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INTERPRETAZIONE

Grazie alla ricerca sul Gesù storico, la storia ritrovata viene anche chiarita. La prima ricerca ("old quest") risultava dominata da un paradigma di tipo positivistico, con sospetto sulle fonti e sui testimoni. La verità storica di Gesù non andrebbe ricercata nel vangelo, ma al di là del vangelo. La testimonianza è però necessaria per avere accesso all'evento storico. La fede risulta la modalità più adeguata per avvicinarsi al dato storico di cui il vangelo è memoria. Contro quindi un positivismo forte è necessaria una buona interpretazione, tale da non risultare onnipotente.

Si deve parlare di Gesù della storia per indicare un DATO, un'oggettività ricavabile dalla lettura dei documenti (vangeli), a cui è legata la fede cristiana. La ricerca del Gesù della storia risulta funzionale al realismo dell'avvenimento cristiano. Storia e fede sono.

quindi legati.
  • Se il sapere storico/comprensione del fatto non è legato al soggetto, occorre sfatare il mito di una presunta oggettività assoluta. L'atteggiamento del ricercatore che meglio si addice alle narrazioni storiche del N.T. è basato sulla percezione aperta, e non un comportamento chiuso alla testimonianza, che favorisce una presa sul serio dei testi e l'intendere l'intimo significato.
  1. La via della comunità

La mediazione della comunità merita fiducia? Cioè, l'interpretazione che la comunità della Xsa primitiva fa di J, è affidabile? La storia della ricerca del J storico → per "raggiungere" J occorre passare dalla comunità → mettere al vaglio della critica storica la comunità stessa.

  1. tra il J pre-pasquale e il Xto post-pasquale c'è la continuità di una cerchia ristretta di discepoli (apostoli, donne): sono gli stessi che hanno raccolto i detti
e le memorie di J che, come ogni rabbi, veniva ascoltato con venerazione dai suoi discepoli. E che hanno sentito l'esigenza di trasmettere la loro esperienza alle generazioni successive [continuità delle testimonianze]. b) la prima comunità è formata da uomini e donne di tradizione giudaica, che da subito si è data una strutturazione gerarchica e strutturata (i Dodici, la famiglia di J - Giacomo). È ammissibile che qualcuno abbia manomesso i dati per veicolare una falsa immagine di J? E che lo abbiano fatto tutti deliberatamente, senza trovare chi li contraddicesse? Anche nel passaggio dall'aramaico al greco (nella compilazione dei testi) e nella diffusione di una Xsa ellenistica, il cuore del messaggio non cambia, e i legami con la Xsa di Gerusalemme e tra le comunità garantisce una visione comune e "controllata" dai garanti – si vedano le contese tra Paolo e i giudeocristiani [concordia delle testimonianze, purnelladiversità]c) il fatto che le prime redazioni scritte sono di qualche decennio dopo i fatti successi non è un problema per la storicità di quanto raccontato: la trasmissione delle informazioni avveniva normalmente in modo orale, e attraverso dei criteri di "controllo" interno alla comunità si tramandavano solo le informazioni essenziali e veridiche. Quindi, è vero che i libri del NT risentono dei destinatari per cui sono pensati (nel linguaggio, nell'esposizione di alcuni dettagli) ma non possiamo dire che sono solo latestimonianza della predicazione della Xsa primitiva. O, se vogliamo: la predicazione della Xsa primitiva (il kerygma) non è altro che il J storico testimoniato per le nuove generazioni di discepoli [validità della tradizione orale] d) c'è stata una qualche idealizzazione del Maestro di Galilea? Il metodo storico-critico ci permette di risalire agli strati redazionali dei testi biblici: fin dasubito J è riconosciuto come F di Dio, un uomo con prerogative divine: non è stata una rilettura postuma ad averlo "idealizzato". Certo, la risurrezione consente di comprendere meglio quanto aveva detto e fatto (il Xto post-pasquale diventa criterio ermeneutico del J pre-pasquale), ma possiamo dire che già i testi più antichi (frammenti di detti - i logia; testi poetici - gli inni paolini) sono un'attestazione della divinità di J. E l'elaborazione dottrinale, fino al quarto vangelo (il più tardivo) non modifica le linee essenziali della comprensione che la comunità ha di J Xto [antichità dell'attestazione] e) la personalità di J Xto che emerge dagli scritti del NT è coerente, nonostante autori, tempi, linguaggio, generi letterari e destinatari differenti tra i vari testi. Se questi riflettessero solo le esigenze delle comunità a cui vengono destinati, avremmo tanti.

