratti
di lavoro, Collana ADAPT Labour e-book studies, 2015, 45, Prefazione, il quale sottolinea (p. 2
– 3) come l'incentivo alle assunzioni mediante contratto a tempo indeterminato, basato
essenzialmente sui meccanismi di sgravi, non rappresenti più un incentivo alla stabilità del
lavoro. 137
tempo indeterminato per rendere più attrattivo per le imprese l'uso di questa
forma di assunzione rispetto alla pletora di rapporti temporanei (contratti a
termine, somministrazione, apprendistato ecc); e per contro hanno incrementato
le tutele nel mercato, con lo scopo di favorire, nella ricerca di un posto di lavoro,
coloro che sono inoccupati o disoccupati, attraverso il potenziamento di un
sistema di politiche attive e della formazione e riqualificazione dei lavoratori.
Il centro, o il punto iniziale, della riflessione è inevitabilmente il cosiddetto
Codice dei contratti (d.lgs. n. 81/2015), ma non si può ignorare l'habitat culturale
e normativo in cui esso si colloca. In particolare non si può ignorare che la
riscrittura delle tutele nei rapporti di lavoro si accompagna ad una revisione delle
tutele nel mercato del lavoro. Il binomio “tutele nel rapporto/tutele nel mercato”
rimasto svigorito per almeno vent’anni, nel senso che alle riforme più compiute
del diritto del lavoro, discusse, e con fervore, a partire almeno dagli anni novanta
nel dibattito scientifico, non si è dato seguito o si è dato un seguito molto parziale
e limitato, ha ora trovato uno sbocco nel cosiddetto Jobs Act, che dovrebbe dare
una svolta decisiva al nostro diritto del lavoro proprio nelle due proiezioni
indicate. Non è inopportuno ricordare il momento e le ragioni della connessione,
fino ad un certo punto non affatto scontata, tra “tutela nel rapporto” e “tutela nel
mercato”. Essa è tributaria del concetto di «flessicurezza» (o flexicurity): un
concetto di ascendenza europea, a sua volta originato dalle sfide che pongono all'
Europa dapprima lo sviluppo tecnologico e, successivamente, la globalizzazione
(senza contare la crisi economico-finanziaria che ha scosso fin dalle fondamenta
tutte le istituzioni).
Per usare le parole della comunicazione della Commissione europea al Consiglio
e al Parlamento europeo del 2007 “Nel complesso la globalizzazione
288
rappresenta un'occasione per la crescita e l'occupazione, ma i cambiamenti che
essa reca con sé richiedono risposte rapide da parte delle imprese e dei lavoratori
(...) l'Europa non si sta adeguando come potrebbe agli shock cui è esposta la sua
288 Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato
economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, COM(2007)359 def., 27 giugno 2007.
Ma si vedano anche i Key policy messages from the Peer Review on “Flexicurity” del 20-21
novembre 2014, elaborati dalla Commissione nell'ambito del Mutual Learning Programme. 138
economia”. “Le imprese, soprattutto le piccole e le medie, devono essere in grado
di adattare la loro forza lavoro al cambiamento delle condizioni economiche”. “I
singoli hanno sempre più bisogno di sicurezza dell'occupazione piuttosto che di
sicurezza del posto di lavoro” .
289
Poi ci si avventura anche ad indicare le politiche attraverso le quali realizzare la
strategia di flessicurezza. In sintesi, forme contrattuali flessibili e affidabili
mediante una normativa del lavoro, contrattazioni collettive e un’organizzazione
del lavoro moderne, strategie integrate di apprendimento lungo tutto l’arco della
vita, efficaci politiche attive del mercato del lavoro che aiutano le persone a far
fronte ai cambiamenti rapidi e riducano i periodi di disoccupazione, sistemi
moderni di sicurezza sociale che forniscano un adeguato supporto al reddito,
incoraggino l’occupazione e agevolino la mobilità sul mercato del lavoro.
