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Estratto del documento

I.

L’incunabolo inizia in una maniera piuttosto insolita, perché il componimento che apre la

stampa è un capitolo quadernario, una forma metrica narrativa non petrarchesca, costituita da

endecasillabi e settenari alternati, che aveva avuto una certa rilevanza, tra Trecento e

Quattrocento, grazie soprattutto all’apporto di Antonio Pucci. Tale scelta potrebbe riflettere una

l’adozione di

presa di posizione decisa: attraverso schemi non convenzionali, lontani dai

Fragmenta, il poeta rivendica, da una parte, il suo desiderio di autonomia e di indipendenza;

dall’altra, mette sotto gli occhi del lettore le sue conoscenze letterarie e tecniche. Allo stesso

modo, acuta è anche la motivazione che potrebbe essere alla base di questa predilezione: non

dobbiamo infatti dimenticare che il capitolo quadernario altro non è che una particolare variante

del serventese, forma metrica di origine provenzale, di cui illustri esponenti, in Italia, furono

Ciullo d’Alcamo Guittone d’Arezzo, che,

40 41

e come ci ricorda Alfred Jeanroy , originariamente

ha tra le sue funzioni anche quella di lanciare tremende invettive contro il destinatario. Infatti,

componimento, l’autore

in questo si scaglia innanzitutto contro la crudeltà di Amore, che, dopo

topicamente l’innamorato

avere colpito con faretra e arco, lo ha lasciato in una condizione di

assoluto tormento, a cui solo la morte può porre rimedio. La locuzione io maledisco (ripresa in

anafora per ben 2 volte al v. 6 e al v. 9) si contrappone, inaspettatamente, a io benedisco, nel

momento in cui il rimatore ripensa ai momenti iniziali della passione amorosa, ricchi di

entusiasmo e vigore, ben presto affievolitisi. Da divinità maligna e subdola, Cupido, nella

seconda parte del componimento, in un evidente capovolgimento palinodico, si trasforma in

dolce signor, in una sorta di captatio benevolentiae, necessaria nel momento in cui la salvezza

da quella condizione di intorpidimento dei sensi non è più possibile: il giovane amante, infatti,

nelle vesti di un catenato servo, non può far altro che lodare il suo aguzzino e le sue gloriose

imprese, affinché possa, con la sua potenza, intercedere per garantirgli il sacro alloro e affinché

possa avere pietà della sua anima afflitta.

Ma ecco che si presenta con maggior evidenza, sul finale del capitolo, la crudeltà della donna

amata, argomento centrale delle sue insulse e inornate rime (quasi in contrapposizione al

40 Giusto Grion, Il serventese di Ciullo d'Alcamo, «Il Propugnatore», IV, 1871, pp. 3-80.

41 Alfred Jeanroy, La poésie lyrique des troubadours, Vol. II, Tolosa-Parigi, Privat-Didier, 1934, p. 182.

49

desiderio, espresso pochi versi prima, di ricevere un riconoscimento poetico), secondo il topos

della falsa modestia.

Nonostante le forme metriche differenti, il legame con la poesia di Petrarca è assolutamente

innegabile e, sin da questa prima prova, si intrecciano temi e soggetti tipici del Canzoniere.

Infatti, colpisce, a primo impatto, il parallelismo con due nugae: Rvf, 41, uno dei tre sonetti

cosiddetti “atmosferici”, secondo la definizione fornita da Paola Vecchi Galli 42 , scritti in

occasione della partenza di Laura, e Rvf, 34, in cui Petrarca, invocando Apollo, crea une netta

sovrapposizione fra sé e il dio. In questo caso, però, il poeta recupera il modello di riferimento,

riformulandone le impostazioni: il ricordo di Apollo (Febo) e della sua disavventura amorosa,

già presente nelle Metamorfosi di Ovidio, diventa un sistema per evidenziare la potenza di

