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INTRODUZIONE

Un profilo della figura di Jean-Pierre Vernant, titolare della cattedra di Studi comparati delle religioni antiche e membro del Collège de France, come pure un primo bilancio del suo insegnamento, è tracciato da Mario Vegetti nella Premessa all'edizione italiana di Nascita di immagini (1), dove egli è definito "senza dubbio un maestro". Ne scaturisce un ritratto di comandante partigiano a Tolosa; di militante del PCF negli anni duri della guerra fredda, poi uscitone perché rifiutava il suo dogmatismo burocratico; rimasto, comunque, senza incertezze sulle posizioni di una sinistra critica, per l'energia intellettuale, capace di imprimere svolte decisive nel campo degli studi. Quella del '65, prima di tutto, quando da un lato Vernant portava le esperienze della psicologia storica e della storia delle mentalità a contatto con l'antico, proponendo nel volume Mito e pensiero presso i Greci (2), un approccio evidentemente originale all'annosa questione del rapporto fra mýthos e lógos. Ma dall'altro canto rinnovava le intersezioni fra marxismo e scienze dell'antichità, mettendo fuori causa il dogmatismo di

matrice engelsiana e, insieme, rivendicando il valore

delle categorie marxiste per la comprensione di

formazioni sociali pre-capitalistiche (3). Altre

svolte sarebbero seguite, in anni più recenti, a

proposito ora dell'interpretazione del rapporto fra

mito e tragedia (4), ora della scoperta di forme di

razionalità "bassa" ed obliqua, (come la metis o

astuzia) (5), ora del rapporto fra divinazione e

scrittura, infine della funzione sociale ed ideologica

del sacrificio in Grecia (6).

A tutto questo va aggiunta la capacità

organizzativa di Vernant, che ha portato alla

fondazione del famoso Centre d'études comparées sur

les sociétés anciennes, cui fanno capo studiosi della

levatura di Marcel Detienne, Nicole Loraux, Pierre

Vidal Naquet, e che è stato, nell'ultimo decennio, un

"laboratorio di sperimentazione culturale, dove

l'antico veniva sondato secondo strumenti del sapere

contemporaneo, dallo strutturalismo all’analisi degli

immaginari sociali; e anche un luogo di incontro, di

dibattito e di verifica per gli antichisti di ogni

Paese" (7). Va sottolineato che "nell'un caso e

nell'altro, la presenza di Vernant non è stata quella

di un despota né di un diplomatico, ma appunto di un

l'intuito, la sagacia, la previsione, la spigliatezza mentale, la finzione, la capacita di tirarsi d'impaccio, la vigile attenzione, il senso dell'opportunita, l'abilita in vari campi, un'esperienza acquisita dopo lunghi anni; essa si applica a realta fugaci, mobili, sconcertanti e ambigue, che non si prestano alla misura precisa, ne al calcolo esatto, ne al ragionamento rigoroso.

Un altro e rilevante tema di riflessione, tanto storico-antropologica quanto teorica, consiste in quell'analisi dei fenomeni religiosi che e al centro del lavoro piu recente di Vernant (17).

Sua tesi centrale e che il religioso non occupa, nel variare degli universi sociali e delle loro mentalita, un luogo autonomo, unicamente definibile, tale da consentire linee uniformi di sviluppo o comparazioni immediate tra societa diverse.

Si tratta piuttosto (secondo la tradizione di Gernet, Meyerson, Dumezil, cui Vernant si ricollega esplicitamente) di costruire un'antropologia religiosa, di elaborare un'analisi "che coinvolge le strutture religiose all'interno del funzionamento delle categorie di pensiero e delle pratiche sociali". Una "scommessa in favore della sincronia", dunque, che

e da Lévi-Strauss in particolare, contrasta uno studio compreso in Mito e pensiero presso i Greci, sin dal titolo. Strutture del mito. Il mito esiodeo delle razze. Tentativo di analisi strutturale. Questo, scritto nel 1960, è quindi uno degli ultimi capitoli del testo in ordine di compilazione; invece risulta inserito come primo capitolo: ciò potrebbe tradire la suggestione esercitata dal nuovo metodo di lettura che del mito cominciava a proporre Lévi-Strauss, da cui solo in seguito Vernant prenderà le distanze.

A tale proposito nell’ introduzione al testo Vernant chiarisce che "il saggio finale (Dal mito alla ragione. La formazione del pensiero positivo nella Grecia arcaica) va letto con riferimento a quello iniziale: spingendo quanto più lontano ci è stato possibile l’analisi strutturale di un mito particolare, quello del mito esiodeo delle razze, abbiamo voluto descrivere una forma di pensiero tutt’altro che incoerente, ma il cui movimento, il cui rigore, la cui logica hanno un carattere proprio, poiché la costruzione mitica si fonda nel suo piano complessivo, così come nei particolari delle diverse parti, sull’equilibrio e sulla tensione di nozioni polari" (31).

