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Attuazione della decisione quadro sul MAE nel nostro ordinamento

La decisione quadro sul Mandato di Arresto Europeo (MAE) è stata attuata nel nostro ordinamento con la legge 22 aprile 2005, n. 69. L'articolo 18 di questa legge prevede una serie di motivi che rendono obbligatorio il rifiuto della consegna. In particolare, il comma 1, lettera r), è la disposizione che ha inteso dare specifica attuazione all'art. 4, punto 6, della decisione quadro.

La presente questione di legittimità costituzionale riguarda la limitazione del rifiuto al solo cittadino italiano. I giudici rimettenti hanno evocato il parametro dell'art. 117, primo comma, della Costituzione, facendo applicazione, peraltro, dei principi della giurisprudenza costituzionale in ordine al complessivo rapporto tra il diritto dell'Unione europea e il diritto italiano, affermati e ribaditi in forza dell'art. 11 Cost. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la questione di legittimità costituzionale va "scrutinata avendo"

Riguardo anche ai parametri costituzionali non formalmente evocati [...], qualora tale atto faccia ad essi chiaro riferimento, sia pure implicito [...], mediante il richiamo dei principi da questi enunciati" (ex multis sentenze n. 170 del 2008, n. 26 del 2003, n. 69 del 1999, n. 99 del 1997).

Questa Corte, fin dalle prime occasioni nelle quali è stata chiamata a definire il rapporto tra ordinamento nazionale e diritto comunitario, ne ha individuato il "sicuro fondamento" nell'art. 11 Cost. (in particolare, sentenze n. 232 del 1975 e n. 183 del 1973; ma già in precedenza, le sentenze n. 98 del 1965 e n. 14 del 1964). È in forza di tale parametro, collocato non senza significato e conseguenze tra i principi fondamentali della Carta, che si è demandato alle Comunità europee, oggi Unione europea, di esercitare in luogo degli Stati membri competenze normative in determinate materie, nei limiti del principio di attribuzione.

È sempre in forza dell’art. 11 Cost. che questa Corte ha riconosciuto il potere-dovere del giudice comune, edell’amministrazione, di dare immediata applicazione alle norme comunitarie provviste di effetto diretto inprima ancoraluogo di norme nazionali che siano con esse in contrasto insanabile in via interpretativa; ovvero di sollevare questione dilegittimità costituzionale per violazione di quel parametro costituzionale quando il contrasto fosse con norme comunitarieprive di effetto diretto (sentenze n. 284 del 2007 e n. 170 del 1984). È, infine, in forza delle limitazioni di sovranità consentitedall’art. 11 Cost. che questa Corte ha riconosciuto la portata e le diverse implicazioni della prevalenza del diritto comunitarioanche rispetto a norme costituzionali (sentenza n. 126 del 1996), individuandone il solo limite nel contrasto con i principifondamentali dell’assetto costituzionale dello Stato ovvero dei diritti inalienabili della

persona (sentenza n. 170 del 1984). Quanto all'art. 117, primo comma, Cost., nella formulazione novellata dalla riforma del titolo quinto, seconda parte della Costituzione, questa Corte ne ha precisato la portata, affermando che tale disposizione ha colmato la lacuna della mancata copertura costituzionale per le norme internazionali convenzionali, ivi compresa la Convenzione di Roma dei diritti dell'uomo escluse dalla previsione dell'art. 10, primo comma, Cost. (sentenze n. 348 e 349 dele delle libertà fondamentali (CEDU), 2007). L'art. 117, primo comma, Cost. ha dunque confermato espressamente, in parte, ciò che era stato già collegato all'art. 11 Cost., e cioè l'obbligo del legislatore, statale e regionale, di rispettare i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario. Illimite all'esercizio della funzione legislativa imposto dall'art. 117, primo comma, Cost., è tuttavia solo uno degli elementi.

diritto dell'Unione europea, rapporto che, complessivamente considerato e come rilevanti del rapporto tra diritto interno disegnato da questa Corte nel corso degli ultimi decenni, trova ancora "sicuro fondamento" nell'art. 11 Cost. Restano, infatti, ben fermi, anche successivamente alla riforma, oltre al vincolo in capo al legislatore e alla relativa responsabilità internazionale dello Stato, tutte le conseguenze che derivano dalle limitazioni di sovranità che solo l'art. 11 Cost. consente, sul piano sostanziale e sul piano processuale, per l'amministrazione e i giudici. In particolare, quanto ad eventuali contrasti con la Costituzione, resta ferma la garanzia che, diversamente dalle norme internazionali convenzionali (compresa la CEDU: sentenze n. 348 e n. 349 del 2007), l'esercizio dei poteri normativi delegati all'Unione europea trova un limite esclusivamente nei principi fondamentali dell'assetto costituzionale e nella

Maggior tutela dei diritti inalienabili della persona (sentenze n.102 del 2008, n. 284 del 2007, n.169 del 2006).

Nel caso in esame, i rimettenti hanno correttamente valutato, in primo luogo, l'esistenza del contrasto tra la norma7.1. impugnata e la decisione quadro, esplicitando le ragioni che precludono l'interpretazione conforme. La motivazione sul quanto numerose decisioni della stessa Corte di cassazione configurano un "diritto vivente" in punto è plausibile, in ordine all'applicabilità nella specie ed alla portata dell'art. 18, comma 1, lettera r), in particolare alla non riferibilità di questa norma allo straniero dimorante o residente in Italia. Peraltro, tale interpretazione risulta suffragata sia dalla lettera della disposizione, che dai lavori preparatori, espressivi dell'intento specifico di escludere per il MAE in executivis ilaltri Paesi dell'UE, esclusione oggetto di uno specifico emendamento.

