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SCETTICISMO
Il concetto cumulativo di stregoneria, dopo essere stato formulato e diffuso, dimostrò di essere
estremamente solido, tuttavia non venne accettato da tutti: alcuni degli elementi che lo
componevano, soprattutto la metamorfosi e il volo notturno, furono criticati durante tutto il periodo
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della caccia.
- Critica alla Caccia alle Streghe
Lo scetticismo nei confronti della stregoneria può essere definito come l’attitudine a dubitare di
alcuni o addirittura dei principali crimini attribuiti alle streghe, e di conseguenza poteva essere
moderato (se ciò che veniva messo in discussione erano solo alcuni degli elementi componenti il
concetto cumulativo di stregoneria), o radicale (se veniva negata la possibilità stessa
dell’interazione tra esseri umani e demoni, e di conseguenza si riteneva impossibile che una persona
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potesse stringere un patto con il diavolo).
Visioni scettiche sulle gesta attribuite alle streghe furono espresse a cominciare dall’inizio del X
secolo, con il Canon Episcopi: questo testo, risalente al 906 e noto anche come capitolum Episcopi,
è considerato molto importante nel diritto canonico medievale: fu infatti incluso nel Corpus Iuris
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Canonici (Decretum Gratiani, causa 26, quaestio 5, canon 12).
Il Canon Episcopi è un documento cruciale nella storia della credenza nella stregoneria e nelle
critiche che ad essa sono state mosse: esso, distinguendo tra divinazione e magia nociva, riteneva la
seconda una pericolosa minaccia da sradicare, frutto delle illusioni di ‘donne malvagie’ che si
vendevano al Diavolo e, lasciandosi sedurre dai demoni, credevano di partecipare in prima persona
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a delle lunghe cavalcate notturne a fianco della dea Diana.
L’autore del Canon, anticipando gli argomenti degli scettici più tardi, riteneva che queste
‘miserabili piccole donne’ fossero vittime degli inganni del Diavolo, che faceva credere loro che
tutte queste cose accadessero realmente, quando in realtà si trattava di semplici illusioni da lui
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provocate.
Gli sviluppi della filosofia naturale tra il XII e il XIII secolo, grazie soprattutto alla riscoperta dei
testi di Aristotele e allo sviluppo della Scolastica, portarono ad un nuovo interesse nei confronti del
mondo naturale, inclusa la necessità di ridefinire, attraverso metodi di ricerca prettamente ‘fisici’, le
caratteristiche essenziali e l’influenza dei demoni: ad esempio, Tommaso d’Aquino (1225-1274)
58 Brian P. Levack, La caccia alle streghe in Europa, Bari, Laterza, 2012, p. 73.
59 Matteo Duni, Skepticism, in Encyclopedia of Witchcraft, ed. by R. M. Golden, p. 1044.
60 Ibidem.
61 Ibidem.
62 Ibidem. 20
sosteneva che i demoni potessero interferire con i fenomeni naturali, crearsi un corpo ‘virtuale’ e
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avere contatti fisici con gli umani.
Durante il XV secolo, le discussioni sulla realtà della stregoneria entrarono in una fase decisiva, e le
questioni più dibattute rimanevano la possibilità dei Sabba e del contatto fisico tra demoni e
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umani.
Un tipo di scetticismo moderato su questi argomenti si può riscontrare in diversi teologi (ad
esempio Nider e Alphonso de Spina) che sostenevano che certe esperienze fossero solo illusioni
provocate dal Diavolo. Tuttavia, il tono della discussione cambiò sensibilmente nel corso del
secolo: un numero sempre crescente di autori influenti, pur concedendo la possibilità teorica delle
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illusioni del Diavolo, riteneva che i Sabba accadessero realmente e fisicamente.
Dopo il 1450, i confini tra le due opposte fazioni divennero meglio definiti.
Da una parte, soprattutto gli Inquisitori domenicani, provavano a neutralizzare il Canon Episcopi,
constatando che le streghe loro contemporanee costituivano una nuova eresia, e che quindi questo
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testo non fosse più valido a trattarla.
Gli scettici, più eterogenei ma spesso giuristi, difendevano l’autorevolezza del Canon, insistendo
sull’abilità dei demoni di ingannare i sensi degli uomini. Particolarmente significativo del loro
punto di vista è un testo del giurista italiano Ambrogio Vignati, intitolato Quaestio unica de lamiis
seu strigibus (1460). L’autore vi sosteneva che molti dei fatti confessati dalle streghe fossero
semplicemente impossibili perché la natura incorporea del Diavolo non poteva permettergli di avere
contatti fisici con gli esseri umani. Inoltre, Vignati rovesciò la principale tradizione legale,
sostenendo che in crimini capitali come l’eresia, gli standard delle prove dovessero essere più
elevati che in casi normali: pertanto, nemmeno le testimonianze delle streghe ree confesse erano
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prove sufficienti per torturare le persone da loro accusate.
Persino un monaco agostiniano fiorentino, Guglielmo Becchi, sosteneva che i demoni potessero
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ingannare l’intelletto umano, ma non avere contatti fisici con le persone.
Questo dibattito raggiunse il suo picco intorno agli inizi del sedicesimo secolo, quando divenne una
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questione cruciale a quale autore delle opposte fazioni dedicare intere opere.
In questi anni, un caso degno di nota è rappresentato dal famoso mago- filosofo Heinrich Cornelius
Agrippa von Nettesheim (1486 –1535) che, nelle bozze del suo De occulta philosophia (1531),
riteneva antica e superata la credenza nelle streghe, e in un manoscritto ora perduto, Adversus
63 Ibidem.
64 Ibidem.
65 Ivi, p. 1045.
66 Ibidem.
67 Ibidem.
68 Ibidem.
69 Ibidem. 21
lamiarum inquisitores, accusava gli inquisitori di essere mossi da crudeltà e avidità nella gestione
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dei casi di stregoneria.
