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Il sistema winckelmanniano ha alla sua base la considerazione che la storia dell’arte, di cui

Winckelmann si pronuncia il padre, oscilla tra essenza e divenire ed inoltre ha al suo interno tre

nodi fondanti:

• Il nodo della storia

• Il nodo dell’arte

• Il nodo dell’Antichità

Questo triplice nodo viene tenuto insieme da una nozione fondamentale che risolve tutte le

contraddizioni che sono presenti nell’opera e nel sistema di Winckelmann, ovvero l’imitazione .

L’imitazione è per Winckelmann l’unica possibilità che l’artista ha per raggiungere la vera

grandezza. È il risveglio attraverso la quale l’assenza categorica muta è diviene un qualcosa di

presente che oltrepassa il lutto per quell’oggetto ormai defunto e caduto nell’abisso temporale che

tutto rende distante. Il modello, a suo dire, verso il quale bisogna indirizzarsi è l’arte greca, della

quale bisogna imitarne le opere. Questo perché è l’unica ad aver raggiunto il massimo grado di

perfezione formale, in quanto il suo inizio è da collocarsi al momento della cacciata dei tiranni e

alla conseguente nascita della democrazia, della libertà nell’Atene antica. Per Winckelmann l’arte

poteva nascere solo in un clima di libertà ed ecco perché, per lo storico dell’arte, l’arte greca è

considerata l’espressione di una società armoniosa, in quanto libera. Per questo essa è l’ emblema

per eccellenza del “bello ideale”, in cui è presente una coesione tra perfezione estetica ed etica,

tanto da, appunto, dover essere imitata. Non vi è, però, un ritorno ad una mera imitazione ma bensì

un ritorno all’essenza più profonda che incarnava quiete, armonia e semplicità, ideali che

rappresentavano una compostezza lontana da conflitti e del tutto estranea al pathos. Simbolo di

questa concezione divenne il Laocoonte, ritrovato proprio in questo secolo a Roma. Il gruppo

scultoreo divenne per Warburg un ossessione ed è proprio da quest’opera che lo storico tedesco

cominciò a costruire e forgiare quella crisi epistemologica della storia dell’arte che Didi-Huberman

espone in questo suo libro, L’immagine insepolta. Warburg usa come emblema della sua impresa

una frantumazione umana, in cui è presente un’istantanea della passionalità violenta nel suo

momento di massima intensità e non quindi una resurrezione o una glorificazione ma bensì quel

pathos che era stato accantonato pur essendo fondamento di quella potenza espressiva che

racchiude in sé la stessa vita dell’opera d’arte privatizzata, così, di una delle sue componenti più

importanti.

Didi-Huberman, nel testo, definisce Warburg come il passamuri della storia dell’arte , un

riferimento al romanzo di Marcel Aymé.

Ma perché avviene questo accostamento? Il filosofo francese fa uso di questo termine, passamuri ,

relazionandolo alla figura di Warburg, per evidenziarne la sua capacità di spostamento, prima

nell’ambito familiare e poi attraverso la disciplina specifica e agli altri ambiti culturali. Ne

oltrepassa il ciglio, il confine, provochando in essa una vera e propria decostruzione delle frontiere

disciplinari . Proprio per questa ragione e per la caratteristica di spostarsi da un ambito all’altro,

senza alcun problema o dilemma, Warburg criticò Winckelmann e in risposta ai suoi due modelli,

naturale e ideale, ne contrappose altrettanti due. Infattil modello naturale contrappose:

• un modello culturale della storia, in cui non era più presente il tempo storico scandito dallo stadio

biomorfico ma si esprimeva per complessità specifiche e strati che si sovrapponevano senza

annullare il precedente. Rimaneva così una sopravvivenza che non moriva mai ma bensì rimaneva

presente pur essendo, in un certo senso, occultata.

Mentre al modello ideale delle rinascite contrappose:

• un modello fantasmale della storia, in cui non vi è più una trasmissione accademica dei tempi ma i

saperi si esprimono per ‹‹ sopravvivenze ›› e ‹‹ ritornanze ›› delle forme. Così lo storico non è più

in lutto per la morte del suo oggetto, perché il suo oggetto non è morto ma bensì è sopravvissuto e

ritorna sotto lo sguardo della sua ricerca.

Questo modello fantasmale, per Didi-Huberman, racchiudeva in sé anche un modello psichico, in

quanto non è un ritorno al punto di vista dell’ideale ma è una possibilità di scomposizione teoretica

ed è per questo che in sé era anche un modello sintomatico, in cui il divenire delle forme veniva

analizzato come un insieme di processi duali in continua tensione tra loro. Con Warburg il pensiero

sull’arte e sulla storia mutano e la storia dell’arte si inquieta e si perturba in un vortice, in cui il

corso delle cose si modifica e viene sconvolto nelle sue profondità da questo fantasma non

esorcizzato, un dibbuk, così come lo definisce il filosofo francese. Per questo Aby Warburg verrà

riconosciuto come padre dell’iconologia anche se la sua opera scomparirà dietro quella di Panofsky

e come scrive Didi-Huberman, comincerà

‹‹ a errare nella storia dell’arte come un antenato inconfessabile – senza che sia mai detto cosa non si

dovrebbe confessare, o cosa si dovrebbe confessare in lui - , un padre fantasmatico dell’iconologia. ››

Quindi Warburg vaga nella storia, viene in un certo senso dimenticato o meglio accantonato

divenendo un fantasma errante. Didi-Huberman si chiedo, però: esattamente per quale ragione

diviene una figura fantasmatica?.

