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Citando il medico, psichiatra e psicoanalista austriaco W.Reich :

“Il fascismo, nella sua forma più pura, è la somma di tutte le reazioni irrazionali del

carattere umano medio (…). L’intensità e la vasta diffusione di questi “pregiudizi

razziali” sono la prova che essi affondano le loro radici nella parte irrazionale del

carattere umano. la teoria della razza non è una creazione del fasciamo. Al contrario:

il fascismo è una creazione dell’odio razziale e la sua espressione politicamente

organizzata. Di conseguenza esiste un fascismo tedesco, italiano, spagnolo,

anglosassone[vi].”

La psicoanalisi aiuta nella spiegazione dei comportamenti politici delle masse: l’analisi del

carattere, lo studio della famiglia patriarcale e piccolo-borghese e della sua funzione altamente

repressiva, permettono di capire la struttura caratteriale di tipo autoritario, indotta dal potere

dominante tra le masse, che le ha portate a interiorizzare il rispetto e l’accettazione del capo, estremo

esito di quella castrazione dell’individuo iniziata dalla famiglia. Reich sostiene che il fascismo non è

altro che l’atteggiamento emozionale fondamentale dell’uomo autoritariamente represso dalla civiltà

delle macchine e dalla sua concezione meccanicistico-mistica della vita. Dunque a suo avviso è il

carattere meccanicistico-mistico degli uomini del tempo a creare i partiti fascisti e non viceversa.

La cultura spinge l’individuo ad identificarsi con la natura di “categorizzatore”, questo stimola

l’uomo alla ricerca di punti fissi, l’uomo adora restare nel piano del noto, del conosciuto e parte

prevenuto nei confronti dell’universo intero. Il sentimento della paura è prodotto dalla perdita delle

certezze a cui l’uomo si radica, sia sul piano pratico, ma ancor prima nella dimensione mentale.

L’uomo patisce quando si trova dinnanzi qualcosa che non conosce; da qui l’esigenza delle società di

creare gruppi di appartenenza in cui i suoi individui possano riconoscersi. Difficilmente l’uomo esce

da questo schema di autoidentificazione predeterminato dal piano culturale.

2.2.L’ identificazione dell’Io, non sempre è come sembra

Ci sono alcuni casi in cui le persone si rispecchiano in un gruppo diverso da quello in cui la

società le inserirebbe. Così mostra Rebecca Tuvel in un articolo pubblicato nel marzo del 2017 su

Hypatia, una rivista accademica di filosofia femminista molto quotata, scritto in difesa del

transrazzialismo. È un articolo molto denso che fa subito scalpore, in cui ci si domanda se sia

legittimo che alcune persone possano identificarsi in una razza diversa dalla loro; o per meglio dire,

una razza diversa da quella in cui la società le cataloga a partire dal loro aspetto, o dai loro antenati.

L’articolo parte dal caso di Rachel Dolezal presentata come donna nera figlia però di genitori

bianchi, la Tuvel mette a confronto il caso con la più ampia questione del transgender, in cui allo

stesso modo qualcuno non è contento del suo status, in questo caso biologico, e decide di cambiarlo.

Il punto centrale della tesi della filosofa è che la persona può rendersi conto del proprio “punto di

vista”, e questo talvolta può opporsi a ciò che è espresso sul piano dell’ apparenza: la pelle di un certo

colore o l’appartenenza ad un sesso piuttosto che ad un altro. Il caso in questione mostra come Rachel

Dovezal vivendo con fratelli neri adottati dai genitori e avendo avuto altre esperienze che l’hanno

immersa in un contesto sociale tipico della cultura afroamericana, tra cui il matrimonio con una

persona di colore, si sia resa conto che per lei sarebbe stato meglio identificarsi con la razza nera. Il

caso del transgender sembra essere diverso infatti la Tuvel cita uno studio fatto nel 2008, che

,

dimostra la particolare biologia di una transgender[vii] mentre, per quel che riguarda la razza

l’appartenenza dipende da cause sociali, di appartenenza e non ha origini biologiche. Dunque sia

l’appartenenza ad una razza, che non muove da differenze biologiche, sia l’appartenenza ad un sesso

che muove da queste ultime sembra dipendere dalle esperienze che nella vita accadono e dal contesto

sociale in cui l’individuo è inserito. Dunque il concetto centrale è quello dell’autoidentità: si vuole

essere di un certo genere sessuale per delle convinzioni, per un fatto che dipende dal contesto.

Si può cambiare razza così come si può cambiare sesso e questo implica che ci sia una sorta

di creazione identitaria dell’individuo, che in un certo senso si sente legato a degli avi ideali, astratti

con cui ci si sente più in sintonia rispetto ad altri. Freud già parlava di questo in “Analisi terminabile e

interminabile”, affermando che il nostro Io è precondizionato dalle esperienze delle generazioni che

ci hanno preceduto; sottoforma di simboli, tali esperienze condizionano lo sviluppo dell’Io. Questa

tesi per così dire autogenetica permette di spiegare la ragione per cui se pur apparentemente si

appartiene ad una certa razza o sesso, si assume un punto di vista “diverso” in conseguenza ad un

certo tipo di esperienze. Per sentirsi più in tono con una razza piuttosto che con un'altra ci devono

essere delle esperienze , degli elementi che facciano scattare la convinzione di voler condividere

l’esperienza di una cultura. si può ipotizzare che per Rachel Dovezal sia accaduto proprio questo: le

forti emozioni vissute a contatto con la cultura nera l’hanno riallacciata ad un passato ideale e questo

ha portato all’autoidentificazione di Rachel in una nera, piuttosto che in una bianca. Freud pose

l’attenzione sul fatto che l’essere umano nasce con alcune caratteristiche anatomiche, ma poi deve

conquistare la sua identità sessuale e non è detto che l’anatomia le corrisponda.