Agrippa è anche stato protagonista di un episodio molto importante nell’ambito della critica alla
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caccia alle streghe, sia a livello teorico, sia a livello metodologico. Nel 1519, mentre si trovava a
Metz per lavorare come orator e advocatus della città, assunse la difesa di una contadina accusata
di stregoneria. Durante questo processo, le consuete procedure legali non furono rispettate e, in
assenza del giudice, la donna dovette subire soprusi inaccettabili persino per quel tempo. Inoltre,
non c’erano imputazioni concrete per condannarla, se non il fatto che sua madre fosse stata una
strega. Agrippa reputò quest’accusa inaccettabile, e al pari ritenne ingiusto il trattamento subito da
quella contadina, quindi assunse la sua difesa nel processo, basando la sua arringa su un argomento
molto originale: il valore del sacramento del battesimo. Infatti, accusare una donna che, tramite il
battesimo, era stata liberata dal peccato della madre, equivaleva, secondo lui, a mettere in
discussione il valore stesso di quel sacramento. Invertendo i ruoli di accusato e accusatore con
molta intelligenza, Agrippa concluse la difesa denunciando l’Inquisitore come eretico per aver
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disconosciuto il battesimo.
Ma le critiche alla stregoneria non si fermarono qui: pochi anni dopo, un filosofo aristotelico,
Pietro Pomponazzi (1462- 1525), autore del De naturalium effectuum causis sive de incantationibus
(1556), criticò per primo l’esistenza di spiriti incorporei (sia angelici che demoniaci), e propose di
attribuire i fenomeni più straordinari ai poteri nascosti della natura, escludendo la possibilità della
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magia.
Mentre posizioni estreme come quella di Pomponazzi rimanevano isolate, emerse un tipo di
scetticismo più selettivo durante la seconda metà del XVI secolo, patrocinato da diversi fisici
umanisti, che continuavano a credere nell’esistenza dei demoni, mentre ritenevano che molti tra i
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supposti crimini delle streghe fossero solo frutto dell’immaginazione.
Nel 1557, Girolamo Cardano (1501- 1576), un famoso astrologo e matematico laureato in medicina
all’università di Padova, pubblicò il De rerum varietate (1557), un lavoro in cui egli analizzava la
credenza nella stregoneria da un punto di vista medico, ritenendo che le confessioni delle streghe
fossero la conseguenza della natura melanconica di questa povere donne, la cui scarsa e povera
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alimentazione comportava un eccesso di bile nera, e quindi allucinazioni.
70 Ivi, p. 1046.
71 M. Valente, Johann Wier, Firenze, Leo S. Olschki Editore, 2003, p. 36.
72 Ivi, p.37.
73 Matteo Duni, Skepticism, in Encyclopedia of Witchcraft, ed. by R. M. Golden, p. 1046.
74 Ibidem.
75 Ibidem. 22
Ma c’era un altro medico, Johann Wier, che attaccò complessivamente il paradigma della
stregoneria nel suo trattato De praestigiis daemonum (1563), servendosi di una grande varietà di
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strumenti concettuali.
Wier ammetteva che i diavoli potessero intervenire fisicamente nel mondo e commettere crimini
orrendi, ma sosteneva che non avessero bisogno della collaborazione umana. Egli diceva che
mentre i maghi uomini erano realmente esistiti e meritavano di essere puniti, era semplicemente
ridicolo supporre che una donna povera e vecchia potesse praticare la magia. La loro credenza in
queste cose poteva essere spiegata in termini medici soltanto come un disordine degli umori nei loro
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corpi, esattamente come molti altri disagi naturali la cui causa era erroneamente ritenuta la magia.
Wier fu inoltre il primo scettico ad elaborare un argomento filologico che negasse la legittimazione
della caccia alle streghe basata sulla Bibbia, dimostrando che i passaggi della Bibbia che trattavano
di questo argomento non potevano essere riferiti alla stregoneria dei suoi giorni. Infine, faceva uso
di argomenti giuridici per minare l’essenza del crimine di stregoneria, il patto con il Diavolo, che
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dimostrava essere giuridicamente non vincolante.
È degno di nota che alcune questioni sollevate da Wier, ad esempio che la melanconia portasse a
confessare crimini immaginari, furono accettate persino da alcuni sostenitori della caccia alle
streghe, ad esempio da Peter Binsfeld, vescovo di Triora e autore del Tractatus de confessionibus
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maleficorum et sagarum (1589).
Probabilmente l’assalto più coerente e implacabile alla teoria della caccia alle streghe venne da un
esterno, sia geograficamente che professionalmente: l’inglese Reginald Scot (1538- 1599), la cui
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Discoverie of Witchcraft (1584) metteva in discussione i fondamenti più profondi della credenza.
Scot attinse al lavoro di Wier nel sostenere la malattia mentale delle streghe ree confesse, ma lo
oltrepassò, negando al Diavolo ogni potere fisico. Lui concludeva che, dato che nessun umano
poteva infliggere dolore attraverso la natura, poiché non aveva le facoltà di controllarla, allora la
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stregoneria era impossibile.
Nonostante egli abbia avuto una certa influenza sullo scetticismo inglese successivo, la posizione di
Scot rimase marginale, specialmente in quanto basata su un’interpretazione della Bibbia che negava
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non solo la