Nonostante il concetto di flessicurezza sia sottoposto a critica, in quanto ritenuto
fumoso, anzi più una parola che un concetto, non si è trovato ancora nulla di
meglio. Si può criticare la politica dei due tempi (prima flessibilità e poi
sicurezza) ma non sembra ci siano strade alternative a quella indicata.
Nel quadro europeo, quindi, non ci sono alternative al modello di flexicurity e,
nonostante dichiarazioni bellicose, specie da parte di alcuni Governi di sinistra,
non si vede alcun Paese che torni indietro significativamente sulle politiche di
flessibilità .
290
La prima fase del Jobs Act
2.
289 Nel panorama italiano, è la stessa diagnosi effettuata nel Libro Bianco sul mercato del
lavoro in Italia del 2001: «il progresso tecnologico così come i mutamenti nelle condizioni [del]
mercato [hanno], negli ultimi decenni, modificato profondamente l'ambiente nel quale le imprese
si trovano ad operare. Si è così determinata una crescente necessità di reagire con maggiore
flessibilità ai cambiamenti sul fronte dell'offerta e della domanda, mentre gli sviluppi tecnologici
hanno consentito alle imprese di introdurre modalità nuove e più flessibili nell'organizzazione
dei processi produttivi».
290 Cfr. T. TREU, Le istituzioni del lavoro nell’Europa della crisi, in Giorn. Dir. Lav. rel. Ind.,
2013, p. 597 ss. 139
La prima fase del Jobs Act è stata quella sul contratto a termine, con la
dilatazione della cosiddetta acausalità del contratto a tempo determinato fino a 36
mesi, addirittura attraverso un decreto-legge (d.l. n. 34/2014, convertito nella
legge n. 78/2014), con lo scopo di dare una fiammata alle nuove assunzioni. La
disciplina del contratto a termine poi, però, è stata sostanzialmente confermata
dal d.lgs. n. 81/2015.
Non c'è da stupirsi perché, se si muove dal presupposto, avallato dalla teoria
economica, che una certa quota di contratti di lavoro non standard, in particolare
a termine, sia ormai immanente o strutturale nel sistema , il problema della
291
protezione sociale dei lavoratori coinvolti in queste forme di lavoro concerne
l’integrazione del reddito e la conseguente copertura previdenziale, e la
formazione professionale, in modo da mantenerne inalterate ed anzi aumentarne
le capacità professionali.
Dunque, più che adottare un'ottica punitiva nei confronti del contratto a termine,
si tratta di prevenirne gli “abusi”, in modo che il lavoratore non cada nella
trappola della precarietà e, comunque, garantire che i lavoratori non standard
siano tutelati sul piano del sostegno del reddito e di tutti gli altri strumenti che
facilitino le transizioni da un impiego ad un altro.
Ci si può domandare se con il decreto sulla Naspi ci si stia muovendo, per
292
questo segmento, nella linea della flessicurezza che richiede di promuovere,
appunto, insieme alla flessibilità, la sicurezza del reddito dell'occupazione.
E ancor più ci si può domandare se la riforma dei servizi per l'impiego, attuata
con il d.lgs. 14 settembre 2015, n. 150, sarà all'altezza delle aspettative .
293
291 E’ ciò sembrerebbe confermato dai dati del Ministero del lavoro, dell’Inps e dell’Istat che
convergono nel segnalare la crescita degli occupati a tempo indeterminato ( + 34,6% ad agosto
2015 rispetto all’anno precedente, secondo i dati Inps e del Ministero del lavoro), senza che sia
diminuita la quota di assunzioni a termine, semmai lievemente incrementata ( + 1,3 % ad
agosto 2015 rispetto all’anno precedente).
292 Cfr. il d.lgs. 4 marzo 2015, n. 22.
293 Per un primo commento sulle novità introdotte dal decreto cfr. P. ICHINO, Un bilancio dei
decreti attuativi: i punti deboli delle nostre politiche attive del lavoro (intervista a cura di R.
Bisceglie), in www.pietroichino.it, 4 settembre 2015; ID., Politiche attive del lavoro: ne saremo
capaci? (intervista a cura di A. Giorgiutti), ivi, 11 settembre 2015. 140
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