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Ciò però sta ad indicare solamente che la dualità nietzscheana non era utile al fine di
ricomporre una classificazione delle arti o delle loro epoche, quindi è un disaccordo
puramente strutturale e non di analisi perché tale dualità è presente, comunque, nell'arte e in
ogni passo del percorso warburghiano, come ad esempio il suo rimanere affascinato dall'uso
della figura di Dioniso da parte di Nicola Cusano o dell'uso della figura di una menade antica
come modello di un angelo.
Per queste ragioni, Warburg, caratterizza l'intero Rinascimento come una lotta tra ‹‹ebrezza
dionisiaca›› e ‹‹lucidità apollinea›› che in seguito sarà integrata alla contrapposizione tra
pathos ed ethos.
Ciò sta a significare che la tragedia greca è il centro-matrice e il centro-vortice della
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cultura occidentale e Warburg è convinto che il suo compito sia vedere connessioni e
necessità di ogni cultura, come Burckhardt e Nietzsche, perché comprende che l’ordine
simbolico di ogni civiltà è capito realmente in rapporto ai suoi disagi e sintomi, attraverso la
‹‹tragedia della cultura›› all’interno della quale affiora il Nachleben.
La tragedia della cultura di ogni civiltà è anche la tragedia della sua memoria, attraversata
da una forza animale, da uno spirito dionisiaco che Nietzsche vede sciuparsi e che Warburg
coglie nel Rinascimento come lento risveglio di ciò che era stato rimosso. Infatti, non a caso è
presente un determinato rapporto tra ciò e il pensiero freudiano. Ciò che è stato rimosso è ciò
che è più oscuro e fantasmale ma anche ciò che è più vitale.
All’inizio di questo paragrafo è stato detto che per Warburg i due filosofi sono ricettori di
e dinamografo che rimane all’ascolto,
onde mnemiche, entrambi sono uno storico-sismografo
inscrive e trasmette i movimenti invisibili che si sposta nel sottosuolo scavando e aspettando
il momento di rivelarsi e auscultando il sisma stesso nel suo movimento interno.
Tutto ciò implica la presenza di una nuova forma dualistica nel metodo dello storico, in cui
all’ascolto dei movimenti, delle vibrazioni e delle onde d’urto, la cui interezza del
si rimane
campo fenomenico e ‹‹infrafenomenico››, visibile ed invisibile, ma soprattutto fisico e
psichico, viene tracciata, registrata e rivelata.
L’immagine insepolta,
15 G. Didi-Huberman, cit., p. 142.
Didi-Huberman ci dice, riferendosi proprio a questo, che questa episteme della
registrazione viene descritta accuratamente da Etienne Marey sulla sua Méthode graphique.
Quest’ultimo è legato allo sviluppo della cronofotografia in cui la figura viene concepita
come energia che si manifesta in una formula del movimento dissociata da ogni
rappresentazione del corpo che a sua volta esprime un ritorno alle condizioni epistemiche che
Marey aveva elaborato come metodo grafico, definito da lui stesso come il miglior modo di
rappresentazione dei fenomeni. Didi-Huberman, però, ci dice, proseguendo nel discorso, che
questo modo di inscrizione implica un paradosso, in cui la stessa nozione di rappresentabilità
finisce con lo scindersi da una parte, in una formula metarappresentabile che deriva dal
grafico comune, in quanto rimanda al tracciato di un puro rapporto tra più variabili attraverso
una linea che congiunge punti caratteristici; dall’altra parte c’è l’esigenza, dello stesso Marey,
che il grafico diventi un modo di espressione diretta dei fenomeni, in cui i punti caratteristici
si congiungono al continnum temporale del movimento tramite un grafico continuo sviluppato
da un’apparecchiatura di trasmissione a indicazione continua. In tal modo la formula, da entità
metarappresentabile, diviene un indice infrarappresentabile, ovvero un transfert diretto del
16
movimento in tempo reale , e Didi-Huberman continua col dirci che:
La stessa polarità, notiamolo sin d’ora, si ritroverà nelle nozioni warburghiane di Pathosformel e
[…] Warburg
Dynamogramm. parla di sismografo perché il tempo non è più per lui ciò che era stato
per Marey: non una grandezza qualsiasi, non la variabile necessaria e continua di ogni fenomeno, ma
qualcosa di più misterioso, di difficile da cogliere in quanto tale, e insieme temibile. Quando Warburg
utilizza come termine di paragone il dinamografo, lo fa per indicare il carattere complesso di questi
movimenti da analizzare nella storia delle immagini: essi non sono affatto riducibili a un aspetto,
Per questo, in storia dell’arte, occorre continuare a
mettono in opera forze, quindi forze dinamiche.
riflettere sui modelli biologici e psichici, a cominciare da quelli della ‹‹vita›› (Leben) e della
‹‹sopravvivenza›› (Nachleben). E quando Warburg parla, come nel seminario citato del 1927, di
di questa ‹‹vita storica 17
sismografo, lo fa per indicare il carattere in fondo assai minaccioso .
