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CAPITOLO SECONDO.
1) Politica estera italiana nei confronti degli Stati Uniti.
Nella politica estera italiana del dopoguerra, la questione americana risulta essere
strettamente legata a quella comunista: il cosiddetto “fattore K” rappresenta un pericolo comune per
Stati Uniti ed Europa, con la paura che si instauri in altri paesi lo spettro del comunismo. Quindi la
politica interna e la politica internazionale in Italia in quegli anni sono inestricabili: l’Italia del
secondo dopoguerra é un paese a sovranità limitata all’interno degli equilibri di Yalta. Il nostro paese
per la sua collocazione geografica si trova sia sulla frontiera est -ovest, sia sulla frontiera nord- sud.
Infatti, a partire dagli anni ’50, ogni volta che all’interno dell’Alleanza Atlantica l’Italia tenta di
assumere un ruolo diverso da quello che le é stato assegnato a tavolino, tutto viene messo in
discussione. Insomma nei delicati equilibri strategici dell’area, l’Italia é la portaerei della Nato nel
Mediterraneo e deve rimanere imprigionata in quel ruolo. Se, nei conflitti nord-sud, provasse ad
assumere una posizione autonoma, ci sarebbero immediatamente spinte di carattere geopolitico volte a
riconsegnarla in quel suo ruolo sostanzialmente subalterno. Gli interessi dell’Italia a livello nazionale
si scontrano con molteplici interessi geopolitici. Il nostro ruolo nel Nordafrica, in particolare in Libia,
lede sicuramente gli interessi economici anglo-americani. Ed è per questo che gli ambienti vicini alle
multinazionali mal sopportano l’attivismo del presidente dell’Eni, e cercano di contrastarlo
alimentando situazioni di instabilità all’interno del nostro Paese.
Il pericolo comunista viene amplificato da parte di parte dell’amministrazione
americana, i Falchi, per giustificare l’estendersi di misure repressive e di reazione. Dopo il 1954
cambia la fisionomia del nostro sistema partitico, che si fonde con lo Stato, con l’occupazione da
parte della Democrazia Cristiana degli organismi pubblici, attraverso il “voto di scambio”: economia
e politica diventano strumentali l’una all’altra, e questa risulta essere un’anomalia tutta italiana. Nel
1956 il Ministro per le Partecipazioni Statali sancisce l’intervento statale in economia col sistema
degli aiuti pubblici. E qui si inserisce la figura di Enrico Mattei: egli é un cattolico progressista, in
quella fase ancora accesamente antiamericano, ex capo di una serie di Brigate Partigiane ( circa 15
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000 persone). Nel 1945 la stessa Dc lo nomina Commissario Liquidatore dell’Azienda Generale
Italiana Petroli. Entra in politica alle elezioni del 1948, eletto deputato fino al 1953, anno in cui si
dimette in ossequio alla legge sulle incompatibilità parlamentari, appena votata proprio contro di lui,
per assumere la Presidenza del neonato Ente nazionale Idrocarburi (Eni). Mattei rappresenta
emblematicamente l’intervento dello Stato nell’economia. La politica energetica che Mattei tenterà di
fare prima con l’Agip, poi con l’Eni ha come scopo quello di affrancarsi dagli Usa e dal cartello
petrolifero. E in effetti viene trovato un piccolo filone di petrolio in Val Maggiore, che in seguito si
rivela di pessima qualità e talmente esiguo da rendere persino esorbitanti gli eventuali costi di
estrazione. Dopo la legge “truffa” cade il governo di De Gasperi: é la fine del centrismo e del
grande compromesso tra laici e moderati. In questo quadro Mattei ottiene la Presidenza dell’Eni ed
entra immediatamente in competizione con le grandi multinazionali dell’energia. Egli usa il denaro
dell’Eni per corrompere i politici ed avere il via libera ai suoi progetti e alla sua politica spregiudicata
delle risorse pubbliche. Si passa perciò da un consenso ad personam ad un consenso popolare
alimentato dal denaro pubblico, con forme di ricatto e corruzione vera e propria.
Ma la nuova politica energetica di Mattei si scontra inevitabilmente con l’ atavica
carenza di materie prime in Italia, ed egli cerca di spezzare il monopolio delle grandi compagnie. Nel
frattempo si scopre che l’Italia é ricchissima di gas metano di qualità pregiata, e il Mattei politico
saprà abilmente sfruttare questo elemento per distrarre l’opinione pubblica dal petrolio e offrire un
argomento di cui parlare.
La politica avviata da Mattei di sfruttamento intenso del metano e della costruzione
dei metanodotti non infastidisce affatto i petrolieri del cartello né gli amministratori americani
dell’Erp (European Recovery Program, sigla del Piano Marshall). Questo atteggiamento va tenuto
costantemente presente per escludere che Mattei dovesse in questo periodo lottare
contemporaneamente contro di loro e contro il grande capitale italiano. In quel periodo un articolo del
New York Times ipotizza che gli Stati Uniti vogliano addirittura sospendere gli aiuti all’Italia se
l’Agip ottenesse l’esclusiva della ricerca nella Valle Padana. In realtà gli Americani lasciano il
metano a Mattei e, per ora, solo di metano si tratta.
Soprattutto nei primi anni ’60 l’Eni diventa strumento di politica neoatlantica, ma
non necessariamente di diplomazia parallela: l’Eni di Enrico Mattei agisce in sintonia con il disegno
del governo, ma non sempre la sua politica risulta coincidente e coordinata con quella della Farnesina.
