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La Chiesa e l'eresia nel Medioevo

Le prime reazioni contro la corruzione del clero, rivolte in particolar modo contro la simonia e il concubinato, iniziarono a manifestarsi intorno al X e XI secolo, attraverso tutta una serie di movimenti di riforma, tanto di natura ereticale e popolare quanto interni alla Chiesa stessa. Tuttavia il desidero di un ritorno alla semplicità della vita evangelica e di un rapporto più intimo e immediato con Dio, desiderio assai diffuso presso gli strati più umili della società laica e il basso clero, poteva essere spesso interpretato come disobbedienza alla Chiesa romana, che si era imposta nel corso dei secoli come unico e solo garante dell'ortodossia. La disobbedienza poi facilmente si traduceva in eresia, e questa era considerata tanto minacciosa che fu condannata come crimen lesae maiestatis da Innocenzo III nel 1199 con la decretale Vergentis in senium, e quindi perseguibile dal potere secolare in quanto.

concepita come un pericolo per la stessa società al pari di ogni altro crimine. Né d'altra parte poteva essere diversamente, poiché la dignità del clero impediva l'esercizio diretto della violenza da parte dei suoi membri, sicché essa doveva di necessità essere delegata al potere secolare anche per questa ragione. Questo comportava delle alleanze di natura politica tra il potere spirituale e quello temporale, a detrimento di quelle istanze di riforma che auspicavano invece una totale rinuncia, da parte della Chiesa, di qualsivoglia pretesa di potere e giurisdizione nelle cose mondane. Una delle vittime più note dell'alleanza tra i due poteri fu certamente Arnaldo da Brescia (1090-1155), catturato dal Barbarossa e consegnato alla Chiesa che, tramite una sentenza di un tribunale ecclesiastico, lo condannò all'impiccagione e al rogo. Il XII e XIII secolo furono attraversati dunque da un numeroconsiderevole dimovimenti riformatori ereticali, quali i Catari, i Valdesi, i Patarini, gli Umiliati e tantialtri, tutti comunque aventi un comune denominatore, ossia la pratica della povertà. L'idea di una Chiesa povera, ossia la realizzazione dell'ideale evangelico, non fu però condivisa solo dagli ambienti ereticali, ma anche da istituzioni subordinate all'autorità ecclesiastica, come i Domenicani e in particolare i Francescani. In effetti fu soprattutto a causa della minaccia catara che Innocenzo III prima (1210), e Onorio III poi (1223), approvarono la regola di San Francesco, in quanto si doveva dar prova ai fedeli che l'autentico spirito evangelico era presente in coloro che, come i Francescani, pur avendo accettato l'assoluta povertà non si erano però resi con ciò ostili alla Chiesa. 3.2) LA DISPUTA SULLA POVERTÀ APOSTOLICA Ora, sebbene la questione della povertà interessò l'Ordine dei Frati

Minori sin dai suoi esordi, fu tuttavia dopo la morte di San Francesco che essa venne esplicitamente tematizzata da un punto di vista teologico e giuridico, non senza contrasti e condanne da parte del clero, in particolar modo nel XIV secolo, quando alcuni membri dell'ala più radicale dei Francescani, ossia gli Spirituali, furono bollati come eretici da Papa Giovanni XXII (1316-1334), ed è proprio in questo contesto che Ockham inizia la stesura delle sue opere politiche, in particolar modo a partire dal 1329, sotto la protezione di Ludovico il Bavaro, cioè un anno dopo essere fuggito da Avignone, dov'era stato convocato per rispondere alle accuse di eresia mossegli dal cancelliere dell'Università di Oxford John Lutterell, insieme ad altri membri dell'Ordine francescano, tra cui il ministro generale Michele da Cesena, Bonagrazia da Bergamo, Francesco d'Ascoli e Enrico di Thalheim.

La povertà doveva essere dunque il tratto identificativo.

