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Il concetto di popolo
Secondo l’espressione di Margaret Canovan il populismo è “un’ideologia
del popolo”. Molti sistemi politici nel corso della storia si sono richiamati
ad esso nell’esercizio del proprio potere. Già nell’antichità, in Grecia e a
Roma, il referente fondamentale era il popolo, l’unica fonte di
legittimazione; ma il nodo centrale è che cosa si indica con questo termine,
ambiguo e polivalente, e quanto esso sia effettivamente artefice e attivo nei
meccanismi politici. Tradizionalmente sono tre le concezioni di popolo: il
popolo-sovrano, il popolo-nazione e il popolo-classe.
La concezione di popolo-sovrano è legata alla nozione di sovranità, si
richiama alla concezione del popolo come attore legittimo e fondatore
dell’ordine politico. È a partire dai pensatori del Sei- Settecento, Hobbes in
particolare, che si fa strada l’idea della sovranità e della rappresentanza. Per
Rousseau, al contrario, la rappresentanza corrompe la volontà sovrana del
popolo, in quanto quest’ultimo esiste solo attaverso la volontà generale che
quando delegata ai rappresentanti. In quest’ottica, dicono Mény e
sparisce
Surel,
«[…] il populismo, in quanto richiamo costante alla realizzazione della sovranità del
popolo […] rappresenta l’ideale democratico che pone la necessità di un governo del
21
popolo, da parte del popolo e per il popolo» .
dell’ideologia populista: il costante
Ecco dunque la prima caratteristica
richiamo alla sovranità del popolo, alla sua effettiva realizzazione; e
tuttavia questo porta ad un secondo elemento, forse più importante in
da
quanto alla fine il principio della sovranità popolare è condiviso un po’
21 Y. Mény- Y. Surel, Populismo e democrazia, il Mulino, Bologna 2001, p. 176 30
l’«insoddisfazone per la pratica effettiva della
tutte le parti politiche, ed è
sovranità popolare» (Mény e Surel) e la critica al principio di
rappresentanza e alle élite che ne ostacolano la piena realizzazione. Questo
comporta una visione dicotomica della società, élite-popolo, che estremizza
e impoverisce comportamenti e atteggiamenti delle parti.
La seconda concezione è quella del popolo-classe che, basata su valori
sociali ed economici, individua nel popolo la parte più umile della
popolazione. Prima della rivoluzione industriale il popolo era individuato
in quella parte che non possedeva nulla, né ricchezze né terre; con
l’industrializzazione e il concetto di popolo-sovrano, è stato introdotta una
distinzione censitaria in virtù della quale chi possedeva oltre una certa
soglia poteva esercitare i diritti di cittadinanza attiva. Lo sviluppo di una
classe operaia proletarizzata, secondo Mény e Surel, non ha fatto che
accentuare questa idea e legare indissolubilmente il popolo alla classe. Nel
pensiero marxista, per cui tanto centrale è lo strato più umile della
popolazione, il proletariato non è coincidente con il popolo in quanto
quest’ultimo ha una valenza politica e un’idea di unitarietà che supera la
lotta di classe. Nell’ottica populista l’opposizione è tra la piccola gente (il
popolo) e i poteri forti (le grandi corporazioni, la grande economia e la
finanza). La critica populista è di tipo tradizionalista e conservatore, in
quanto prende di mira l’evoluzione dell’attività economica tradizionale e le
conseguenze e i pericoli che essa produce, puntando l’attenzione sui suoi
agenti, ovvero le varie élite, mentre nelle classi popolari risiedono tutte le
virtù.
L’ultima accezione è quella del popolo-nazione. In questo caso il popolo si
riconosce in una comunità unita da legami etnici, linguistici, storici,
culturali. Mény e Surel affermano che 31
« Il popolo-nazione costituì a partire dal settecento il principale modo costitutivo
dell’ordine politico[…] ma la concezione “culturale” del popolo si presenta in modo
variabile sulla base di alcune tradizioni filosofiche distinte, in particolare sulla base del
rapporto demos/ethnos. Nella concezione francese il popolo-nazione si confonde con il
è la condizione e l’attirbuto
popolo-sovrano, poiché la sovranità fondamentale della
nazionale. All’opposto nella concezione tedesca il Volk è un’entità a carattere
comunità
organico che supera e condizione gli individui. Ma al di là delle variazioni concettuali
della nozione, l’aspetto la riscoperta e/o l’uso continuo
interessante riguarda da parte ei
tradizionalmente definiti populisti dell’accezione culturale nel senso di
movimenti 22
ethnos in contesti culutrali differenti dallo stato-nazione» .
