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Ogni paziente vive e affronta la malattia in modo soggettivo e unico: si

attiva un processo di adattamento alla nuova condizione fisica, che

comporta una trasformazione radicale nella vita del paziente.

Adattarsi alla malattia significa fronteggiare due compiti principali:

• la malattia stessa, facendo fronte ai trattamenti (costrizioni, effetti

collaterali..) e ai problemi ad essa connessi (dolori, astenia..), e

cercando di sviluppare relazioni positive con l’équipe medica;

• le modificazioni che la malattia ha introdotto nella vita, mantenendo il

miglior equilibrio possibile.

Pazienti diversi sono persone diverse per età, patologie ed estrazione

sociale e culturale che mettono in atto un insieme molto vario di

reazioni e comportamenti diversi di fronte alla sofferenza. Il modo di

reagire al proprio stato di salute o di malattia, così come lo sviluppo, il

decorso e la prognosi stessa della malattia oncologica sono influenzati

dall’interazione di diversi fattori: di tipo biologico, psicologico e sociale :

l’età, il sesso, lo stato sociale ed economico della famiglia, il rapporto

con il medico e le istituzioni sanitarie il quale può essere basato sulla

fiducia reciproca e su una comunicazione sincera e aperta oppure può

essere un rapporto prevalentemente tecnico e poco umano; il supporto

esterno, l’ambiente che circonda il paziente e che lo aiuta ad affrontare

la malattia; gli atteggiamenti assunti dinanzi alla malattia, che

dipendono da come il paziente interpreta la propria sofferenza e dai

significati che attribuisce alla malattia; le risorse interiori della persona,

le strategie di coping, le motivazioni, i valori e i ruoli che la persona

possiede (Pangrazzi, A., 2006). In base a questi fattori, che rendono

unico e specifico il vissuto di ogni paziente che si trova ad affrontare

una diagnosi di cancro, si delineano un’ampia varietà di prospettive di

fronte alla sofferenza.

La psichiatra Elisabeth kubler Ross, considerata la pioniera degli studi

riguardanti i malati terminali negli anni ’60, durante i suoi anni di lavoro

a contatto con i morenti, dopo aver intervistato molti pazienti, ha

illustrato il primo modello esplicativo che definisce le dinamiche

psicologiche più frequenti della persona che affronta una malattia

cronica e potenzialmente mortale, dividendola in cinque fasi:

FASE DELLA NEGAZIONE O DEL RIFIUTO: fase iniziale, il paziente

rifiuta la verità e ritiene impossibile di avere proprio quella malattia. Il

processo di negazione del proprio stato può essere funzionale al malato

per proteggerlo da un’eccessiva ansia per la propria morte e per

prendersi del tempo necessario per organizzarsi. E’ una difesa che però

diventa sempre più debole, con il progredire della malattia, qualora non

si irrigidisca e non raggiunga livelli patologici di disagio psichico.

FASE DELLA RABBIA: dopo la negazione iniziano a manifestarsi

emozioni forti quali rabbia e paura, che esplodono in tutte le direzioni,

investendo i familiari, il personale medico, Dio. La frase più frequente è

“perché proprio a me?”. E’ una fase molto delicata dell’iter psicologico e

relazionale con il paziente. Rappresenta un momento critico che può

essere sia il momento di massima richiesta di aiuto, ma anche il

momento di rifiuto, della chiusura e del ritiro in sé.

FASE DEL PATTEGGIAMENTO: è la fase del compromesso, durante

la quale la persona cerca di trovare un accordo, la persona inizia a

verificare cosa è in grado di fare, ed in quali progetti può investire la

speranza, iniziando una specie di negoziato, che a seconda dei valori

personali, può essere instaurato sia con le persone che costituiscono la

sfera relazionale del paziente, sia con le figure religiose. In questa fase,

la persona riprende il controllo della propria vita e cerca di riparare il

riparabile.

FASE DELLA DEPRESSIONE: rappresenta un momento nel quale il

paziente inizia a prendere consapevolezza delle perdite che sta

subendo o che sta per subire e di solito si manifesta quando la malattia

progredisce ed il livello di sofferenza aumenta. Questa fase viene

distinta in due tipi di depressione: una reattiva ed una preparatoria. La

depressione reattiva è conseguente alla presa di coscienza di quanti

aspetti della propria identità, della propria immagine corporea, del

proprio potere decisionale e delle proprie relazioni sociali, sono andati

persi. La depressione preparatoria ha un aspetto anticipatorio rispetto

alle perdite che si stanno per subire. In questa fase della malattia la

persona non può più negare la sua condizione di salute, e inizia a

prendere coscienza che la ribellione non è possibile, per cui la

negazione e la rabbia vengono sostituite da un forte senso di sconfitta.

Quanto maggiore è la sensazione dell’imminenza della morte, tanto più

probabile è che la persona viva fasi di depressione.

