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BREVE STORIA DELLA DETENZIONE STRANIERA IN ITALIA
4.1 Breve excurus storia della detenzione straniera in Italia
E’ opportuno premettere alcuni, seppur brevi, cenni storici sulla
detenzione femminile, prima di addentrarsi nelle sue problematiche
specifiche. Ineluttabilmente, la storia della delinquenza femminile
s’intreccia con le vicende relative al ruolo sociale assunto dalle donne nei
vari periodi storici ed a come le medesime hanno vissuto quel ruolo. Allo
stesso modo la storia della detenzione femminile rispecchia,
inevitabilmente, l’avvicendarsi dei cambiamenti storici, ma più di tutto
rispecchia la visione maschile di come avrebbe dovuto essere trattata la
donna deviante per poter essere riportata a seguire non solo le leggi dello
Stato, ma anche e soprattutto le regole proprie del suo “status naturae”.
Parliamo di visione maschile proprio perché governi e regimi sono stati
composti sempre prevalentemente da uomini e di conseguenza le leggi
emanate sono state l’espressione della visione maschile del mondo. Fino
41 Regione Marche, Report Carceri 2018, in
https://www.garantediritti.marche.it/storage/2019/01/report_carceri-_2018.pdf 39
agli inizi del XX secolo la misura di gran lunga più applicata, nei confronti
della donna deviante, oltre che della donna criminale, è stata
l’istituzionalizzazione con funzione purificatrice e risocializzante. Le
strutture di contenimento tipicamente femminili si caratterizzavano per
l’ambiguità del luogo di internamento, sia per quanto riguardava le finalità
istituzionali, che oscillavano tra assistenza, beneficenza e repressione, sia
per le cause della segregazione. Dalla documentazione dell’epoca si
deduce che tutte le donne erano potenzialmente istituzionalizzabili:
meretrici, vagabonde, traviate ma anche giovani oneste, povere o ricche,
orfane, derelitte e ragazze madri rappresentavano il prototipo di donna
“meritevole” di trattamento segregante e rieducativo in istituzioni
religiose o assistenziali, per propria supplica o su istanza dei genitori, del
marito o anche di un parente prossimo o del parroco, non
necessariamente a seguito di una infrazione delle regole morali e sociali
ma anche a scopo di tutela preventiva. Tra Seicento e Settecento, per
affrontare i problemi della cosiddetta povertà “pericolosa”, fanno la loro
comparsa un pò ovunque in Europa strutture di internamento quali
“alberghi dei poveri” e “case di correzione”. Tra carcere e casa di
correzione avrebbero dovuto esservi delle differenze, tuttavia la ricerca di
un antecedente storico del carcere e gli innumerevoli internamenti forzati
contribuiscono alla confusione tra questi due tipi di istituzione. E’ sempre
esistita quindi, all’interno dei vari stati in cui era divisa la penisola italiana,
nel periodo in cui l’ideologia penitenziaria stava ancora sviluppandosi
42
una distanza “teorica” tra internamento “correttivo” ed internamento
carcerario. La figura sociale dei poveri, dei vagabondi, a partire dal secolo
XVI diviene sempre più oggetto di interventi di polizia quasi sempre basati
42 Canosa R., Colonnello I., Storia del carcere in Italia dalla fine del ’500 all’Unità, Edizioni Sapere 2000,
Roma, 1984 40
sull’internamento in ospedali, “alberghi”, case di lavoro. Con tali misure i
ceti dominanti fronteggiano quello che considerano una fonte
permanente di turbamento della tranquillità e della quiete pubblica;
anche a Milano, Torino, Roma, Modena sorgono asili, “scuole dei poveri”,
ospizi apostolici ed istituzioni simili. Troviamo notizie specifiche
riguardanti il trattamento riservato alle donne nella bolla “Ad exercitium
pietatis” del 20 maggio 1663, con la quale il papa Innocenzo XII si
proponeva di estirpare la mendicità ordinando la fondazione dell’Ospizio
apostolico dei poveri invalidi. Questo consisteva in tre luoghi distinti: la
fabbrica sistina, nella quale trovavano posto i vecchi di entrambe i sessi; il
S. Michele, dove erano raccolti i fanciulli ed il palazzo di S. Giovanni in
Laterano, dove erano raccolte le zitelle. A quanto pare quest’ultima era
una categoria particolarmente a rischio, oltre ad essere donne povere
queste non erano nemmeno sposate, perciò prive di una tutela maschile
in grado di preservarle da comportamenti “pericolosi”. Nel 1684 la
Compagnia di S. Paolo di Torino fondò l’Opera Del Deposito per “donne
cadute, pericolose o di attuale o imminente scandalo al prossimo”.