Amore, divinità pronta a compiere qualsiasi tipo di azione in maniera indiscriminata per

dimostrare la sua furia implacabile. Anche in questa veste, però, il poeta assume le

caratteristiche dello sfortunato innamorato, costretto dalle follie di Cupido a rincorrere un

amore destinato al fallimento. Il confronto donna-Dafne si concretizza al v. 58, quando

l’oggetto del desiderio viene paragonato ad una fugitiva, immagine fortemente evocativa di

quella corsa dinamica che caratterizzò, secondo il mito, la relazione fra il dio del Sole e la sua

ninfa. L’utilizzo di quest’ultimo termine non è assolutamente casuale, in quanto tornerà nei

per l’individuazione della donna

componimenti successivi, come uno degli epiteti principali

amata, descritta, sin da questo primo testo, come infida e crudele.

Impossibile non cogliere poi il legame con Rvf 1, specialmente nella parte conclusiva: il poeta

cita infatti i pueril versi, che sembrano riecheggiare il primo giovenile errore petrarchesco.

Questo stesso verso sarebbe anche collegato, secondo le ricognizioni di Antonio Rossi, al

43

puerile errore del Boiardo (Amorum Libri Tres, I, I, 11).

Nei versi finali, si concretizzano finalmente le parole del poeta, che dichiara di volere riempire

allo scopo di descrivere le sue sofferenze d’amore, per

44

anche mille charte (eco di Rvf, 43, 11)

potere, almeno in parte, trovare sollievo nella scrittura e nella rievocazione del passato.

Capitolo quadernario: ABBC CDDE EFFG GHHI ecc. (rima equivoca ai vv. 64-65, rima

interna al v. 45).

Qual fu qual e qual mai serà in tal nodo

al cui son iuncto, atra Fortuna fella?

42 Francesco Petrarca, Canzoniere, a cura di Paola Vecchi Galli, Milano, Classici Bur, 2012, p. 235.

43 Matteo Maria Boiardo, Amorum libri tres, a cura di Tiziano Zanato, Novara, Interlinea Edizioni, 2012, p. 5.

44 Anche in Romanello: Amorosi Versi, XI, 4: «avrià zà pien di versi mille carte».

50

Qual più struge o martella

nudo fanciul che me fa gir mendice?

Qual fu, serà piùi di me infelice? 5

e l’arco,

Io maledisco la faretra

o poderoso carco: amar stringe l’alma.

amar cui no ama, ché

Amor, io maledisco la tua palma

e cui lo septro a te riposse in mano: 10

i sumi dei che fano?

Si supra te nullo guberna o rege,

con false viste Amor mi assalle e legge,

con dolli e inganni questo ladro e fello.

Amor, che se ribellò 15

ad ogni mio dexir che errando vae,

cruda, cieca Fortuna, ormai che fae?

Io maledisco la veloce rota,

t’han

i ciel che condota,

per lacerarmi ogni ora in doglie e affanni. 20

Sia maledecto quel che li primi anni

fece, fra noi, iacendo sassi aretro,

†cinte

forsa di vetro†

mi fece il cor, ma di marmoreo saxo;

non posso io più stridar, ahimè laxo: 25

m’hai tu convinto?

per che cagion, Amor,

O falso guardo fincto,

già non fui sol coniuncto a tal inganno.

Io benedisco, dunque, il mio primo anno,

non più possendo io te chiamo signore, 30

51

quando mi prexe Amore,

a st’ora io mi ti inchino e adoro.

infino

Dolce signor, dami lo sacro alloro,

tu sopra i dei perché no a nui mortale,

tu sei che bate li alle 35

e contra tu nulla difexa iova.

Pietà serà signor mio che ti mova,

arai mercè de cui lamenta e plora,

vidi che ad ora ad ora

da artigli tui son io riprexo e streto. 40

Amor, faretra il cor e aprili el peto,

quella che più di me amo percote,

o dolorose note!

Quante lacrime e voce io spargo, omei!

