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RISSINO A ISCOPERTA EL E ULGARI LOQUENTIATrissino fu il maggiore avversario della teoria bembiana. Tradizione vuole che egli, attorno al 1524, avesse presentato aFirenze il De Vulgari Eloquentia di Dante, dopo averlo tradotto in italiano. Gli avversari contestarono subito l'autenticità diquel libro. Come gli altri esponenti della teoria cortigiana, Trissino era convinto che la lingua volgare nonpotesse essere identificata nel fiorentino, ma fosse costituita da parole comuni ad ogni parte d'Italia.X - R A T D T E D BEAZIONI LLE EORIE I RISSINO I EMBODa parte toscana e fiorentina si trattava di contrapporre qualcosa di solido alle argomentazioni di Trissino e di Dante. Maanche di Bembo, opposizione quest'ultima che risultava quasi impossibile. La più interessante reazione fiorentina al DeVulgari Eloquentia rimane senz'altro quella di Machiavelli. Nel suo trattato Discorso o dialogo intorno alla nostra linguaviene introdotto Dante stesso, a dialogare
Con Machiavelli, facendo ammenda degli errori commessi scrivendo il De Vulgari Eloquentia. Machiavelli intendeva stabilire una volta per tutte il primato naturale dell'idioma di Firenze. Si sviluppava così l'idea di una naturale purezza della lingua fiorentina, e le divergenze fonetiche e morfologiche delle altre parlate italiane, raffrontate al fiorentino, venivano giudicate difetti, vizi. Machiavelli, al contrario di altri letterati toscani, non dubitava dell'autenticità del trattato di Dante, altrimenti non avrebbe sprecato tempo per controbatterne le tesi. Al contrario di Machiavelli, Tasso apprezzò molto il trattato di Dante. La sua simpatia per il trattato non è certo casuale, infatti egli, non filofiorentino, dovette sostenere una dura polemica con l'Accademia Della Crusca. Si può concludere dicendo che tutti coloro che furono avversi al primato della lingua fiorentina si appoggiarono al De Vulgari Eloquentia.
XII - I P D P FL
ROBLEMA EL RIMATO IORENTINOL’Ercolano di Benedetto Varchi
Nella seconda metà del Cinquecento, l’opera più importante dedicata alla lingua fu L’Ercolano di Benedetto Varchi, fiorentino. Ne L’Ercolano vengono trattati tutte le opere che avevano avuto peso nel dibattito cinquecentesco: le Prose della volgar lingua di Bembo, Il Castellano di Trissino e il De Vulgari Eloquentia di Dante. Varchi non è affatto bendisposto verso il trattato di Dante e ne parla soprattutto per insinuare dubbi sulla sua autenticità. Uno dei suoi obiettivi principali è confrontarsi con la teoria di Bembo e correggerla in un senso nuovo. Le due diverse teorie di Trissino e di Bembo concordavano nello scartare la lingua viva di Firenze. La rilettura di Bembo condotta da Varchi fu una sorta di cavallo di Troia che servì per reintrodurre nel dibattito il fiorentino vivo, dandogli un ruolo e una dignità. Varchi non perde l’occasione di ribadire
che il trattato di Dante è un falso, ma tuttavia, nella sostanza, segue l'impianto del De Vulgari Eloquentia in maniera tanto fedele da far dubitare che quell'opera gli sembrasse davvero così ingenua e innocua. Nel L'Ercolano si trova anche un discorso filosofico sulla natura e sull'origine del linguaggio: era la natura che aveva dato origine alla pluralità del linguaggio, non la Torre di Babele, e la pluralità non andava intesa come punizione (questo era il senso del racconto biblico della Torre di Babele). La teoria linguistica continua articolandosi in dieci quesiti. - Nel I quesito si stabilisce che cosa sia una lingua. - Nel II si chiede da che cosa si riconoscano le lingue e che cosa le caratterizzi. - Con il III quesito si passa a una classificazione delle lingue. - Il IV quesito affronta il problema del rapporto tra lingua e scrittori e si chiede se siano gli scrittori a fare le lingue o viceversa. - Il V si chiede se è daattribuire ai barbari invasori il merito di aver provocato la trasformazione che ha portato dal latino al volgare. - Il VI è connesso al V, in cui si chiede se il volgare sia una nuova lingua e se l'antico latino sia guasto e corrotto. - Il VII cerca di stabilire quanti linguaggi compongano la lingua volgare, cioè da dove provengono le parole del fiorentino. - L'VIII quesito si chiede se la lingua si debba imparare dagli scrittori o dal popolo. - Il IX quesito indaga come si giudichi quale lingua sia più bella. - Il X è dedicato alla questione del nome da attribuire alla lingua volgare. Varchi accetta la designazione di volgare e respinge, ovviamente, quella di lingua cortigiana o italiana. Lionardo Salviati e i fondamenti del purismo Salviati, negli Avvertimenti della lingua sopra il Decamerone (1584), collocò, accanto alle Tre corone, molti autori minori, i quali non avevano avuto altro merito se non quello di esser vissuti nel Trecento e diessere fiorentini. Salviati insiste sulla decadenza attraversata dalla lingua fiorentina moderna rispetto all'antica. Se