La “disordinata” politica di Mattei permette di giustificare il governo italiano in alcune azioni di
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politica estera, ricorrendo alla scusa dell’ “incontrollabilità” di Mattei: per questo la signora Luce,
ambasciatrice statunitense a Roma, arriva a parlare di “matteismo” come un grave problema sia per la
politica e l’economia interna, sia per la politica estera italiana per quanto concerne i rapporti con gli
Stati Uniti. Lei stessa nutriva una forte ostilità per Mattei. Mattei insomma agisce in proprio, con un
non dimostrabile assenso del governo italiano.
Mattei, partigiano bianco, compromesso al massimo con la Dc fin dall’armistizio
dell’8 settembre 1943, eletto deputato democristiano nel 1948, usa la politica come strumento: egli
non é un politico, ma un imprenditore con uno spiccato senso per gli affari e per il senso pratico,
piuttosto che per la sottile arte della diplomazia. Vuole che l’Italia, carente in risorse energetiche, si
svincoli per quanto possibile dal controllo delle grandi compagnie petrolifere ( per lo più americane):
l’Italia deve ritagliarsi una posizione quanto più possibile autonoma nel panorama internazionale
dell’approvvigionamento energetico. Gli Usa risultano spaventati, più che da reali perdite
economiche, da possibili destabilizzazioni degli scenari, e non sono disposti a cedere alle pretese di
autonomia avanzate da Mattei.
Mattei cerca di tessere rapporti di fornitura energetica con Paesi dell’area
mediterranea e mediorientale, non curandosi della logica bipolare. E’ del marzo 1957 l’accordo Sirip (
società irano-italiana petroli): l’Eni sconvolge il principio del 50% e accorda il 75% degli utili
all’Iran. E’ importante sottolineare che in questa situazione ha l’appoggio del governo e della
diplomazia italiana e che usa allo scopo capitali pubblici.
Presidente del Consiglio è Segni, che all’ambasciatore statunitense a Roma
Zellerback non è in grado di rendere conto dell’ accordo tra l’Eni e l’Iran. All’epoca Ministro per le
Partecipazioni Statali Ferrari Aggradi sostiene di non essere a conoscenza della stipula del contratto,
che comunque è stato fatto senza consultarlo. A posteriori possiamo affermare che era possibile
limitare lo strapotere di Mattei: lasciandogli la Presidenza Eni, ma non quella di tutte le compagnie
del Gruppo: Agip, Snam, …Segni e Fanfani lo lasciano fare per ottenere da lui sostegno politico e
finanziario; egli influenza la politica e compra la stampa per le sue attività commerciali. Anche per
questo Mattei é il “petroliere di stato” malvisto e odiato dalle “Sette Sorelle”.
Il progetto di staccare l’Italia dagli anglo-americani non è poi così assurdo, ma
manca la forza economica: dopotutto l’Eni in tutte le sue concessioni in giro per il mondo di petrolio
ne ha trovato ben poco. Mattei allora pensa di rivolgersi all’ Urss per ottenere forniture di greggio a
basso costo. Ma l’Italia è legata a scelte ben precise di ordine politico, ma anche di ordine economico
con il Piano Marshall, ai suoi detrattori Mattei ricorda che nessuno ha avuto da ridire quando la Fiat
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vendeva alla Cina cuscinetti a sfera per mandare avanti i carri armati contro gli americani durante la
guerra di Corea. Durante l’amministrazione Eisenhower ci sono continue pressioni sul governo
italiano per fermare Mattei, ma il Ministro degli Esteri Pera si rifiuta di agire, se non quando agirà di
sua iniziativa in contrasto con il governo. Nel 1960 gli Stati Uniti esercitano forti pressioni sul
Ministro per le Partecipazioni Statali, Giorgio Bo, per conoscere gli accordi che Mattei stipula con
l’Urss per la fornitura di greggio a basso costo: infatti questo accordo scandalizza il cartello e mette in
pericolo il Patto Atlantico, ma il Ministero si dichiara impotente. Fino al 1962, anno della morte di
Mattei, i rapporti dell’Eni con l’Urss creano tensioni tra il governo di Roma e quello di Washington:
all’amministrazione americana circolano persino voci su un possibile “Soviet Oil Offensive”, un
programma che prevede la penetrazione sovietica nei mercati dei paesi del blocco occidentale
attraverso forniture di greggio a bassi costi; gli Stati Uniti ritengono che sia in atto un’offensiva
sovietica di questo tipo, e che l’Italia ne sia responsabile. L’Italia adduce come scusa di non poter
intervenire ad allontanare Mattei dall’Unione Sovietica per non far rivoltare il Pci. Gli Usa pensano
addirittura che Mattei voglia far uscire l’Italia dalla Nato e porsi a capo dei Paesi Non Allineati.
Nel gennaio 1961 Kennedy diventa Presidente degli Stati Uniti. È l’inizio di una
nuova politica, quella del “red carpet”: ovvero si cerca di coinvolgere Mattei e di creare con lui un
modus vivendi. Nel 1963, due mesi prima della morte di Mattei, Kennedy chiede a Fanfani, in visita
ufficiale a Washington, di dare più spazio all’azione di Mattei. Con la morte del Presidente dell’Eni,
viene a cadere per l’Italia un problema di politica estera: Fanfani fa sapere che l’Eni metterà a punto
un nuovo accordo “riparatore” con gli Stati Uniti.
Siamo negli anni ’50 e ’60: lo Stato italiano non sta facendo nessuna politica estera:
Mattei racconta di aver aspettato per 10 giorni a Mosca che il Ministro da Roma gli accordasse