diversi identikit di J. Non è così! [convergenza delle testimonianze].

Inoltre, i testi non contengono anacronismi; c'è continuità di linguaggio tra giudaismo ed ellenismo (strutture linguistiche, simbologie, immagini usate): anche quando si scrive per xni provenienti dal paganesimo, la "giudaicità" di J non viene dimenticata [assenza di anacronismi].

f) nei primi secoli si scrivono anche altri testi su J, si riportano anche altri detti di J: ma è la comunità stessa che non li riconosce come aderenti alla verità, li considera interpretazioni di fantasia o decisamente erronee → apocrifi.

Sono tali proprio perché la Xse non li accoglie nel canone delle letture che si facevano nella liturgia. Sono tardivi, rispetto agli scritti canonici, con preoccupazioni apologetiche o filosofiche (gnostiche) distanti dal mondo culturale della Palestina ai tempi di J: possono essere ritenuti una fonte importante per la storia del Xsmo,

ma non per la conoscenza del Jstorico [irrilevanza degli apocrifi]. 2. La via dei testi Criteri per verificare l'autenticità storica dei vangeli: a) discontinuità: quanto dice o fa J è diverso da quello che si fa al suo tempo (es. la chiamata dei discepoli; la presenza delle donne; le parabole); b) coerenza: esterna – J, resta comunque un giudeo del I secolo: viene circonciso, prega secondo la tradizione, usa modi di dire rabbinici (es. iperboli) / interna – ciò che dice J in alcuni passi dei vangeli non è in contraddizione con altri; c) molteplice attestazione: è presumibilmente attendibile ciò che è presente in più fonti distinte, che si sono strutturate in modo indipendente (sinottici / Giovanni / Paolo). 3. L'immagine di J che emerge dai vangeli (cenni per una cristologia biblica) Non possiamo evincere l'identikit di J solo a partire dai suoi titoli, che sono spesso una sintesi operata dallacomunità:Cristo – Messia – Figlio di Dio – Figlio dell'uomo – Signore(da preferire, cmq, “Figlio dell'uomo”, che è quello più usato da J per parlare di sé).→ “ricostruire” J a partire da quanto ha detto e fatto 1) La predicazione del Regno di Dio È lo scopo centrale della sua missione: dalle prime parole fino all'iscrizione sulla croce. Continuità con la predicazione profetica (il regno di JHWH come realizzazione piena delle sue promesse per il popolo eletto;) / discontinuità: il Regno è già realizzato nella storia ≡ J stesso; il Regno è la condizione di vita piena a cui sono chiamati tutti i popoli senza distinzione; più che la giustizia (predicazione profetica; Battista) il RdD predicato da J è Regno di misericordia e di perdono di tutti i peccatori: di inclusione dei “lontani”. 2) La predicazione in parabole Una delle formepreferite da J per parlare del Regno. Non solo descrittivo, retorico odidattico (non sono "allegorie"): il linguaggio parabolico necessita di essere interpretato →chiede che l'interlocutore si metta in discussione per capire.Non solo parlano di Dio, ma sono il modo in cui Dio si esprime nel suo dialogo con l'uomo.Valore performativo.3) I miracoliO "segni" (quarto vangelo): sono gesti compiuti da J per rendere visibile-presente la potenzadel Regno di Dio.Non servono per credere, ma chiedono di essere capiti in un contesto che è già di fede.Storicità? Difficile da negare [attestazioni multiple].Non va "spiegato" in termini scientifici, perché non è, appunto, un gesto clamoroso chedovrebbe servire per credere, ma un segno della vicinanza di Dio utile a chi già crede(contesto epistemologico per definirli è interno all'atto di fede): infatti, molti anche al tempodi J non credettero invirtù dei miracoli. Vanno compresi piuttosto come evento di rivelazione. 