FASE DELL’ACCETTAZIONE: quando il paziente ha avuto modo di

elaborare quanto sta succedendo intorno a lui, arriva ad

un’accettazione della propria condizione ed a una consapevolezza di

quanto sta per accadere; durante questa fase possono sempre e

comunque essere presenti livelli di rabbia e depressione, che però sono

di intensità moderata. In questa fase il paziente tende ad essere

silenzioso ed a raccogliersi, inoltre sono frequenti momenti di profonda

comunicazione con i familiari e con le persone che gli sono accanto. È il

momento dei saluti e della restituzione a chi è stato vicino al paziente. È

il momento del “testamento” e della sistemazione di quanto può essere

sistemato, in cui si prende cura dei propri “oggetti” (sia in senso pratico,

che in senso psicoanalitico). La fase dell’accettazione non coincide

necessariamente con lo stadio terminale della malattia o con la fase

pre-morte, momenti in cui i pazienti possono comunque sperimentare

diniego, ribellione o depressione.

Queste fasi non sono sempre presenti. Se la morte è improvvisa, la

persona malata non avrà avuto il tempo di passare da una fase all’altra.

La stessa situazione può capitare in caso in cui la persona malata non

abbia avuto un aiuto esterno per superare i diversi stati psicologici.

Ogni persona ha un proprio modo di reagire e affrontare la malattia che

deve essere compreso e rispettato lungo tutto il percorso di cura, in

quanto l’adattamento alla malattia richiede tempo e risorse personali. Il

paziente una volta superata la fase iniziale di disorientamento potrà

avviare un percorso di elaborazione/integrazione della malattia nella

propria esperienza di vita, fino ad arrivare ad una piena

consapevolezza e accettazione della patologia. Lo psicologo potrà

aiutare il paziente a gestire la malattia, a incoraggiare l’espressione e la

comunicazione delle emozioni coinvolgendo anche i familiari, a

sviluppare modalità più adattive di affrontare la malattia, a dare un

senso a quanto accaduto, a ridare un senso di speranza e ottimismo

verso il futuro. Attraverso il trattamento psicologico si cerca di ridurre

l’ansia, di chiarire percezioni e informazioni errate; si facilitano le

persone ad acquisire maggiore responsabilità e rispondenza ai

trattamenti.

Se l’ansia, la paura, la preoccupazione, la demoralizzazione, la rabbia

sono normali risposte alla malattia, quando queste diventano più

intense, più continue e perseveranti, con manifestazioni croniche e

associati a un’intensa sofferenza è opportuno parlare di reazione

patologica. Infatti, il processo di adattamento al cancro e alle terapie

può però presentare in diverse circostanze, interruzioni o alterazioni,

assumendo connotati di disagio e di sofferenza per i quali può rendersi

necessario un intervento strutturato di tipo psicologico e psichiatrico.

Si parla invece di “cattivo adattamento” quando i meccanismi di difesa

attivati dal soggetto in corrispondenza della situazione stressante

cominciano a diventare pericolosi, ovvero quando i comportamenti

costituiscono dei veri e propri ostacoli alla condotta terapeutica,

compromettendo la prognosi.

Farberow e collaboratori (1964) furono i primi a definire la cosiddetta

“sindrome del cattivo adattamento”, caratterizzata dalla mancata

presentazione, da parte del paziente, delle tipiche reazioni di ribellione

alla comunicazione della diagnosi e da una repressione delle emozioni

negative, come la sofferenza, la paura e la collera.

Ulteriormente Renneker (1981) ha approfondito la questione,

descrivendo la “sindrome della dolcezza patologica”: essa riguarda quei

pazienti che si comportano in modo troppo compiacente e che

sembrano essere eccessivamente sottomessi, passivi e con la primaria

preoccupazione di soddisfare le aspettative dell’équipe curante. Essi

rappresentano quegli individui che non pongono mai alcun tipo di

problema, dimostrandosi sempre d’accordo con le persone circostanti.

Nello specifico, si possono riconoscere significativi segnali indicativi di

un cattivo adattamento quando:

• una reazione emotiva interferisce col trattamento ed impedisce al

paziente stesso di richiederlo (Morris 1977);

• lo stato psichico del paziente è all’origine di un incremento di

sofferenze, dolori o di effetti secondari che la malattia non potrebbe

provocare da sola;

• le reazioni emotive ostacolano la vita quotidiana (lavoro, relazioni

sociali..), o l’individuo non trae più soddisfazione dalle fonti di abituale

piacere;

• appaiono disturbi di carattere psichiatrico e, in particolare, un crollo

dell’autostima o disturbi cognitivi con interpretazione errata di tutte le

informazioni.

2.3 Stili di coping

Le differenti modalità comportamentali con cui una persona affronta la

malattia sono definite “stili di coping” e si rivelano essere un fattore

predittivo importante circa le possibili complicazioni psicopatologiche, la

qualità della vita, le conseguenze biologiche immunitarie e la

compliance terapeutica. Tale processo di adattamento o, al contrario, di

mancata compliance agli interventi terapeutici, coinvolgono non solo il

paziente e il decorso della sua malattia, ma anche il suo nucleo

familiare (Parle e Maguire, 1995; Grassi 2003). Il termine coping

letteralmente significa “far fronte”, “lottare con successo”, “combattere”

e sta ad indicare lo stile cognitivo e comportamentale di un individuo

nell’affrontare i problemi e le loro conseguenze emotive (Stone & Neale,

1984).

Nel processo di coping si succedono due fasi sequenziali: una fase di

valutazione, basata sull’attribuzione cognitiva d

Dettagli
Publisher
A.A. 2019-2020
71 pagine
SSD Scienze mediche M-PSI/08 Psicologia clinica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher monicapolvani di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di psicologia clinica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università telematica Niccolò Cusano di Roma o del prof Costa Alberto.