Di consegna dei cittadini diNe consegue, anzitutto, che il contrasto tra la normativa di recepimento e la decisione quadro, insanabile in viainterpretativa, non poteva trovare rimedio nella disapplicazione della norma nazionale da parte del giudice comune,trattandosi di norma dell'Unione europea priva di efficacia diretta, ma doveva essere sottoposto alla verifica dicostituzionalità di questa Corte. In secondo luogo, gli atti nazionali che danno attuazione ad una decisione quadro conbase giuridica nel TUE, ed in particolare nell'ex terzo pilastro relativo alla cooperazione giudiziaria in materia penale,non sono sottratti alla verifica di legittimità rispetto alle conferenti norme del Trattato CE, ora Trattato FUE, cheintegrano a loro volta i parametri costituzionali artt. 11 e 117, primo comma, Cost. che a quelle norme fanno rinvio.MAE, l'art. 12 del TCE, oggi art. 18 del TFUE, che vieta ogniNella specie rileva, infatti, oltre alla

Decisione quadro sulla discriminazione in base alla nazionalità nel campo di applicazione del Trattato. Anche sotto tale profilo è corretto il ricorso al giudice delle leggi, dal momento che il contrasto della norma con il principio di non discriminazione di cui all'art. 12 del Trattato CE, non è sempre di per sé sufficiente a consentire la "non applicazione" della confliggente norma interna da parte del giudice comune. Invero, il divieto in esame, come si evince anche dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, pur essendo in linea di principio di diretta applicazione ed efficacia, non è dotato di una portata assoluta tale da far ritenere sempre e comunque incompatibile la norma nazionale che formalmente vi contrasti. Al legislatore dello Stato membro, infatti, è consentito di prevedere una limitazione alla parità di trattamento tra il proprio cittadino e il cittadino di altro Stato membro, a condizione che sia proporzionata.

E adeguata, come, ad esempio, in una fattispecie quale quella che ci occupa, la previsione di un ragionevole limite temporale al requisito della residenza del cittadino di uno Stato membro diverso da quello di esecuzione (Corte di giustizia, sentenza Wolzenburg). Non solo, ma a precludere al giudice comune la disapplicazione della norma interna in ipotesi incompatibile, vale anche la circostanza che nella specie si verte in materia penale e che un provvedimento straniero che dispone la privazione della libertà personale a fini di esecuzione della pena nello Stato italiano non potrebbe essere eseguito in forza di una norma dell'Unione alla quale non corrisponda una valida norma interna di attuazione (sentenza n. 28 del 2010, punto 5).

L'ipotesi di illegittimità della norma nazionale per non corretta attuazione della decisione quadro è riconducibile, pertanto, ai casi nei quali, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non sussiste il potere del giudice comune.

di «nonapplicare» la prima, bensì il potere–dovere di sollevare questione di legittimità costituzionale, per violazione degli artt.Cost., integrati dalla norma conferente dell’Unione, laddove, come nella specie, sia impossibile11 e 117, primo comma,escludere il detto contrasto con gli ordinari strumenti ermeneutici consentiti dall’ordinamento.

8.– La questione di costituzionalità va dunque scrutinata alla luce dei principi sopra richiamati e della giurisprudenza dellaCorte di giustizia in ordine all’interpretazione della decisione quadro. Al riguardo, infatti, rileva che le sentenze della Cortedi giustizia vincolano il giudice nazionale all’interpretazione da essa fornita, sia in sede di rinvio pregiudiziale, che in sede diprocedura d’infrazione (sentenze n. 168 del 1991, n. 389 del 1989 e n. 113 del 1985).

Ora, la Corte di giustizia ha affrontato il tema specifico del rifiuto di consegna oggetto dell’art. 4,

punto 6, della decisione quadro nelle già qui ricordate sentenze Wolzenburg, di cui le ordinanze di rimessione della Corte di cassazione hanno le conclusioni dell’avvocato generale, e Kozlowski. La prima sottolinea che il motivo di rifiuto stabilito all’art. 4, esaminato punto 6, della decisione quadro, al pari dell’art. 5, punto 3, della stessa, mira a permettere di accordare una particolare importanza alla possibilità di accrescere le opportunità di reinserimento sociale della persona ricercata una volta scontata la pena cui essa è stata condannata (punti 62 e 67); e con questo preciso intento lo Stato membro è legittimato a limitare il rifiuto che abbiano dimostrato un sicuro grado di inserimento nella società di detto Stato membro» (punto 67). D’altra parte, è questo uno degli obiettivi principali («favorire il reinserimento sociale della persona condannata») del sistema

dicooperazione giudiziaria in materia penale, fondato sul reciproco riconoscimento enunciato dal Consiglio europeo di Tamperenel 1999, com’è ribadito anche all’art. 3 della decisione quadro n. 909 del 2008, sopra ricordata.
Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
13 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/14 Diritto dell'unione europea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher martatodeschi di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Istituzioni di Diritto dell'Unione Europea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Trento o del prof Woelk Jens.