4) La comunità dei discepoli Continuità con il rabbinismo del suo tempo / discontinuità: è J a chiamare; chiede una radicalità senza precedenti; ciò che conta non è solo ciò che dice il Maestro, ma la comunione di vita con lui; nessuno dei discepoli diventa maestro (anzi, J impedisce di usare i titoli come "rabbi" o "guida"). La comunità non è un luogo di trasmissione di sapienza, ma dell'esperienza di una comunione di vita nuova → da qui scaturisce l'esigenza della missione. 5) Pretesa di autorità J non si sottrae al riconoscimento del titolo di rabbi, benché non avesse studiato per farlo (accuse dei farisei; incomprensioni dei nazaretani). Ha un atteggiamento di grande libertà di fronte alla tradizione: interpretazioni nuove della Legge (che, però, dice di non essere venuto adabolire); compie segni ed esorcismi; perdona i peccati; non rispetta il sabato; parla di Dio in un modo inaudito. 6) Il rapporto con il Padre J ha progressivamente acquisito una piena autocoscienza della sua identità come Figlio di Dio, in un modo completamente diverso da come si usava questo titolo in antico (per il popolo eletto; il re; il messia atteso) → rivela una comunione di vita singolarissima. Da qui la sua "pretesa di autorità" e la sua forza nel predicare in parole e segni la misericordia di Dio ≈ Regno. Assai interessante è notare che i vangeli ci attestano numerose volte in cui J prega in solitudine il Padre (da notare anche l'uso aramaico del familiare "abbà"), ma mai ci descrivono J che prega insieme ai suoi discepoli = intimità unica → trasmissione del "Padre nostro" / parole di J alla Maddalena: "Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro". Il rapporto F-P inla dottrina) dell'obbedienza. La cristologia, infatti, ci permette di comprendere il significato profondo dell'obbedienza a Dio e come essa sia strettamente legata alla nostra fede e alla nostra relazione con Dio. La cristologia ci insegna che Gesù Cristo è il Figlio di Dio fatto uomo, che ha vissuto sulla terra in perfetta obbedienza al Padre. Egli ci ha mostrato l'esempio perfetto di obbedienza, offrendo la sua vita per la salvezza dell'umanità. Attraverso la sua morte e risurrezione, Gesù ci ha redenti dal peccato e ci ha aperto la strada per una piena comunione con Dio. La sua obbedienza totale al piano di salvezza del Padre ci ha mostrato che l'obbedienza non è solo una questione di conformità esterna, ma implica anche un profondo impegno interiore e una totale fiducia in Dio. La cristologia ci aiuta quindi a comprendere che l'obbedienza a Dio non è solo un dovere morale, ma è anche un atto di amore e di adorazione verso il nostro Creatore. Essa ci invita a seguire l'esempio di Cristo, mettendo la nostra fiducia in Dio e cercando di conformare la nostra vita alla sua volontà. In conclusione, la cristologia ci aiuta a comprendere che l'obbedienza a Dio non è solo una questione di conformità esterna, ma è un atto di amore e di adorazione che ci permette di vivere una vita piena e significativa alla luce della sua volontà.
Dettagli
A.A. 2019-2020
28 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/03 Filosofia morale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher alessia-grilli di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Teologia I e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università Cattolica del "Sacro Cuore" o del prof Dezza Ernesto.