La posizione di Sally Haslanger esposta nell’articolo di Tuvel dimostra che riconoscersi in

una donna o in un uomo è un fatto che dipende dal trattamento sociale. Una persona è una donna se e

solo se è stata inserita in una certa dimensione politica, economica, giuridica e sociale che la

inquadrino come bersaglio femminile. Trasponendo il discorso al piano delle razze, appartenere ad

una razza o ad un’altra dipende da come l’individuo si sente, dal suo Sè sociale. È la presunzione

dell’individuo, la convinzione interna di avere un certo ruolo, un certo legame con certi avi, un certo

tipo di trattamento sociale che lo inserisce in una certa razza o genere. Il processo di creazione

dell’identità personale è condizionato in maniera decisiva dall’idea che l’individuo si crea del contesto

esterno e ciò dipende dal contesto in cui è inserito, come un circolo vizioso.

Già Nietzsche era consapevole del processo per cui il contesto determina l’individuo; si

intuisce da una massima rivolta alla sorella che voleva sposare un ebreo : “

Non avere rapporti con

nessuno che prenda parte alla bugiarda impostura delle razze[viii]”

Tuvel cerca di provocare, di sottolineare incongruenze logiche che possano aiutare non tanto a

raggiungere conclusioni indistruttibili, quanto a comprendere meglio i nostri stessi valori e i nostri

processi cognitivi. Invece quello che succede è lo scatenarsi di una colossale “caccia alle streghe” in

cui Tuvel è accusata di fare “violenza” al mondo transgender e delle donne di colore. Perché se non

esistono differenze tra le razze, è così difficile per qualcuno accettare che una persona voglia cambiare

razza? Perché è uno scandalo cambiare razza, e non lo è cambiare sesso? Cambiare di razza crea

scalpore laddove la cultura stimola molto le persone nella direzione di una gerarchia raziale: lì è

difficile vivere senza tale concetto, sarebbe come vivere senza il concetto di tempo. Il piano delle idee

che si sviluppano nella cultura si radicano fortemente negli individui a discapito della pura variabilità

naturale.

Il problema sorge quando nascono scale di valori, e questo è fortemente determinato dalla dimensione

sociale: una politica economica che vuole mantenere le distanze e differenze tra paesi sviluppati, in

via di sviluppo e sotto sviluppati, si fa forza su tale concetto . A tal punto Z. Bauman nel testo “Vite di

[ix]

scarto” parla della vulnerabilità e dell’incertezza umana come la prima causa della ragione

d’essere di ogni potere politico:

I timori ufficialmente ispirati giocano sulle stesse debolezze umane che stanno dietro il “timore

cosmico” di Bacthin(…). Ma rendere le persone insicure e ansiose è il compito cui si sono

dedicate prevalentemente in questi ultimi mesi la Cia e l’Fbi(…). I rifugiati sono stati additati

come una sinistra minaccia transnazionale alla sicurezza nazionale(…). La paura del terrorismo,

nuova zecca, viene fusa e cementata con l’odio già radicato, ma continuamente bisognoso di

nuovo alimento, per gli “scricconi”. Così si prendono due piccioni con una fava e si arma la

crociata in atto contro gli «scrocconi del Welfare» di una nuova e invincibile arma di

intimidazione di massa.”

Nell’analisi della genealogia della paure è evidente come sia il potere politico a stimolare la società a

mantenere le barriere tra razze. Trasformati in un pericolo per la sicurezza, gli immigrati offrono un

comodo bersaglio alternativo per le apprensioni nate dalla improvvisa precarietà sociale; una valvola

per lo sfogo e per l’ansia che tali apprensioni non potevano non provocare.

La percezione distratta degli stimoli esterni ha generato preconcetti negli individui che si

comportano di conseguenze andando inconsciamente a favorire la dinamica politica che li spinge ad

avere quegli atteggiamenti. Mi rendo conto che pur non utilizzando la parola razza, ed essendo molto

lontana dall’ottica di un razzista, se cammino nella notte ed incontro tre persone la mia reazione non è

la stessa se riconosco soggetti bianchi o di colore; non stupisce che sei gli individui sono di colore

vengo assalita da una sensazione di paura, che però non è per nulla motivata, per lo meno non dalla

ragione.

3.2 Questione di metodo di apprendimento

Ci sono dei concetti che sono stati convenzionalmente accettati per un lungo periodo

storico, tale è quello di razza; questo ha reso possibile l’insinuarsi di tale astrazione nella

mente come categoria di conoscenza; alla base c’è un modo di approcciare al mondo

attraverso una ben precisa idea di sé. Dovremmo inserire il concetto di razza tra le categorie

kantiane? Come

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Publisher
A.A. 2020-2021
17 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/06 Storia della filosofia

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher vicolina di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della filosofia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Pasini Enrico.