Questa minaccia di cui si parla è una duplice minaccia: da una parte lo storico deve
rimanere all’ascolto registrando questi movimenti che sono dei sintomi, Burckhardt stesso
parla di sintomatologia del tempo e a tal fine utilizza una conoscenza dei sintomi che
distingue così il sapere storico dalla concezione positivistica; dall’altra parte Warburg afferma
che lo storico ne rimane investito. Quindi il sismografo trasmette all’esterno una conoscenza
16 Ivi, p. 116.
17 Ivi, pp. 116-117.
del sintomo e all’interno viene trasmesso come esperienza del sintomo che diviene empatia
del tempo in cui lo storico rischia di perdersi.
Partendo da questa posizione Warburg fa una distinzione tra i diversi stili di Burckhardt e
Nietzsche, riscontrando nel primo una salda coscienza che non si lascia travolgere e si
protegge dalla forza del tempo e nel secondo un’apertura che lo travolge e se ne lascia
inghiottire. Entrambi aprono il sapere storico, ma uno rifugge la rottura esorcizzando i
fantasmi, mantenendo una stabilità che lo priva della viva esperienza, mortificando, così, la
sua stessa capacità esperenziale e assumendo agli occhi di Warburg la figura di un
‹‹negromante›› intelligente che si accontenta di essere solo un insegnante che trasmette il
sapere; l’altro si apre con la storia, non si protegge dalla rottura, annega e si crocifigge,
chiama a sé tutti i fantasmi, non preserva la propria coscienza dall’esperienza e prende per
Warburg le sembianze del profeta antico che sprofonda nella follia.
Burckhardt prende le distanze da tutto ciò perché:
il suo pensiero pietra su pietra, perché c’è nella sua attività qualcosa di
costruisce architettonico: il
suo pensiero è come una torre che s’innalza. Rende visibile l’opera del tempo e insieme si protegge
– ‹‹psicostorico›› che è
contro i suoi effetti devastanti, che Warburg da quello - ha scelto di chiamare il
18
demoniaco. 19
Nietzsche, dall’altra parte, vuole fare causa comune col demone , si fa colpire dalla storia
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e si aggroviglia così tanto chiamandosi con ‹‹ogni nome della storia›› da rompersi.
Warburg, per parte sua, riconosce in questa polarità quella che Nietzsche aveva già visto a partire
l’architetto sarà quindi definito ‹‹apollineo››, e l’atro […] sarà, invece,
dalla Geburt der Tragödie:
definito ‹‹dionisiaco››. E l’assegnazione dei due attributi non risponde solo a un’intenzione tipologica,
ma permette piuttosto di indicare che lo storico della cultura occidentale incarna anch’egli, nella
polarità del suo stesso metodo, quella ‹‹sopravvivenza degli antichi dei›› di cui ha il compito di
21
interpretare i destini .
18 Ivi, p. 124.
19 Ibidem.
20 Ibidem
21 Ibidem. 22
Questa opposizione stilistica, questa polarità tra i due ‹‹tipi di veggenti›› per Warburg
assume una dimensione autobiografica, in cui il binomio Burckhardt-Nietzsche appare come
la formula dinamografica di un autoritratto
Warburg si è esplicitamente presentato come un sismografo burckhardiano: uno storico della
cultura, un sensore delle ‹‹patologie del tempo›› - senza distinzione tra latenze e crisi-, un ricercatore
guidato dall’ ‹‹abnegazione scientifica›› (wissen-schaftliche Selbstverleugnung), un pensatore attento
all’unità dei ‹‹problemi fondamentali››, uno scienziato attento alla specificità degli oggetti singoli. Un
paziente collezionista di schede, di libri e di immagini, di materiali, di fatti e di forme; un filologo
aperto alle impurità del tempo, ai continenti neri, ai sintomi percepiti come i ‹‹residui vitali›› della
– –
storia. La torre che ha costruito la vertiginosa Kulturwissenschaftliche Bibliothek Warburg diviene
così il ricettacolo virtuale di tutti i sintomi e di tutti i sismi del tempo, di cui intendeva restituire
pazientemente tutto il sapere possibile.
Ma Warburg si è anche sentito, e in modo apertamente convulsivo di fronte alle convulsioni cui tutta
l’Europa cadde in preda nel 1914, come un sismografo impazzito e sul punto di cadere a pezzi.
L’esegeta delle ‹‹sopravvivenze dell’Antichità›› fa parte, con ogni evidenza, di quei grandi pensatori
– –
della storia penso a Nietzsche, ma anche a Walter Benjamin, a Carl Einstein o a Marc Bloch che
sono stati direttamente toccati, colpiti dalla storia, raggiunti e divorati da essa. È una vertigine
simmetrica a quella torre: una vertigine del crollo in cui ogni fatto, ogni forma, ogni continente nero
diviene una prova per il sapere e per chi lo pratica. Una vertigine in cui il sapere sul sintomo diviene
per l’inventore di tale sapere
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sintomo del sapere, ovvero una minaccia diretta .
Con Burckhardt e Nietzsche si percepiscono due differenti ritmi storici che in Warburg si
coniugano aprendo una nuova via che si dirige verso un tempo storico aperto, anacronistico e
inquietante in cui i fantasmi, le sopravvivenze, ritornano come sintomo storico in un tracciato
che somiglia a un labirinto, una sorta di percorso obbligato nell’angoscia di uno spazio
esterno o nella fobia di uno spazio interno. Ma, soprattutto, rintraccia la sovrapposizione, la
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sovrimpressione di due ritmi o di due regni del tempo .
Il tempo in tal modo scandisce il ritmo dell’uo