Nella sua analisi, il filosofo francese, trova come risposta a questa sua domanda, tre ragioni molto

interessanti:

• La prima è riconducibile a Ernt Gombrich, discepolo di Warburg, del quale occulta alcuni aspetti

che risultano pregnanti per la comprensione, già difficile, dello storico tedesco. Nella sua Biografia

intellettuale censurò volutamente tutto quello che riguardava gli aspetti psichici della mente di

Warburg, ovvero la malattia. Ne seguì, quindi, un’assimilazione alquanto misera, anche perchè

Gombrich disincarnò dalla biografia di Warburg un aspetto fondamentale che dava una possibilità

affinchè si potesse avere una comprensione un pò più ampia della storia e della personalità di

Warburg. Infatti Edgar Wind mosse un’aspra critica a questa descrizione perché, secondo lui, non si

può separare un uomo da ciò che, in un certo senso, rappresenta il suo pathos, la sua anima e che

esprime aspetti importanti di una personalità già così complessa. Se si escludono questi aspetti la

comprensione diventa ancora più ardua, anche perché sono risolutivi per molti elementi del

pensiero warburghiano. Se si esclude dall’analisi del pensiero dello storico tedesco la sua malattia

diventa difficile riuscire a comprendere l’importanza delle forme serpentine, che includono lo

studio del Laocoonte e lo studio dei rituali dei Pueblo in New Mexico, che furono per Warburg

un’ossessione talmente profonda da provocare in lui una crisi e di conseguenza la malattia.

• La seconda ragione che accresce l’aspetto fantasmatico riconduce alla vastità del lavoro

warburghiano di cui non si riesce a tracciarne i limiti, visto e considerato la grande quantità di

scritti e di manoscritti inediti che non permettono ancora di strutturare un corpus adeguato all’intera

opera warburghiana e che a forte ragione Didi-Huberman chiama dedalo

• La terza ragione è una ragione di stile, quindi di tempo e dunque più fondamentale. Leggere

Warburg presenta delle difficoltà perché ci si ritrova davanti all’intrecciarsi di tempi eruditi rarefatti

e tempi che Didi-Huberman paragona alle fusées baudelairiane, ai pensieri che esplodono e ai

concetti sperimentati. Aspetti che secondo Gombrich infastidivano il lettore ma che invece

incarnavano lo stile moderno di Warburg.

Vi è, comunque, un altro aspetto che è da inserire in questo statuto di spettro , il linguaggio

warburghiano, connotato da termini cardine, basilari, fondanti in tutto il suo pensiero e lavoro.

Termini che trovano difficoltà ad essere inseriti in un vocabolario che ne dia un equivalente in altre

lingue, esempio possono esserlo i termini Pathosformel e Nachleben. Questo aspetto lessicale era

stato compreso dallo stesso Warburg che, appunto, aveva identificato il suo stile come una ‹‹ zuppa

d’anguilla ››, immagine che riporta alla sinuosità e forza perturbante serpentina del gruppo

scultoreo del Laocoonte, che ossessionò Warburg (e che verrà affrontato nel paragrafo seguente)

come anche lo ossessionarono i serpenti delle raffigurazioni native del New Mexico. Serpenti che

non avevano ne capo ne coda, senza un inizio o una fine, similitudine di un pensiero non facilmente

delimitabile nei suoi confini che da un lato ci parla da un passato che sembra essere superato ma

che dall’altra parte, ci dice Didi-Huberman, si mostra come pensiero profetico, profezia di un

sapere a venire. Questo sapere non è definibile e sulle parole di Robert Klein, le quali definivano

Warburg uno storico capace di uscire dagli schemi delle altre discipline, tanto da far risultare la sua

disciplina come ciò che esiste senza nome, Giorgio Agamben spiega come la scienza sulla quale il

lavoro warburghiano si fonda in realtà non è stata ancora fondata, ma non per mancanza di

razionalità ma bensi, come ci spiega Huberma, per la sua notevole ambizione e ancor di più per la

natura sconvolgente del pensiero di Warburg delle immagini. È ancora più importante il vedere

come Didi-Huberman consideri Warburg come colui che ritorna per necessità, come colui che

“incarna” l’inattuale nietzscheano, come colui che rappresenta il suo stesso lessico e diviene,

quindi, sopravvivenza che diventa urgenza per la storia dell’arte e che viene chiamato fantasma, un

fantasma che per Didi-Huberman ci parla del nostro passato e del nostro futuro perturbandoci con

la sua assenza di delimitazioni epistemologiche

2 Il tempo complesso delle immagini: il Nachleben

Introduzione

‹‹ Che cosa chiedere di meglio a un pensatore che inquietare il proprio tempo, proprio per il fatto che egli

››

stesso ha un rapporto inquieto con la propria storia e con il proprio presente?

Ecco come Didi-Huberman, in un altro suo testo, Come le lucciole. Una politica delle

sopravvivenze, descrive Warburg. Inquietare è il risultato ottenuto da quest’ultimo con la sua

impr

Dettagli
Publisher
A.A. 2019-2020
17 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/04 Estetica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Silvia_Pizzi di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Estetica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Messina o del prof Amato Pierandrea.