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MSF,
60 , 2005, p. 80.
, I frutti dell’ipocrisia
MSF
61 38
periferica della città una fabbrica abbandonata da anni viene occupata da
lavoratori stagionali. Si tratta di cittadini africani per lo più provenienti da Paesi
anglofoni. Un piccolissimo gruppo di lavoratori si è installato nella fabbrica in
della struttura per sub
maniera permanente e lavora come comitato di gestione
affittare posti letto durante la stagione di raccolta e fornire contatti con
potenziali datori di lavoro. Durante i mesi in cui si concentra la raccolta delle
arance, la struttura arriva ad ospitare oltre 150 persone. 62
La situazione non cambia se consideriamo l’inchiesta successiva
condotta sempre da Medici Senza Frontiere nel 2008. Il 90% dei
lavoratori immigrati vive in strutture abbandonate, le istituzioni
sono a conoscenza della problematica abitativa, ma nonostante le
numerose segnalazioni anche da parte di Medici Senza Frontiere non
viene realizzato nulla per garantire condizioni abitative migliori.
63
L’iper precarietà lavorativa, l’assenza di documenti e la condizione
di lavoratori stagionali, fa sì che per i braccianti non ci sia alcuna
possibilità di accedere a servizi e abitazioni di qualità. Il loro
risiedere quindi in veri e propri ghetti abbassa ancora di più i costi
del lavoro, visto il notevole contenimento dei costi di riproduzione,
acqua, gas e cibo. In più i ghetti diventano
in termini di affitto, luce,
anche il luogo in cui si ritrovano i “clienti” interessati alla compra
vendita di documenti e servizi, offerti da vari tipi di intermediari.
Nel 2007 la Prefettura di Reggio Calabria, insieme ad altri enti ed
associazioni, aveva firmato un protocollo d’intesa per trasformare
l’ex cartiera in un centro d’aggregazione, per riqualificare un’area
che ospitava, durante la stagione di raccolta, migliaia di braccianti.
Ma nonostante le dichiarazioni sulla stampa nulla è stato fatto per
cambiare realmente le sorti dell’ex cartiera. Infatti l’asta pubblica
Ivi, pp. 82-83.
62 Una stagione all’inferno , 2008, p. 21.
MSF,
63 39
per l’assegnazione del bene non è stata mai effettuata. L’unico
64
intervento da parte delle istituzioni sarà l’installazione, sempre nel
2007, di 8 bagni chimici e 6 docce, mentre nell’area dell’ex fabbrica
Rognetta, dove si accampano circa 200 lavoratori ogni anno, non
verrà fatto nessun intervento nonostante non vi sia nemmeno un
tetto. La gestione emergenziale del lavoro stagionale diviene cronica
e questo di fatto aumenta esponenzialmente la possibilità di trarre
ancora più profitto dal lavoro dei braccianti .
65
Il 20 luglio del 2009 un incendio divampa nell’ex cartiera e
L’incendio porterà via i documenti, i
provoca quattro feriti. 66
risparmi e i vestiti dei pochi lavoratori immigrati presenti. Il
commissario prefettizio alla guida del comune di Rosarno
sgombererà l’edificio che dopo poche ore verrà anche murato per
Centinaia di lavoratori immigrati si
non consentirne l’accesso.
67
sposteranno in un’altra fabbrica abbandonata, l’ex Opera Sila, un
altro edificio fatiscente. La mancanza di spazi in grado di ospitare
68
dignitosamente i braccianti, venuti a Rosarno da tutta Italia per la
raccolta pochi mesi dopo l’incendio, segnerà ancora di più la loro
rabbia. 69
Se le condizioni di vita dei braccianti sono queste, c’è da chiedersi
anche quale sia la loro paga giornaliera e analizzare il fenomeno del
caporalato, che è un tema sempre all’ordine del giorno quando si
discute del lavoro degli immigrati nelle campagne. Riuscire ad avere
L. Galesi, A. Mangano, cit., p. 32.
64 A. M. Garrapa, cit., pp. 129-130.
65 Ivi, p. 103.
65 A. Mangano, “Terrelibere.org”, 3 settembre 2009.
Murata la cartiera di Rosarno,
66 la Repubblica”, 8 gennaio 2010
Così bruciò il dormitorio, “
67 Arance
R. Cosentino, Un anno dopo. Ora gli africani vivono nei silos
, 15 dicembre 2009, in
68
insanguinate - Dossier Rosarno , 2010, pp. 65-66.
Intervista ai lavoratori presenti nell’ex cartiera nel giorno dell’incendio. L’intervista è stata
69
realizzata da Afrikanews (https://www.youtube.com/watch?v=4lYZmoS2Qw4&t=116s). 40
innanzitutto perché il lavoro
un quadro dettagliato però è difficile,
stagionale si articola secondo criteri molto complessi che portano
inevitabilmente a non avere uno schema chiaro, esemplificativo per
tutte le situazioni. Sicuramente i braccianti che lavoravano nella
Piana non percepivano un salario pari a quello indicato dall’accordo
collettivo per operai a tempo determinato, e cioè 42,96 euro
giornalieri per 6 ore e mezza di lavoro al giorno e un totale di 39 ore
settimanali. La paga giornaliera in realtà si aggirava intorno alle 25-
30, in alcuni casi limite 35, euro al giorno. C’è però da considerare
anche un importante fetta di lavoratori che lavorava a cottimo, cioè
in base a quante cassette di agrumi venivano raccolte, generalmente
un euro a cassetta se clementine o mandarini e 50 centesimi a
cassetta se arance. Non si sa quale delle due forme sia la più diffusa,
probabilmente entrambe vengono utilizzate dai proprietari in
maniera strategica, utilizzando la paga a cottimo quando è
puntare sulla quantità piuttosto che sulla qualità del
importante
prodotto, e viceversa sulla paga alla giornata quando si punta a
Inoltre vi è anche una
scegliere un buon prodotto sull’albero.
