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4. QUANDO LA REALTÀ DIVIENE FICTION: SQUADRA
ANTIMAFIA – PALERMO OGGI 3
4.1 Le produzioni “antenate”
Spesso le produzioni televisive italiane si sono poste come mezzo di
conoscenza, o di semplice racconto, di fatti realmente accaduti. In un paese
dove la parola Mafia ancora si pronuncia a fatica e con timore, si registra un
alto numero di fiction televisive che sono improntate al racconto della guerra
di mafia degli anni ‟80, degli arresti di boss mafiosi, di stragi come quella di
Capaci e di Via D‟Amelio, costate la vita ai Giudici Giovanni Falcone e Paolo
Borsellino.
La prima che ha raccolto clamoroso successo è stata sicuramente La Piovra,
che venne trasmessa dal 1984 al 2001, diretta da vari registi, per un numero
complessivo di dieci miniserie. Delle fiction poliziesche italiane, è
sicuramente un prodotto che ha raccolto grande consenso di pubblico,
ottenendo una media di 10 milioni di spettatori, con punte anche di 14 .
30
Nello specifico si tratta di una fiction che ha una particolare evoluzione
narrativa, grazie alla quale viene raccontata l‟espansione dei molteplici
tentacoli della criminalità organizzata, intrecciando gli interessi di
quest‟ultima con la politica, la finanza nazionale e internazionale. La Piovra 5
e 6 vennero ritenute, a torto o a ragione, le due serie più “pericolose”, perché
trattando delle vicende di cronaca di quegli anni, insinuavano nel pubblico il
dubbio (legittimo) che la vera mafia non fosse quella degli uomini in coppola
e lupara, ma qualcosa di più complesso.
Milly Buonanno definisce La piovra come «la risposta italiana a Dallas»,
perché ha ripreso la formula narrativa di Dallas e l‟ha rielaborata nel modo
più congeniale alla tradizione e alla cultura produttiva nazionale, creando
così una formula seriale nuova .
31
Dati ottenuti dalla consultazione della pagina dedicata di Wikipedia.
30
http://it.wikipedia.org/La_piovra_(serie_televisiva)
Milly Buonanno, Sulla scena del rimosso: il dramma televisivo e il senso della storia, Ipermedium, Napoli, 2007
31 80
Altro esempio lampante di fiction documentario sulla realtà, è senza dubbio
Il capo dei capi, miniserie televisiva in sei puntate, andata in onda
nell‟autunno 2007. La fiction racconta la storia del noto boss malavitoso
Totò Riina, capo della cosiddetta frangia mafiosa dei Corleonesi, e della sua
ascesa al potere, con la scalata ai vertici di Cosa Nostra. In onore del vero, va
però detto che la fiction ha ricevuto numerose critiche da personaggi di
spicco da sempre impegnati nella lotta mafiosa. Primo fra tutti, il pm di
Palermo Antonio Ingroia, ha criticato la fiction, asserendo che «Fiction come
Il capo dei capi possono essere dannose perché creano un‟iconografia
positiva dei mafiosi». Ma aldilà delle critiche, bisogna dire che è stata un
fiction sicuramente molto seguita, arrivando a toccare punte di share del
29,98%; senza contare anche l‟apprezzamento espresso proprio da Totò
Riina, che si è detto compiaciuto dell‟interpretazione del suo personaggio
fattane dall‟attore Claudio Gioè (che ritroviamo in Squadra Antimafia –
32
Palermo oggi, nei panni dell‟uomo di legge Ivan Di Meo).
Il 13 e 14 gennaio 2008 sono andate in onda due puntate di un‟altra fiction,
L’ultimo padrino, considerato dai più il sequel de Il capo dei capi, che
prosegue la storia fino all‟arresto di un altro importante boss mafioso,
Bernardo Provenzano.
Le fiction sopra citate rientrano nella categoria di prodotti che utilizzano
come fonte di ispirazione la cronaca giornalistica e giudiziaria. Il modello,
l‟emblema del dramma italiano di attualità sociale rimane tutt‟ora La piovra.
Anche se ad oggi è meno frequente di quanto lo fosse un decennio fa, la
cronaca giornalistica continua ad ispirare la fiction. Alcuni esempi? Ultimo
(improntato sulla cattura del boss Totò Riina), L’attentatuni (sulla strage di
Capaci), Cuore di donna (ispirato alla morte in terra afghana della giornalista
Maria Grazia Cutuli), L’ultimo dei Corleonesi (sulla cattura di Bernardo
Provenzano). Gli eventi a cui, più o meno liberamente, le storie si ispirano,
sono accaduti in un tempo già trascorso: il dramma televisivo non può
Dati ottenuti dalla consultazione della pagina dedicata di Wikipedia. http://it.wikipedia.org/Il_capo_dei_capi
32 81
catturare l‟attualità, o almeno l‟attualità evenemenziale, della cronaca
giornalistica, se non restituendocela “dopo” che è passata .
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Per poter trattare degnamente i fatti di attualità sono nati programmi come
Report e Blunotte – Misteri italiani. La prima è una trasmissione televisiva
condotta da Milena Gabanelli che si occupa di inchieste giornalistiche ed è
trasmessa da Rai 3. Negli anni si è occupata delle più svariate vicende di
cronaca accadute nel Belpaese, con il supporto dei suoi collaboratori, tutti
giornalisti freelance come lei.
Anche Blunotte è un format televisivo, condotto da Carlo Lucarelli, che
propone la ricostruzione in forma narrativo-documentaristica dei delitti
irrisolti e delle vicende poco chiare più o meno famose che negli anni si sono
succedute in Italia.