del nuovo ordine e dovevariguardare tanto i singoli quanto la comunità stessa. In altri termini, la povertà significava, in conformità al Testamento di San Francesco, la rinuncia ad ogni genere di proprietà, tanto individuale quanto collettiva, diversamente dai monasteri. Tuttavia l'Ordine francescano era destinato a divenire un'istituzione ben radicata e diffusa in tutta l'Europa Occidentale, sicché si presentava ora il problema di coniugare l'istanza di assoluta povertà, che si traduceva nella rinuncia ad ogni proprietà, con le esigenze economiche derivanti dall'allargamento e dall'espansione dell'Ordine stesso. Bisognava cioè riuscire a dare un'interpretazione del Testamento di San Francesco che garantisse la possibilità di un simile accordo. In tal senso si espresse Gregorio IX con la decretale Quo elongati del 1230, in cui si vietava ai frati di essere proprietari di alcunché.conformemente alle intenzioni del fondatore, ma si concedeva loro l'uso di beni di proprietà dei benefattori. Si distingueva per la prima volta in modo esplicito tra proprietas e usus. Questa distinzione sarà fondamentale per tutto il dibattito successivo del XIII e XIV secolo in quanto costituirà la base per la legittimazione dell'Ordine francescano stesso al di là di ogni possibile formulazione giuridica. Le prime reazioni non vennero tuttavia dalla Chiesa, ma dai maestri secolari, che non vedevano di buon occhio, per ragioni di concorrenza, la penetrazione dei due nuovi Ordini all'interno delle università. I più noti oppositori furono Guglielmo di Saint'Amour (1202-1272) e Gerardo d'Abbeville (1225-1272), che criticarono la pretesa da parte dei Francescani di rappresentare, con la loro vita, l'autentico esempio di imitatio christi. Secondo questi due teologi infatti il Vangelo forniva una serie di esempi sufficienti adimostrare che Cristo e i suoi discepoli possedevano dei beni in comune. Né d'altra parte era ammissibile una distinzione tra proprietas e usus, come pure ammettevano i Francescani, perché almeno nel caso dei beni consumabili era impossibile separare l'uso dalla proprietà. Infatti l'uso senza proprietà implicherebbe che la sostanza di un bene da cui ricaviamo un beneficio rimanga inalterata, dopo l'uso stesso. Ma nel caso dei beni consumabili, come il cibo, il loro uso comporta necessariamente anche la loro proprietà, sicché per i Francescani era impossibile, secondo quei due teologi, perseguire la povertà assoluta. Questi argomenti furono ripresi poi da Papa Giovanni XXII e reindirizzati contro quei Francescani più intransigenti, ossia gli Spirituali, che non solo si richiamavano alla distinzione tra proprietà e uso, ma predicavano la necessità di un "uso povero" dei beni, inconformità alla bolla papale Exiit qui seminat di Niccolò III del 1279, nella quale si precisava che ai Francescani era concesso un uso "moderato" dei beni, ossia un uso proporzionato alle necessità legate alla sussistenza del corpo.117 Cfr. Marchettoni 2019, p. 42.118 Cfr. ivi, pp. 44-45.73 L'ala più moderata dei Francescani, i Conventuali, ritenevano d'altra parte che la povertà su cui si fondava l'Ordine non concerneva tanto l'uso che si faceva dei beni, quanto il distacco dello spirito dalle cose mondane. Papa Giovanni XXII intervenne dunque nella questione, a partire dal 1317 con la bolla Quorumdam exigit, nella quale subordinava il voto di povertà a quello di obbedienza, ritenuto il più importante. Nel 1322 poi, in risposta alle obiezioni del Capitolo generale riunitosi a Perugia, il Papa, con la decretale Ad conditorem canonum, assegnò la proprietà dei beni usati dai Frati all'Ordine francescano.119andando in tal modo ad annullare di fatto quella distinzione che era alla base dell'Ordine stesso. Per il Papa infatti era impossibile che l'uso di un bene consumabile non coincidesse, almeno di fatto, con il suo possesso, perché l'uso stesso comporta la distruzione della sostanza di quel bene. Né d'altra parte, per quanto riguardava invece i beni in generale, era ammissibile un semplice uso di fatto (simplex usus facti), perché l'uso di un bene senza alcun riconoscimento giuridico è ingiusto. Infine nel 1323, con la decretale Cum inter nonnullos, il Papa condannò come eretica la proposizione che Cristo e gli Apostoli non avevano proprietà in comune. Agli inizi del 1325, comunque, la situazione era meno tesa, ed entrambe le parti tentarono una mediazione. Tuttavia il conflitto si riaccese poco dopo, a partire dal 1327, quando Papa Giovanni XXII convocò Michele da Cesena ad Avignone per sottoporlo ad un procedimento.

giudiziario a causa della lettera che il ministro generale dell'Ordine aveva redatto durante il Capitolo riunitosi a Perugia. Il timore del papato era dovuto al fatto che i Francescani potevano appellarsi a Ludovico IV il Bavaro, scomunicato nel 1324 per essere stato incoronato imperatore senza l'approvazione del Papa, e trovare in lui un alleato, come poi di fatto avvenne. Ed è proprio in questo contesto che Guglielmo di Ockham incontrò Michele da Cesena, il quale lo sollecitò ad intervenire contro Papa Giovanni XXII. Ockham aderì dunque alle posizioni di Michele e dei Francescani a lui fedeli a partire dal 1327, dopo essersi reso conto che il Papa era caduto in eresia. L'Epistola ad Fratres Minores del 1334, indirizzata ai francescani riunitisi ad Assisi quello stesso anno in occasione del capitolo generale, rappresenta un utile compendio.

Epistola ad Fratres Minores, in Opera Politica, Vol. III, Manchester University press, 1956, p. 6:

“Noveritis itaque (et cuncti noverint Christiani), quod fere quattuor annis integris in Avinione mansi, antequam cognoscerem praesidentem ibidem pravitatem haereticam incurrisse...”

[Sappiano perciò (e lo sappiano tutti i Cristiani) che rimasi ad Avignone per quasi quattro anni interi, prima di rendermi conto che il Papa (di Avignone) era incorso nel peccato di eresia] (Traduzione mia).

74 delle ragioni per le quali Ockham si oppose al Papa. Il principio generale che informa il pensiero politico-ecclesiologico di Ockham, e che sarà poi ricorrente per tutto il Tardo Medioevo fino alla Riforma Protestante, è che il Papa può essere soggetto ad errore e essere criticato, perché le sue decisioni devono in ultima analisi essere conformi alla Sacra Scrittura e devono avere un fondamento in essa. Perciò anche il Papa può cadere vittima dell'eresia.

e ove ciò avvenga si è legittimati a disobbedirgli e re
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A.A. 2021-2022
98 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/03 Filosofia morale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Alexanderrick di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della filosofia medievale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Valente Luisa.