L’internamento in questo luogo aveva carattere temporaneo e le sue
regole istitutive suddividevano le donne da accogliere in tre classi: le
pubblicamente prostitute che, tuttavia, non erano ammesse “senza segni
molto chiari di una vera e ben soda conversione, massimamente se già da
molto tempo vivessero in tale stato”; quelle “cadute di fresco, ma non
esposte al pubblico”; infine, “quelle che sono in pericolo prossimo di
43
cadere o in sospetto di già seguita caduta” . L’opera, nel 1742, cadde
sotto la protezione regia sabauda che le dette anche un nuovo nome ossia
“Opera delle Convertite”. Mutarono parallelamente anche le condizioni
43 Cavallo S., Assistenza femminile e tutela dell’onore della Torino del XVIII secolo, in Annali della
Fondazione Einaudi, vol.XIV, anno 1980 41
per la concessione del ricovero ed accanto alle donne che intendevano
“pentirsi” vennero aggiunte quelle “non inclinate a mutar vita”. L’unica
cautela adottata consistette nel mantenere in luoghi separati le ritirate
volontariamente da quelle rinchiuse forzosamente. E’ chiaro che, con
queste regole, tutte le donne che si prostituivano o che erano sospettate
di farlo erano altrettanto passibili di ricovero forzato a discrezione delle
autorità. A causa di questa riunione nel medesimo luogo delle due classi di
“peccatrici” si levarono proteste da parte della congregazione, finché un
ordine regio autorizzò la ricerca di un altro luogo atto ad ospitare le donne
rinchiuse coattivamente; nacque così nel 1750 la nuova opera denominata
“Ritiro delle Forzate”. Avrebbero dovuto esservi rinchiuse “tutte le donne
di malavita, tanto le privatamente che le pubblicamente prostitute, e
pertinaci nella loro disonestà, di qualunque città, luogo e condizione,
purché residenti negli stati di sua Maestà”. Tuttavia, sia per la limitata
grandezza dei locali, sia per la scarsità dei redditi, l’opera non riusciva ad
assolvere appieno ai suoi obblighi e, nelle medesime istruzioni, si
suggeriva di dare preferenza a : “1) le più ben fatte, più avvenenti e più
giovani; 2) le più distinte per nascita e tra queste le abitanti di questa città;
3)…quelle pure che, o per sé o per mezzo di altri, saranno in stato di
44
pagare una conveniente pensione o una parte della medesima” . A
questo punto, quella che poteva essere un’istituzione atta ad incontrare le
difficoltà delle più povere e a “redimerle” dalla loro situazione di degrado,
tende invece ad escluderle perché privilegia coloro che hanno possibilità
economiche e che vengono da famiglie con maggior prestigio. Un’altra
casa per donne, situata “fuori della Porta di Susa” e con capienza di 48
ospiti, fu istituita nel 1787. Il regolamento era molto rigido infatti, dopo la
44 ibidem 42
premessa che le donne in essa ritirate “dovranno persuadersi che non
usciranno sino a che abbiano dati segni costanti di una vera emendazione
del passato loro tenore di vita”, questo stabiliva che ognuna “dovrà
seriamente applicarsi ad eseguire a dovere la porzione e la qualità di
45
lavoro che le sarà destinato dalla signora Madre” . Da tali parole si
deduce che questo internamento forzato equivaleva ad una pena
indeterminata e rinnovabile qualora le istitutrici non avessero riscontrato i
segni costanti dell’emenda. La coattività dell’internamento venne
abbandonata molto più tardi quando, nel 1823 fu istituita da re Carlo
Felice una casa il cui regolamento stabiliva che “Si riceveranno nella casa
di ricovero solamente donne povere o zitelle giuridicamente od
economicamente punite, ovvero colpevoli, ma ravvedute de' loro falli, che
desiderino volontariamente di darsi a stabile lavoro, ed avranno dato non
dubbie prove di pentimento”. Una misura quindi che si pone come
successiva alla carcerazione, non obbligata e non alternativa alla
carcerazione medesima. A Genova venne istituito nel 1664 un albergo dei
poveri con capienza di circa un migliaio di persone; nei codicilli del suo
fondatore (E.Brignole) è possibile conoscere a chi era destinato, ovvero: a
uomini e donne vecchie incapaci di provvedere al proprio sostentamento;
ai “figliuoli spersi, orfani et abbandonati”, alle “povere figlie abbandonate
da parenti e dalla fortuna” perché fossero educate, avviate al lavoro e per
poterle poi sposare o dar loro un’occupazione idonea; alle “adultere, mal
maritate e penitenti che volessero ben fare e sottrarsi da que pericoli che
gli sovrastano et all’anima et al corpo”; non solo, infatti “saranno ancora
ricevute contro loro voglia quell’hora che da tribunali di qualsivoglia foro e
da chi haverà legittimo potere sovra di esse saranno mandate tanto per
45 Canosa, Colonnello, Storia del carcere in Italia dalla fine del ’500 all’Unità, op. cit. 43
occasione di condanna, o sia relegatione quanto sotto qualsivoglia altro
titolo”; infine saranno accolte le donne “gravide che per povertà altri
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rispetti non hanno luogo né comodità per il parto” . Interventi di
internamento verso i poveri sono presenti anche a Bologna dove nel 1693
un editto disponeva che la città fosse “espurgata” dai vagabondi dediti ad
ogni sorta di “sordida attività” con la loro reclusione in case di accoglienza
distinte tra l’opera dei Poveri Mendicanti e, per gli infermi e gli incurabili,
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l’ospedale di Sant’Orsola . Possiamo quindi notare come le donne
“problematiche” fossero una sotto-categoria dei bisognosi di aiuto e/o
correzione, una fascia di deboli tra i deboli, accomunate agli anziani ed ai
ragazzi indipendentemente dalla loro età, poste ancora più ai margini se
non provviste di marito; esse devono “redimersi” e devono stare sotto la
tutela di qualcuno, vengono prese quindi sotto l’ala protettiva
dell’autorità che si adopera per metterle in condizione di potersi sposa