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1975, ripercorre tutto il cammino culturale dello studioso, tentando di evidenziare le suggestioni, le diverse interferenze di volta in volta operanti su di lui, che determinano un approccio sempre diverso ai problemi affrontati, in primo luogo al mito.

E forse proprio questa capacità di sapersi parzialmente rinnovare pur restando fondamentalmente legato alla propria formazione antropologica gli ha consentito di imporsi sulla scena culturale per tanti anni, nonostante la fine di diverse mode culturali, come punto di riferimento inevitabile, colmo di un innegabile fascino se V. Di Benedetto nel suo Sofocle (39), nonostante le critiche rivoltegli, ammette di essere stato precedentemente "per breve tempo, un vernantvidalnaquetologo" e parla di "moda - provinciale - del vernantismo", che oggi sarebbe "in una fase calante".

16

Claude Lévi-Strauss, Paris 1970, vol. II, pp. 1253-79.

(34) Ibid., pp. 389-411.

(35) Nell'ottica di Lévi-Strauss il mito non deve essere compreso, ma decodificato: come nella lingua i fonemi, i singoli segni fonetici, in sé privi di significato, ne assumono uno preciso solo nella loro combinazione, così anche nel mito, composto di segni analoghi, i mitemi, al posto della sequenza narrativa è messa una struttura profonda, formata dall'ordinamento dei mitemi: il significato del mito si ricava dalla sua struttura (che può essere formalizzata come relazioni logiche di opposizioni, inversioni, parallelismi), non si può mai cercare al di fuori di essa nella realtà (ciò privilegerebbe un codice). Anche quando in seguito, nelle Mythologiques, del 1965, al posto dei singoli miti, prende in esame aggregati interi di miti, gli ipermitemi, le cui strutture vengono messe tra loro in rapporti di parallelismo, opposizione e inversione, nonostante l'importante elaborazione di invariabili fondamentali, di relazioni di simboli, valide tutte allo stesso allo modo, Lévi-Strauss rifiuta al mito la qualità di messaggio, negandogli dunque la capacità di dire qualcosa, vero o falso che sia, sul mondo, sugli dèi o sull’uomo.

(36) Cfr. Vernant, Mito e società, op. cit., p. 245.

(37) Cfr. M. Detienne, Les jardins d'Adonis, Paris 1972 (trad. it. di L. Berrini Pajetta I giardini di Adone, Torino 1975), p. 6.

(38) Studi che solo apparentemente, rubricati sotto i titoli di Memoria e tempo, Spazio, Lavoro e pensiero tecnico, Persona nella religione greca, Formazione del pensiero positivo nella Grecia arcaica, sembrano relativi ad argomenti del tutto diversi, ma che in realtà sono gli aspetti concreti in cui si manifesta l'evoluzione intellettuale verificatasi in Grecia da Esiodo ad Aristotele.

(39) V. Di Benedetto, Sofocle, Firenze 1983, p. 255.

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come concetto-guida di molti suoi studi), in ogni elemento del racconto:

  • contrapposizione tra il mondo divino, in cui l’ordine è fissato fin dal tempo della vittoria di Zeus, e il mondo umano in cui un po’ alla volta si instaura il disordine, fino al trionfo dell’ingiustizia, dell’infelicità della morte (differenza che implica e giustifica poi una serie di altre opposizioni);
  • differenza di valore tra le razze, simboleggiata dall’opposizione tra dike e hybris: un contrasto sottolineato tra la prima e la seconda razza da una parte, (oro e argento) tra la terza e la quarta dall’altra (bronzo ed eroi) (8);
  • divisione di ciascuno dei due piani in due aspetti antitetici, uno positivo, l’altro negativo, in modo da presentare due razze associate, ciascuna delle quali costituisce la contropartita dell’altra e che contrastano tra di loro come la dike e la hybris (9);
  • conseguente diversità di destino, dopo la morte, tra le prime due razze e le successive: gli uomini d’oro e d’argento sono oggetto di una promozione, e dalla condizione di uomini mortali passano a quella di dalmones; gli uomini di bronzo e gli eroi invece non

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Publisher
A.A. 1991-1992
172 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/07 Storia della filosofia antica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher platesse di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia antica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi Gabriele D'Annunzio di Chieti e Pescara o del prof Lucchetta Giulio.