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Estratto del documento

CAPITOLO III

3) Teorie sociologiche della criminalità.

Perché sono importanti le teorie o gli approcci teorici per lo studio della

devianza e della criminalità? La risposta c’è fornita dalle numerose opere,

ricerche sociali, saggi, inchieste che ogni anno forniscono statistiche

importanti per capire e comprendere come funzionano le diverse società:

che sia quella campana, siciliana, pugliese vi sono e vi saranno sempre

diverse forme di devianza e criminalità organizzata.

Possiamo ribadire con certezza che una delle ipotesi e argomentazioni di

lavoro che affrontano il fenomeno della criminalità esige un approccio

sociologico al problema. Il problema della criminalità è al centro

dell’attenzione non soltanto degli educatori sociali, ma anche di tutti

coloro che affrontano animatamente e con impegno civile le problematiche

giovanili; infatti non raramente le agenzie del controllo sociale forniscono

periodicamente le statistiche mettendo in evidenza le attività inerenti a tale

fenomeno.

Parlare della criminalità come fenomeno sociale vuol dire porre in rilievo

un sistema negativo che è presente all’interno di una particolare società,

gruppo, comunità, organizzazione che attraversa tutti gli strati sociali dei

giovani e adulti. L’analisi del fenomeno è al centro dei dibattiti politici, per

l’appunto, che in tutti i modi cercano soluzioni adatte per rimarginare

quello strato infetto che da tempo danneggia e crea disagi all’interno

dell’organismo sociale.

La criminalità troverebbe le sue cause in particolar modo nell’inadeguata

socializzazione tra l’individuo e il rapporto con la società circostante, un

disadattamento tra Ego e l’ambiente di riferimento, che non trova il

meccanismo adatto per l’inserimento nella macchina sociale che differisce

e differenzia tutti gli strati. Un cattivo rapporto dell’individuo con la

famiglia, la scuola, il gruppo dei pari e gli altri agenti socializzanti

determina quelle carenze di interiorizzazione del sistema normativo che, a

loro volta, producono forme di devianza e criminalità; infatti è possibile

notare un inceppamento nei meccanismi sociali che regolano il processo di

socializzazione e integrazione, che assume pertanto, i contorni di una

patologia individuale e induce l’individuo ad esibire comportamenti non

conformisti. 25

Secondo l’analisi sociologica del fenomeno sembrerebbe che i soggetti –

criminali – devianti si ritengono tali non tanto per la singola personalità,

quanto per le prospettive e gli atteggiamenti che la società ha nei loro

confronti; un’azione può essere più o meno deviante a seconda del

contesto sociale e culturale di riferimento.

Al di là del consenso umano nel sostenere che la criminalità derivi dal

cattivo rapporto tra individuo – società, gli psicologi sociali avanzano

l’ipotesi secondo le quali i giovani sono più propensi strutturalmente a

fenomeni devianti; in qualsiasi contesto socio – culturale è diffusa

uniformemente l’idea che i ragazzi debbano essere guidati nel processo si

divenire meno aggressivi, più civili e conformarsi alle regole, e proprio

l’educazione alle regole significa seguire il processo che porta alla civiltà

e il comune vivere secondo anche morale.

Si può confermare che andare avanti in maniera lineare e diretta attraverso

l’educazione alla moralità e la legalità è cosa sicuramente efficace; difficile

risulta l’apprendimento di tutto ciò da parte dei giovani per consentire il

passaggio dalla criminalità alla civiltà.

Anche se nel campo dell’educazione alla cittadinanza molte esperienze e

alcune ricerche – azioni sono state realizzate, i fondamenti teorici per la

costruzione di percorsi coerenti ed efficaci e la messa a punto di strumenti

operativi si rifanno a elaborazioni concettuali sviluppatesi in un arco di

tempo molto ampio.

A partire dall’inizio del ventesimo secolo, diverse correnti di pensiero, sia

a carattere sociologico che psicologico, hanno animato gli studi sullo

sviluppo sociale e morale dei giovani: proponiamo due teorie.

Il primo è l’approccio sociologico rifacendoci al ricercatore francese Emile

Durkheim (1925) il quale riteneva che l’educazione ai valori si potesse

svolgere efficacemente a scuola, dove gli alunni hanno l’opportunità di

prendere parte a gruppi più formali e meno flessibili di quelli, per esempio,

la famiglia. Attraverso la partecipazione alla vita di gruppo, i giovani

sviluppano un attaccamento emozionale alla società, giungendo a

rispettarne le regole, le norme e l’autorità. E, inoltre, in loro cresce anche il

cosiddetto “spirito di disciplina”, necessario per controllare il

14

comportamento e incanalarlo nelle aspettative della società.

Alla teoria sociologica si contrappone quella di Jean Piaget (1932),

psicologo svizzero, secondo il quale l’approccio di Durkheim non poteva

essere esaustivo del processo di interiorizzazione dei valori per due motivi

11 E. Durkheim, L’educazione morale, UTET Torino, 1977

14 26

fondamentali: il primo è relativo al fatto che l’educazione socio – morale

dovrebbe implicare, come pre condizione, il rispetto per le persone e le

idee di giustizia e di uguaglianza. Il secondo dipende dall’idea che lo

sviluppo sociale implica non soltanto un adattamento all’ambiente ma

anche una costruzione progressiva, attraverso le interazioni sociali con i

pari, di modalità di comprensione del mondo. L’acquisizione dei valori è

12

facilitata soprattutto quando i ragazzi partecipano a relazioni cooperative.