70
differenziazione di salario tra lavoratori. Ovviamente quelli italiani,
anche se poco presenti, guadagnano di più, a seguire ci sono i
lavoratori stranieri comunitari, provenienti dall’est europeo, e i
lavoratori maghrebini, soprattutto quelli stanziatisi nella Piana da
più tempo. Infine vi sono i lavoratori subsahariani, che sono quelli
intermittenza, e molti di loro
meno pagati e che lavorano anche ad
solo per due-tre giorni a settimana. Questi ultimi vengono chiamati
a lavorare nelle squadre quando serve il massimo impiego di forza-
lavoro nelle campagne, quindi nei momenti più intensi della
A. M. Garrapa, cit., p. 103.
70 41
raccolta, per poi essere messi da parte nel resto delle fasi. In un certo
senso si può dire che una grossa parte di lavoratori sub-sahariani
finisce per essere un esercito agricolo di riserva che guadagna meno
sistema che prefigura quelle che
e con un lavoro molto più flessibile,
vengono definite “gerarchie delle differenze”. 71
I lavoratori vengono ingaggiati in maniera diversa a seconda
anche del produttore e delle sue esigenze. Alcuni proprietari hanno
una loro rete di lavoratori che nel tempo si è consolidata e alla quale
fanno riferimento, oppure si affidano ad una sorta di capi-squadra in
contatto con altri lavoratori; altri ancora ingaggiano i braccianti alla
giornata direttamente sulle strade, agli incroci, e nelle piazze. 72
Il caporalato non è un fenomeno che nasce oggi, con la forza
lavoro immigrata, ma che è presente nelle campagne del Meridione
almeno dalla fine dell’800, da quando il mondo agricolo è entrato
nel sistema capitalistico. Il caporale ha il compito di reclutare i
73
lavoratori soprattutto nei periodi di lavoro più intensi, organizzando
tempi e modalità. Si occupa molto spesso del trasporto e della
soluzione abitativa per il lavoratore e in più gli fornisce diversi
servizi, come nel caso calabrese, consistente nell’aiuto per superare
gli ostacoli burocratici relativi ai documenti.
Esistono diversi tipi di caporali e di caporalato. Vi sono caporali
che svolgono esclusivamente il ruolo di “trasportatori” trattenendo
per sé una cifra dal salario del lavoratore a fine giornata, che può
andare dai 3 ai 5 euro. Ci sono caporali che oltre al trasporto, in
Ivi, p.124.
71 Il caporalato come sistema: un contributo sociologico, in Rigo, E. (a cura di),
D. Perrotta, Leggi,
72
migranti e caporali. Prospettive critiche e di ricerca sullo sfruttamento del lavoro in agricoltura,
Pacini, Pisa, 2015, pp. 15-22.
Vecchi e nuovi mediatori. Storia, geografia ed etnografia del caporalato in
D. Perrotta,
73
agricoltura
, in “Meridiana”, (2018), n. 78, pp. 193-220. 42
quanto persone di fiducia del proprietario, monitorano il lavoro dei
braccianti affinché la produzione rispetti le esigenze del padrone e
i lavoratori trattenendo
che a fine giornata pagano per conto proprio
per sé una somma di denaro, generalmente più alta rispetto ai
caporali che eseguono solo la funzione di trasportatori. Questi ultimi
vengono percepiti con maggiore diffidenza da parte dei lavoratori,
sia per il fatto che si tratta di una figura che dirige il lavoro nelle
campagne al pari di un proprietario, e sia perché, essendo pagati in
base ad accordi con il padrone, il caporale deve far lavorare al
massimo i braccianti, perché solo ottenendo una produzione che
rispetti gli accordi presi con il padrone lui riceverà un buon
compenso, oppure, e questo è quello che suscita la rabbia dei
braccianti, li sottrarrà dalle loro giornate di lavoro, truffandoli.
Infine ci sono caporali che sono anch’essi braccianti a tutti gli effetti,
ma che sono dotati di una macchina e magari risiedono da diverso
tempo nella zona; avendo una buona conoscenza della lingua
assumono un ruolo di guida all’interno della produzione,
selezionando i lavoratori molto spesso in base all’etnia e gestendo i
“conflitti” con i proprietari. Fungono in un certo senso da mediatori
“sindacali”, cercando di rappresentare le esigenze di entrambe le
parti.
74
In conclusione, nell’analizzare le condizioni di vita dei braccianti
immigrati nella Piana di Gioia Tauro, non possiamo dimenticare
tutte quelle vittime di cui sappiamo pochissimo, in alcuni casi solo i
nomi, che sono state aggredite, intimidite, ferite più o meno
gravemente e a volte uccise. Ripercorreremo quindi per sommi capi
Il lavoro agricolo immigrato nel Mezzogiorno e il caso
Sul peso del caporalato cfr. E. Pugliese,
74
di Rosarno , in “Fondi Migranti” (2012), n.3, Franco Angeli, pp. 17-20. 43
la storia di queste violenze e di queste atrocità fino al 2010, senza
dimenticare però che anche dopo i “fatti di Rosarno” le brutalità e le
ingiustizie sono continuati. In molti si sono spesi in analisi sul ruolo
della criminalità organizzata in queste spedizioni punitive ai danni