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CAPITOLO 2: HERDER FRA CARATTERI NAZIONALI E “VOLK”
2.1.Nazione e caratteri nazionali nel pensiero politico dei secoli XVIII-XIX
Il concetto moderno di nazione inizia a svilupparsi nel Settecento, in pieno periodo
illuministico, grazie al filosofo francese Voltaire, che in una lettera del 1740 criticava il modo
in cui veniva raccontata la storia, sempre incentrata sulle grandi imprese di figure di spicco,
come re o generali, trascurando completamente le imprese della nazione. Qui, per la prima
volta, il termine compare come espressione di una società civile identificata da caratteristiche
comuni, che secondo Voltaire sono “i nostri costumi, le nostre leggi, le nostre consuetudini, il
nostro spirito.” La nazione, animata anche dalla vivacità e dall’intraprendenza della nuova
77
classe borghese, iniziò così ad essere sempre più presente nei discorsi della società illuminista.
In origine però, il concetto di nazione era legato al significato della parola latina natio,
intendendo con ciò l’appartenenza ad un determinato gruppo di persone acquisita grazie alla
nascita su un territorio comune, e vincolata dall’unità di sangue o di lingua.
Dopo Voltaire, la svolta principale si ebbe nel 1789, quando l’abate Sieyès, nel celebre
“Che cosa è il terzo stato?”, descrive la nazione come l’insieme delle forze produttive
pamphlet
della società civile che vivono sotto uno stesso apparato legislativo. Secondo lui, l’unica classe
non parassitaria all’interno della società francese era il cosiddetto “terzo stato”, composto dalle
classi borghesi e popolari; l’idea di nazione viene identificata da Sieyès nel “terzo stato”, che
dovrà svolgere il ruolo di protagonista nella scena politica francese e risollevare così le sorti
della nazione. Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino,
Sempre nel 1789 viene pubblicata anche la
che all’art. 3 recita: “Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione”. 78 Da
“cittadinanza”, intesa non più come appartenenza
questa dichiarazione ha origine il concetto di
ad una nazione per questioni di discendenza o nascita. La partecipazione civica e la
condivisione di determinati valori giuridico-politici diventano le nuove basi per stabilire
77 Nicolao Merker, La filosofia dei nazionalismi europei, La scuola di Pitagora editrice, 2018, p. 10.
78 Déclaration des droits de l'homme et du citoyen (1789) (2009) De Gruyter. De Gruyter. Available at:
https://www.degruyter.com/document/doi/10.1515/9783598440786.29/html. 33
l’appartenenza ad una nazione. Ciò ampliava la possibilità di diventare cittadini anche a coloro
che non erano francesi per nascita, ma intendevano giurare fedeltà alla nazione.
In Germania, dove il romanticismo politico si sviluppò maggiormente, si vennero a creare
opposte a quelle francesi, e la nascita tornò ad essere l’elemento
tendenze sostanzialmente
decisivo per stabilire l’appartenenza alla nazione. Come spiegato nello scorso capitolo, Fichte
considerava la nazione come colei che ospita l’”Urvolk”, il popolo originario e tedesco, che dà
sostanza alla nazione stessa attraverso l’unità della lingua, rimasta incontaminata di fronte alle
influenze straniere, e grazie all’occupazione di un territorio che appartiene alla stirpe tedesca
originaria. Wilhelm Wundt, il concetto di stirpe, cioè l’idea di avere
Contrariamente a ciò, come spiega
un’origine comune, non è ciò che genera unità all’interno di un gruppo di persone. La “stirpe”
viene dunque rappresentata in chiave mitica e l’unità viene descritta come il risultato di un
che viene saldato nella coscienza nazionale: “I miti esprimono l’unità culturale
ragionamento
della stirpe attraverso la finzione di un’origine comune”. 79 Tuttavia, per i tedeschi del tempo,
la stirpe rimase un elemento fondante all’interno della nazione.
Nello stesso periodo storico, in Germania, iniziano anche a circolare le prime idee ricollegabili
alla teoria dei “caratteri nazionali”. Le usanze, le idee, le norme antiche, radicate nel tessuto
culturale della nazione, venivano trasformate in caratteristiche innate comuni a tutto il popolo
tedesco. Secondo Friedrich Schlegel questi caratteri erano “qualità naturalisticamente innate a
ogni singola stirpe etnica e trasmesse per discendenza di sangue” 80 ; inoltre, più la stirpe era
antica, tanto più lo erano anche i suoi costumi, e la grandezza di una nazione cresce
proporzionalmente all’attaccamento a tali costumi. Come per Fichte, l’unità linguistica
legittima la stirpe, e delimita l’estensione della nazione a tutti i territori in cui si parla la stessa
riguarda le origini di un gruppo etnico, Schlegel afferma che quest’ultimo
lingua. Per quanto
possiede un’origine addirittura divina: “la nazionalità è un’unità naturale sostenuta dalla
religione, ossia da quell’”unità divina” che ha a proprio luogo di esistenza “il popolo”. 81
79 Gianluca Bonaiuti, Giovanni Ruocco, Luca Scuccimarra, Il governo del popolo 3. Dalla Comune di Parigi alla
prima guerra mondiale, Viella, 2014, p. 276.