La costruzione dell’identità avviene in negativo, cioè si definisce cosa e chi
è il popolo in relazione all’estraneo. Su questo piano è stata trovata una
correlazione tra la crescita dei partiti populisti e l’aumento di sentimenti
razzisti in questi ultimi anni in Europa occidentale. Questa correlazione è
legata all’elevato numero di immigrati che arrivano in Europa e che hanno
portato come reazione alla crescita di sentimenti xenofobi e di partiti
populisti di estrema destra. Dunque sul piano interno vi è una visione
organicista del corpo sociale, la nazione in questo caso, minacciata da
agenti che ne minano l’integrità fisica e spirituale. Tuttavia c’è anche una
minaccia esterna rappresentata dalle potenze straniere, le istituzioni
sovranazionali, la globalizzazione. Insomma, tutto ciò che è straniero e
sconosciuto fa paura e deve essere combattuto, in quanto minaccia
dell’ordine dell’integrità e dell’unione della comunità. Secondo Mény e
Surel
popolo […] non esiste, non costituisce un’essenza, ma la base
«Il di consuetudini sociali
fondate sul rifiuto ricorrente di alcuni elementi. Di conseguenza il populismo […]
assume posizioni diverse sulla base delle varie accezioni della comunità immaginata
alla quale fa riferimento. [Esso] si definisce più facilmente in modo negativo, attreverso
22 Y. Mény- Y. Surel, op.cit., pp. 189-190-191 32
le esclusioni alle quali spesso pervengono le valorizzazioni del popolo. […]
Incarnazione della massificazione dell’individuo nello stesso spazio, il populismo ha
come corollario e avversario l’ideologia liberale della limitazione del potere. Nella
prospettiva costituzionalista bisogna controllare, addomesticare, o educare quella bestia
che è il popolo. […] Contro questi freni imposti alla
pericolosa e sconosciuta
supremazia del popolo, il populismo reagisce con un discorso, che può avere accenti
23
reazionari» .
La reazione populista si gioca su tre livelli. Sebbene non si posso parlare di
una ideologia populista nel vero senso della parola, in quanto il fenomeno è
complesso e multiforme, si può individuare un nucleo centrale basato su tre
punti: 1.la sovranità popolare, 2.il tradimento da parte dell’élite di governo;
3.la riappropriazione del potere e il reinsediamento del popolo al suo posto
legittimo per opera del leader carismatico.
Le condizioni sociali ed economiche che viviamo in Europa in questi anni
danno il fianco a queste proteste.
«[…] i partiti populisti beneficiano di una congiuntura favorevole, di una situazione di
fluidità temporanea che agevola la loro formazione e garantisce ancora di più la loro
24
peculiarità in quanto sono sempre stati lontani o ai margini del potere» .
23 Y. Mény- Y. Surel, op. cit., il Mulino, Bologna 2001, pp. 201-202
24 Ivi, p. 97 33
Capitolo 3. Democrazia e populismo
La fine del primo sistema liberaldemocratico
Il primo sistema liberaldemocratico, nato alla fine del XIX secolo e giunto
alla maturità alla metà del XX secolo, entrò in crisi tra gli anni ’70 e ’80.
Le cause del suo declino furono molteplici. Innanzitutto sul piano
economico gli anni Settanta sono stati caratterizzati dalla crisi forse più
rilevante dopo quella del ’29, che pose fine ai cosiddetti Trenta Gloriosi,
ovvero quei trent’anni che vanno dal ’50 al ’70 e che videro crescita
benessere e prosperità sostenuti nei paesi occidentali. Questa crisi è stata il
prodotto di molteplici fattori: il connubio di salari crescenti e profitti calanti
(processo iniziato già alla fine degli anni ’60); il venir meno della stabilità
monetaria causato dallo sganciamento del dollaro dall’oro (decisione presa
dal presidente americano Nixon nel 1971 per sostenere gli alti costi della
guerra in Vietnam); la sovrapproduzione, per cui le industrie producevano
in quantità molto maggiori rispetto al livello della domanda, ormai stabile
perché i consumatori erano saturi di beni acquistati; la crisi energetica del
1973, causata dalla sospensione della fornitura di petrolio da parte
dell’Opec ai paesi occidentali in virtù del loro sostegno a Israele nella
guerra del Kippur. Soprattutto quest’ultimo fattore ebbe un impatto molto
rilevante, in quanto la prima conseguenza fu un forte aumento del costo
dell’energia che si tradusse in una riduzione della produzione, nel calo dei
profitti per gli imprenditori e in un aumento del prezzo di tutte le merci,
dunque al fenomeno dell’inflazione. La risposta alla “stag-flazione”,
termine che fu allora coniato per indicare questo insieme di crisi di
34
sovrapproduzione, crescita dei salari unita al calo dei profitti, incertezza nei
valori delle monete e inflazione, fu data sul piano della teoria economica
dagli appartenenti alla scuola monetarista e al pensiero neoliberale, tra i
cui massimi esponenti ci sono Milton Friedman e Friederick A. von Hayek,
e fu poi recepita sul piano politico dagli esponenti neoconservatori, primi
fra tutti Margaret Thatcher e Ronald Reagan.
Il pensiero neoliberista ha messo in discussione le politiche keynesiane che
hanno supportato la crescita delle economie occidentali nei decenni
precedenti, per un approccio basato sulle aspettative reali degli agenti
che i mercati sono in grado di raggiungere
economici e sull’idea
autonomamente l’equilibrio di piena occupazione. Questa visione si è
tradotta sul piano politico nelle formule della “mano invisibile
dell’economia” e del “primato dell’economia”, che sono servite per
cambiare le regole del gioco a discapito delle classi più deboli.