per Bembo la grandezza del passato era frutto di una reale valutazione dei meriti letterari di alcuni scrittori, per Salviati il Trecento si trasformava in una gabbia: il Trecento diventava atto di fede. Erano così stabiliti i fondamenti del purismo, che stanno, appunto, nell'ammirazione del parlato antico, imbalsamato nella scrittura, giudicato migliore di quello di oggi. L'impostazione di Salviati passò al Vocabolario della Crusca. Il dominio fiorentino della lingua Nel 1564, Salviati aveva invitato se stesso e i colleghi dell'Accademia della Crusca a far barriera contro coloro che volevano sottrarre a Firenze il dominio della lingua. Salviati traeva motivo di vanto dal fatto che a Venezia, Napoli, Milano si facessero sforzi per imparare il fiorentino e che i nobili cercassero di parlarlo. Riemergeva il primato qualitativo del fiorentino.sia rispetto agli altri dialetti, si rispetto alle altre lingue europee.La Crusca e il suo Vocabolario
Il Vocabolario della Crusca fu il principale oggetto di discussione linguistica nel corso del seicento. Si scatenarono fin dalla prima edizione polemiche attorno ai criteri seguiti nella compilazione, ma nessuna altra opera fu capace di farle davvero concorrenza. Nel vocabolario era macroscopica l'assenza di un autore come Torquato Tasso, accusato da Salviati di scrivere male, di usare parole straniere e di ignorare il fiorentino. Gli autori modello erano invece tutti coloro che avevano scritto nel Trecento, ma il merito non andava a loro, ma al secolo aureo. La Crusca abbondava di sinonimie, molto spesso inutili e che complicavano la vita a chi consultasse il vocabolario per trarne un'informazione sicura e univoca.
Le osservazioni critiche al Vocabolario della Crusca
Un notevole oppositore del vocabolario fu Paolo Beni, autore de L'Anticrusca e intimo amico del Tasso, di cui
degli autori del trecento, per dimostrare che già nell'uso trecentesco si trovano oscillazione che fanno dubitare della coerenza di quel canone. Un altro avversario della Crusca fu Emanuele Tesauro. Nel suo Il cannocchiale aristotelico propone una teoria moderna della lingua. Ma la Crusca si mostrava palesemente avversa alla modernità.
XV - C S -L DONCEZIONI TORICO INGUISTICHE EL SETTECENTO
La riscoperta di Dante nel Settecento: il pensiero di Gravina
Nel seicento, nonostante l'opposizione di celebri letterati, ci fu tuttavia un trionfo della Crusca, che veniva usata da tutta e risultava insostituibile. Solo nel Settecento la teorizzazione linguistica fu davvero capace di percorrere nuove strade. Il rinnovamento si ricollegò in parte alla teoria cortigiana. Il primo esempio di rivalutazione di questa teoria si ha in Gian Vincenzo Gravina, nel suo Ragion Poetica, che, come dichiara il titolo, vuole essere una ricerca sui principi che regolano la poesia:
ciò che noi in chiave moderna definiremmo una teoria della letteratura. Gravina dichiara che la lingua nobile, di livello alto, è destinata alla letteratura, mentre la lingua volgare è plebea. Giambattista Vico e la teoria poetica della lingua La teoria linguistica di Vico ha il suo cardine nell'ipotesi delle tre età: degli Dei, degli Eroi e degli Uomini. Solo la terza età, quella degli uomini, possiede una lingua nel senso vero e proprio del termine. La lingua degli Dei è infatti muta: essa consiste in rituali religiosi non parlati e in gesti simbolici magico-rituali. Anche il linguaggio degli Eroi non è parlato, ma è fatto di azioni che hanno valore metaforico. Le tre età, intese come una sorta di chiave filosofica per interpretare la storia, trovano di fatto una verifica concreta nel percorso della civilizzazione, perché le nazioni, secondo Vico, sono state mute all'inizio e si sono spiegate inizialmente.Attraverso gli atti del corpo. Si potrebbe, dunque, escludere Vico da un profilo sulla questione della lingua, ma se lo si estende alla concezione della lingua in genere, Vico non va dimenticato.
XVI - I C I FL CONFRONTO ON L RANCESE
La polemica Orso-Bouhours
All'inizio del Settecento una polemica tra Orso e Bouhours aveva messo a rumore l'ambiente letterario. Bouhours aveva rivendicato al francese lo statuto di lingua della nuova comunità europea, vantandone il primato e accusandol'italiano di essere un idioma adatto unicamente alla poesia d'amore e al melodramma. Alle repliche del marchese Orchisi aggiunsero presto quelle di numerosi intellettuali italiani.
La teorizzazione del primato della lingua d'oltralpe
Di fatto, nel Settecento, la cultura francese continuò il suo progresso. Nel 1784, l'Accademia di Berlino, premiò un saggio del francese Rivarol ispirato a un unico principio: il francese era e doveva diventare la lingua
dell’intero mondo civile, invirtù del suo indiscutibile vantaggio qualitativo. I francesi cercarono di esportare la loro lingua, imponendola all’estero,spesso anche in modo autoritario.L’ordine naturale e il genio delle lingueIl