80 Nicolao Merker, op. cit., p. 14.
81 Ivi, p. 15. 34
La teoria dei caratteri nazionali iniziò presto ad assumere anche sfumature “etnopopuliste”, cioè
fortemente legate ad elementi etnici di appartenenza, come nel caso del pensiero del pubblicista
Elementi dell’arte
tedesco Adam Müller. Nei suoi scritti politica del 1809, Müller identificò la
presenza di un legame tra contemporanei e conspaziali, cioè fra coloro che vivono nel
medesimo periodo storico e coloro che vivono sullo stesso territorio seppur in momenti diversi.
Questo legame mistico ha come elemento comune sia la lingua che il territorio, e collega il
tempo e lo spazio conferendo continuità ad un determinato popolo. Tale teoria continuò ad
essere sviluppata dallo stesso Müller, prendendo però spunto dalle idee del politico e filosofo
Edmund Burke. Secondo quest’ultimo, il carattere nazionale era “un sistema di usanze
inglese
eterno, immutabile ed innato che deve esservi in ogni nazione e che una mente bene istruita sa
apprezzare” 82 . La nazione divenne dunque qualcosa di sacro, un legame fra mondo sensibile e
soprasensibile, “un patto non solo tra chi è in vita oggi, ma tra i vivi, i morti e i non ancora
nati” 83 . Müller sfruttò queste teorie, che rimandano ad un vero e proprio patto di sangue, per
alimentare l’ideologia che prese il nome di “sangue e terra”. Il popolo era così
Blut und Boden,
formato dall’unione fra la stirpe e il territorio; questo legame comparirà spesso nelle letture
nazionaliste dell’Ottocento e Novecento, fino a raggiungere il suo apice durante il regime
nazista. Anche Karl Haushofer, geopolitico tedesco che ebbe una grande influenza sul pensiero
nazionalsocialista, celebrava nei suoi scritti “il compenetrarsi delle forze del sangue e della
84
terra, affinché ne nasca un destino di popoli il quale veglia sul crescere delle stirpi” .
Non furono però soltanto i tedeschi a sfruttare il binomio di sangue e terra per le proprie idee
nazionaliste: nel 1894 lo scrittore francese Maurice Auguste Barrès utilizzò le parole “la Terre
per radunare intorno a sé tutte le forze
et les Morts” francesi. Anche qui ritorna il tema degli
antenati e delle tradizioni che rendono titolari di pieni diritti solo coloro che discendono
dall’etnia originaria; in questo caso, secondo Barrès, diventa obbligatorio per la nazione
“conservare sé stessa come i secoli passati l’hanno predestinata” 85 . La stessa ideologia
etnopopulista è rintracciabile anche nel motto, tutt’ora sfruttato dai nazionalisti serbi, che recita:
“Ovunque c’è una tomba serba, ivi è Serbia” 86 .
82 Nicolao Merker, op. cit., p. 14.
83 Ivi, p. 13.
84 Ivi, p. 59.
85 Ivi, p. 35.
86 Ivi, p. 59. 35
Adam Müller esasperò tale concetto, ipotizzando che le comunità dei contemporanei e dei
conspaziali dovessero essere comunità armate, sempre pronte a combattere sia contro nemici
esterni che interni. Fra tutti, quest’ultimi erano i più pericolosi, perché portatori di ideali
moderni, borghesi. Tutti coloro che criticano o che mettono in discussione tale fondamento
etnico non saranno tollerati, e questo perenne stato di guerra diventerà naturale e sarà persino
apprezzato, perché è “nelle calamità, nei moti e nelle tempeste di ogni tipo che i popoli
imparano a conoscere e contemplare sé stessi” 87 . Con queste parole in mente è possibile avere
ora un quadro sommario dell’effetto che tali idee ebbero sul nazionalismo tedesco e sul popolo
nel corso del XIX secolo.
La teoria dei caratteri nazionali, secondo una lettura etnonazionalista ed etnopopulista, è dunque
rappresentata da una serie di qualità fisiche e morali che appartengono per estensione a tutti i
membri di una nazione. In un clima di tensione causato dallo scontro franco-tedesco,
intellettuali come lo storico Heinrich von Treitschke si servirono di questa teoria per legittimare
i conflitti tra Stati basandosi su una concezione gerarchica dei valori dei corrispettivi caratteri
nazionali. Per giustificare la guerra contro la Francia del 1870, von Treitschke utilizzò come
metro di valutazione la superiorità etnica tedesca rispetto alla Francia, causata da caratteri
nazionali completamente opposti. Parole come “arretratezza”, “rapacità”, “malizia”, “odio”,
“invidia”, “spirito mercenario” e “ostile alla pace tra i popoli” 88 furono usate per descrivere
l’animo francese, considerato da molti decisamente inferiore rispetto all’animo tedesco puro,
deciso e altruista.
Anche i francesi seguirono questa linea di pensiero, trasformando la teoria dei caratteri
nazionali in una vera e propria teoria bio-etnicista, basata su differenze etniche puramente
biologiche. Il frenologo Adolphe Desbarroles, studiando le correlazioni fra fisionomia e
carattere dei tedeschi, concluse che la loro particolare conformazione del cranio è la causa di
una serie di qualità morali e spirituali negative. Nel 1915 lo psicologo Edgar Bérillon sancì che
“l’infimo livello morale del nemico tedesco era legato a un fisico sgraziato e un odore corporeo
fetido ‘&lsqu