Ma perché i telespettatori italiani si fanno mordaci consumatori di prodotti
mediali che rievocano vicende mafiose, piaghe sociali che ancora
sanguinano, frutto della recente storia italiana? Perché le fiction di carattere
poliziesco, liberamente ispirate a fatti realmente accaduti, stuzzicano sempre
l‟attenzione dello spettatore italiano, di ogni fascia d‟età?
Se chiediamo ad un uomo adulto cinquantenne perché guarda questo tipo di
prodotto televisivo, ci sentiremmo rispondere che «è guardando le cose
sbagliate avvenute in passato che possiamo evitare che accadano ancora in
futuro». Un ragazzo della mia età invece, risponderà che «io non c‟ero, non
posso sapere per quali motivi hanno avuto luogo stragi mafiose come quella
di Capaci o di Via D‟Amelio, magari guardando questi film, rendo onore a
personaggi che hanno fatto la storia d‟Italia, cercando di capire come è stato
possibile che un‟organizzazione malavitosa arrivasse al punto di mettere a
ferro e fuoco un‟intera regione, senza che lo Stato muovesse un dito per
fermarla».
Non stupisce quindi che fiction ispirate alla cronaca e a fatti storici
realmente accaduti, continuino a riscuotere un sempre maggiore successo
tra il pubblico.
Milly Buonanno, Sulla scena del rimosso: il dramma televisivo e il senso della storia, Ipermedium, Napoli, 2007
33 82
Quindi è per questo che, in un Paese come il nostro, in cui ancora è vivido il
ricordo delle stragi mafiose, degli anni di piombo, della strategia della
tensione e degli attentati delle brigate rosse, si continuano a guardare
prodotti mediali che traggono libera ispirazione dalla cronaca. Per tenere vivo
il ricordo di fatti che non devono più accadere.
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4.2 I film documentario: “Ilaria Alpi, il più crudele dei giorni”
“Ilaria Alpi, il più crudele dei giorni” è un film del 2003 diretto da Ferdinando
Vicentini Orgnani. Questo film ricostruisce l‟ultimo mese di vita di Ilaria Alpi,
giornalista Rai e del suo operatore di ripresa Miran Hrovatin, uccisi a
Mogadiscio, in Somalia, il 20 marzo 1994.
Gli attori che hanno lavorato al film sono:
Giovanna Mezzogiorno nei panni di Ilaria Alpi;
Rade Serbedzija è Miran Hrovatin;
Erika Blanc interpreta Luciana Alpi, madre della giornalista;
Giacinto Ferro è Giorgio Alpi, padre di Ilaria;
Angelo Infanti è Giancarlo Marocchino;
Amanda Plummer è Karin, una giornalista;
Andrea Renzi è Francesco, amico di Ilaria;
Tony Lo Bianco è il generale Loy;
Luca Biagini interpreta il generale Carmine Fiore.
Questo film è valso alla protagonista, Giovanna Mezzogiorno, il premio
Nastro d‟argento 2003, come migliore attrice protagonista.
4.2.1 Intervista al regista Ferdinando Vicentini Orgnani
Il 27 novembre 2003, per il sito www.reti-invisibili.net, nella sezione dedicata
ad Ilaria Alpi, il giornalista Francesco Barilli intervista il regista Ferdinando
Vicentini Orgnani in merito al film da poco uscito, interamente ispirato agli
ultimi giorni di vita di Ilaria e Miran. Riporto il testo integrale dell‟intervista:
Francesco Barilli: Come sei arrivato a decidere di fare un film sulla
vicenda Alpi/Hrovatin?
Ferdinando Vicentini Orgnani: «Il film mi è stato proposto dal produttore
Gherardo Pagliei…è un progetto di cui si parlava da anni, passato di mano in
mano… Erano state scritte 4 o 5 sceneggiature prima di quella che ho scritto
con Marcello Fois. Inizialmente avevo dei dubbi, si presentava subito come
una storia molto complicata da gestire, ma poi approfondendo la vicenda ci
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siamo subito appassionati e abbiamo iniziato a scrivere la sceneggiatura. Ci
siamo attenuti scrupolosamente alla documentazione del caso,
mantenendone i significati anche quando abbiamo deciso delle varianti per le
esigenze del racconto cinematografico… e abbiamo riempito i vuoti con una
nostra lettura, dopo quasi due anni di convivenza emotiva e professionale
con questa storia e con i suoi protagonisti. È stato un lavoro molto
complicato perché pieno di “paletti”. Uno slalom continuo tra la verità dei
fatti, le esigenze del racconto cinematografico, il processo ancora in corso e
quindi un divenire continuo rispetto alle interpretazioni delle testimonianze,
delle prove, delle omissioni, dei depistaggi e degli strani comportamenti,
spesso contraddittori, delle persone direttamente o indirettamente coinvolte».
F.B.: Quale è stato il tuo rapporto con i genitori di Ilaria, e come hai
interagito con loro nel corso delle riprese?
F.V.O.: «Molto intenso e allo stesso tempo discreto. Si sono fidati di me e
dell‟idea che gli ho prospettato su come avevo intenzione di portare avanti il
film, limitando il campo all‟ultimo mese della vita di Ilaria Alpi e Miran
Hrovatin, ma approntando una struttura narrativa per poter saltare avanti e
indietro nel tempo e cercare di dare un‟interpretazione, una chiave di
lettura.»
F.B.: Immagino che te l’avranno già chiesto in molti, e che sarai quasi
stufo di ripeterlo, ma quali sono state le difficoltà che hai affrontato
per fare questo film? Parlo, ovviamente, non tanto o non solo di
difficoltà tecniche o logistiche, ma di pressioni e/o interferenze
avvenute durante o dopo la lavorazione.
F.V.O.: «Ho molto insistito con i produttori per avere nel film dei veri somali
per interpretare alcuni ruoli chi