In sintesi, questo dibattito che si è protratto per tutto il ventesimo secolo,

ha contrapposto l’idea che l’educazione alla convivenza civile implichi da

un lato un’accettazione degli standard e delle norme sociali e dall’altro lo

sviluppo di modi di riflettere su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ciò

che è buono e ciò che è cattivo.

Queste prime elaborazioni teoriche hanno dato vita a una serie di ulteriori

ricerche e approfondimenti con tesi e proposte operative spesso in

contrapposizione fra loro, nello sforzo di definire se l’acquisizione dei

valori sia caratterizzata dalla trasmissione di tradizioni radicate nella

società oppure dallo sviluppo di modalità di relazione con gli altri a partire

dalla conoscenza dell’idea di giustizia, dei diritti, dell’uguaglianza e del

benessere.

Tantissimi sono stati gli psicologi, i sociologi, antropologi che si sono

impegnati, ancor tuttora, a fornire non solo il materiale argomentativo alla

criminalità come fenomeno a sé stante ma di interpretare come avvengono

forme di criminalità organizzata o di devianza sociale; i metodi e le

tecniche sono davvero dispersive se volessimo pensare che già nel corso

del Settecento i filosofi si interrogavano sul motivo per il quale

accadevano episodi del genere in una società che apparentemente

sembrava uniformarsi alla civiltà del tempo.

Ed è proprio in questo periodo che i grandi ricercatori vengono influenzati

fortemente dalla cosiddetta “ Scuola Classica” all’interno della quale

grandi scrittori e filosofi, avanzando ipotesi e teorie argomentative,

cercavano di fornire spiegazioni adeguate al contesto socio – culturale del

periodo. Innanzitutto il diciottesimo secolo conobbe grandi cambiamenti:

l’aristocrazia del tempo venne messa in discussione, il mercantilismo

sopraggiungeva, le prime innovazioni tecnologiche portavano al

mutamento economico e sociale, le società andavano urbanizzandosi e così

via…Allo stesso modo il contesto intellettuale andava verso idee

riformatrici come il naturalismo: cioè l’esperienza e l’osservazione

2 J. Piaget, Il giudizio morale nei fanciulli, Giunti, Firenze 1993

1 27

potevano ricondurre alla comprensione del mondo specialmente se

rafforzata dalla capacità di ragionare. Autori eccelsi come Voltaire,

Beccaria, Montesquieu, Rosseau, Hume, ma in particolare Bentham diede

impulso notevole alla scuola attraverso l’elaborazione della << teoria del

comportamento >> nella visione edonista: si dava per scontato che gli

individui agissero in modo da massimizzare il piacere e minimizzare il

dolore. La Scuola Classica poneva le basi sul sistema legale e sulla

giustizia penale: sosteneva che la legge doveva proteggere sia la società

che l’individuo, la legge quindi sottolineava la responsabilità morale e il

dovere dei cittadini di considerare per intero le conseguenze dei loro

comportamenti. Inoltre la Scuola poneva l’enfasi posta sulla libera scelta e

sulla razionalità umana, l’interesse verso i diritti fondamentali, ogni

individuo gode di determinati diritti naturali, quali la vita, la libertà, la

proprietà.

Nell’Ottocento la situazione culturale e ideologica cambia con il mutuare

delle riforme politico - sociali; vi è l’affermazione della cosiddetta “Scuola

Positiva” emergente grazie ad una rivoluzione della filosofia

contemporanea europea. Se gli epigoni della scuola classica erano filosofi,

scrittori, letterati, quelli della scuola positiva erano per lo più scienziati,

medici, astronomi. Mentre i << classici >> cercavano di dare spiegazioni

del crimine attraverso la dignità umana, i valori, il rispetto, i positivisti

davano spiegazioni del crimine attraverso i metodi scientifici che la

scienza metteva a disposizione, cioè i positivisti avanzavano l’idea

secondo la quale il comportamento umano potesse essere spiegato

attraverso tratti biologici, fisici, psicologici e sociali: tutto risultante dal

comportamento piuttosto che dalla legge e dai diritti umani.

Caratteristica comune tra coloro che avevano l’obiettivo di studiare la

criminalità dal punto di vista << positivistico >> era l’uso delle tecniche

messe a disposizione dalla scienza: venivano raccolti i dati per descrivere e

spiegare diversi tipi di individui oltre che le diverse condizioni sociali.

In secondo luogo veniva preso a prestito il concetto di evoluzione del

grande ricercatore e biologo Charles Darwin e cioè che gli esseri umani, al

pari del mondo vegetale ed animale, possono avere delle evoluzione

fisiologiche e biologiche nel corso dei secoli e quindi dei millenni; tale

evoluzione si constatava anche nel mondo sociale e nelle interazioni tra gli

individui.

Non bisogna dimenticare che la sociologia e l’attu

Dettagli
Publisher
A.A. 2007-2008
69 pagine
SSD Scienze politiche e sociali SPS/12 Sociologia giuridica, della devianza e mutamento sociale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher cirotto83 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Sociologia della devianza e della criminalità e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Napoli Federico II o del prof Lamberti Amato.