Febo, se posto sei, tu fra li dei, 45

benché trionfasti del victo serpente

contra lo più potente,

non dovevi esser regoglioxo e altero.

se quell’aurato ferro

Cupido mio,

figer il piaque alla mia prima etade, 50

l’alma sin vade,

nanti

ch’io di quel che me distruge prende.

fa

Idol mio, ben vedi quel che m’incende,

quel ch’io da te suplico e bramo,

vedi

te, cruda morte, io chiamo, 55

si non soccorri al catenato servo.

ch’hai ligato ogni mio nervo,

Amor, ’sta

convincto a seguitar fugitiva, 52

si li ciel non mi priva

porò tua crudeltà su mille carte. 60

Amor, per ristorar mi’ affanni in parte

con le mie insulse e inornate rime.

O vui, doglie mie prime

spargerovi io per campi, colli e piage

li pueril versi, benché a nullo piage, 65

non già per far di me nova noticia,

ma sol di mia misticia,

tra nui mortal sia cui pietade prenda.

†cinte l’espressione, posta tra due

23. di vetro†: cruces, è di dubbia interpretazione e si è pensato, per

questo motivo, ad un guasto di tradizione che ne ha travisato il senso. Se, invece, volessimo individuare

in cinte un errore per cinto/cinti, allora potremmo considerarlo come un aggettivo riferito, a seconda dei

casi, ad Amore oppure ai saxi citati nel verso precedente, che diventano ancor più pericolosi essendo

anche accompagnati dal vetro.

41. faretra: di rilievo, dal punto di vista linguistico, è il ricorso a questa voce verbale, che tonerà al v. 7

del componimento con posizione XXX. Stando alle ricerche condotte, non risulta essere attestato un

in questa forma: ricorre esclusivamente l’aggettivo, già petrarchesco (Rvf,

verbo 151, 9: «Cieco non già,

l’autore

ma faretrato il veggo») faretrato (dal latino pharetratus). È quindi probabile che abbia forzato

la lingua, e adattato a voce verbale una forma aggettivale che invece, per il concetto che voleva

esprimere, non era funzionale. Nonostante il significato effettivo ancora sfugga, abbiamo deciso di

di “riporre”, “custodire”.

renderlo come sinonimo Non si esclude che possa trattarsi di un hapax.

1-2. Qual...fella: Chi potrà dirsi più avviluppato e stretto nelle grinfie della Fortuna nera (atra) e

ingannatrice (fella) di me?. Questa iniziale interrogazione, in cui il poeta esprime una vera e propria

sembrerebbe riecheggiare l’incipit

lamentatio per ciò che il destino crudele gli ha lasciato, di un

deb’io far, ché

espressivo sonetto di Domizio Brocardo (Vulgaria Fragmenta, LXVI, 1-2: «Oimè, che

’l mio desire / conduce a crudel morte l’alma mia?»). Cfr. Davide Esposito, Edizione critica e

commentata del canzoniere di Domizio Brocardo (circa 1380-circa 1457), Tesi di Dottorato in Studi

filologici e letterari, Università degli studi di Cagliari, tutor Maria Antonietta Cortini, a. a. 2012-2013.

futuro semplice

5. serà: forma alternativa dell’indicativo di sarà (presente anche, fra gli altri, nella

Novella 136 di Franco Sacchetti: Cfr. Franco Sacchetti, Novelle, Vol. II, Milano, Giovanni Silvesti

53

caratteristica dell’italiano settentrionale

Editore, 1815, p. 230), (Cfr. G. Rohlfs, Grammatica storica

accanto all’antico veneziano

della lingua italiana, cit., Vol. II, § 588, pp. 332-333), seràs.

4. nudo fanciul: perifrasi indicante Amore (o Cupido); me fa gir mendice: mi fa vagare alla stregua di

un mendicante.

e l’arco:

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A.A. 2022-2023
207 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/05 Filologia classica

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