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Nel suo libro del 2009 “Comunicazione e Potere”, da considerarsi un caposaldo quando

ci si occupa dei concetti di informazione, comunicazione e potere, Castells definisce il

potere come l’elemento centrale di ogni società, giacché la società si definisce intorno a

valori e istituzioni e ciò che è considerato di valore e istituzionalizzato dipende da

relazioni di potere. Ne consegue che “le relazioni di potere sono sempre di più

organizzate a partire dalle reti, alla capacità di determinare chi vi può accedere e alla

gestione dei flussi di informazione” (Castells, 2009).

Le riflessioni dell’autore spagnolo risuonano attualissime e soprattutto particolarmente

efficaci per descrivere la società in cui siamo immersi: «La mente del pubblico viene

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modellata in gran parte attraverso processi che si svolgono nei media» scrive Castells

(p.157), richiamando i tre processi attraverso i quali l’accesso alle notizie influenza il

modo in cui le persone percepiscono sé stesse in relazione al mondo e quindi il processo

di formazione dell’opinione pubblica: agenda setting, priming, framing. È evidente

come questi concetti, estesi all’era contemporanea dei social media, possano portare

all’estremo i processi di autodefinizione delle soggettività in relazione ai nuovi contesti

di riferimento e di rappresentazione.

Non a caso nel testo di Castells (Castells,2009, p.42) sono delineati quattro tipi di potere

nella network society:

1. Il potere retificante (networking power) è la capacità di far andare un messaggio in

rete anche con nuove procedure di controllo dell’informazione;

2. Il potere in rete (network power): è la capacità di creare degli standard di base per

definire chi è incluso in quella rete e chi invece ne rimane escluso;

3. Il potere reticolare (networked power) è la forma di potere di alcuni nodi su altri

nodi e si esercita attraverso l’agenda setting e meccanismi di influenza nel sistema

mediale;

4. Potere di creazione di reti (network-making power) è la capacità di creare una rete di

comunicazione di massa a partire da zero (Murdoch, Page, Blin etc.).

La definizione di queste quattro forme di potere viene ad essere fondamentale per

comprendere quali siano i controllori dei flussi di informazione e quanto siano cambiati

con l’avvento della società in rete.

Nel mutato mondo magmatico e al contempo fluido della rete, i giornalisti, nel compiere

la loro funzione tradizionale di connettere l’informazione con il pubblico, non hanno più

delle strade sicure da percorrere. Piuttosto devono fare i conti con il nuovo, e

continuamente mutevole, modo di accedere alle informazioni, distribuirle e controllarle.

Il fenomeno del Citizen Journalism, il modello wikileaks, il nuovo ruolo e modo di

intendere la figura del giornalista nella società in rete sarà il centro di una riflessione più

approfondita nel capitolo secondo.

A questo stadio della riflessione, a partire dalla prospettiva proposta da Castells, si può

affermare che nella società attuale il potere è la capacità di creare delle reti e di

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programmarle, ma soprattutto è quella sostanziale prerogativa di definire chi ha accesso

a queste reti e ai flussi di informazione, direzionando i contenuti, talvolta perfino i

desideri. Questo potere ne costituisce la massima novità su cui essere consapevoli come

studiosi di comunicazione contemporanea viene esercitato costruendo significati nella

mente umana, attraverso processi che influenzano le opinioni del pubblico, sui quali è

opportuno ben interrogarsi in ragione di una visione responsabile ed etica delle relazioni

umane e sociali. In questo contesto, il giornalismo emerge come un potente agente nella

configurazione di queste reti di informazione e nella definizione dell’accesso e

dell’orientamento dei contenuti. La responsabilità etica del giornalismo risiede quindi

nella consapevolezza del suo ruolo nel plasmare i significati della mente umana e nel

promuovere una visione informata e critica della realtà.

1.2 La democrazia

Come si è visto, con le nuove forme di intermediazione e di potere analizzate da

Castells, si assiste ad un aumento progressivo dei cittadini che si informano e

partecipano al dibattito pubblico e politico tramite i media digitali. Lo scenario che si

apre, da un lato, crea le condizioni per ogni individuo di accedere, far proprie ed al

limite produrre le informazioni senza intermediazione, di esserne fruitore diretto e

quindi a sua volta interprete e nuovo intermediario. Dall’altro, mette le basi per andare

sempre di più verso una nuova democrazia in cui il giornalista, potrebbe e dovrebbe

acquisire un ruolo di nuova fondamentale importanza: non solo mero divulgatore della

notizia, ma reporter capace allo stesso tempo di collocarla ed approfondirla. Questo

tipo di ruolo se esercitato, con i mezzi che l’attuale società dell’informazione consente,

può contribuire alla formazione del pensiero critico dei cittadini e a renderli consapevoli

ogni giorno di più, sul tema della connessione delle loro volontà con il potere politico.

Al fine di descrivere la metamorfosi del giornalismo con l’avvento dei nuovi media

diventa necessario parlare di democrazia e della sua rinnovata connotazione sempre

strettamente legata all’emergenza dei media digitali e alle trasformazioni dei processi di

comunicazione.

Quello di Democrazia è un termine ridefinito in seguito alle trasformazioni della “terza

rivoluzione industriale” (Arvidsson e Delfanti, 2021). Bernan Manin, politologo

francese, identifica tre visioni della democrazia: democrazia liberale, democrazia dei

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partiti e “democrazia del pubblico” (Manin, 1997). È su quest’ultima che ci

soffermeremo maggiormente poiché è una forma di democrazia distintiva della società

dell’informazione.

Secondo Manin, possiamo definire “democrazia del pubblico” o “audience democracy”

una democrazia in cui le decisioni sono prese a partire dal sentiment dell’audience,

ovvero dai desideri del pubblico che in questo senso diviene sempre più attivo. Il

pubblico, dunque, non si limita più a votare chi lo deve rappresentare nel governo: è

destinato ad essere protagonista delle decisioni, in maniera molto spesso involontaria,

attraverso l’analisi dei sondaggi proposti dai leader che si fanno portatori delle volontà

del pubblico in quel preciso momento storico all’interno del parlamento. Il rapporto tra

pubblico spettatore e rappresentanti politici diviene diretto, dominato dalle nuove

dinamiche di potere e intermediazione di cui parlava Castells.

Per spiegare questo concetto con riferimento ad un esempio di evoluzione della

democrazia in parallelo a quella dell’ecosistema mediale può essere interessante

guardare al contesto italiano degli ultimi decenni.

Guardando al caso italiano, possiamo identificare un momento chiave nel passaggio da

una democrazia dei partiti ad una democrazia del pubblico nel 1992, anno spartiacque

della politica italiana, nel quale si comincia a parlare di Seconda Repubblica, termine

utilizzato inizialmente dai giornali, ma che pian piano entrerà nel linguaggio politico e

storico.

Il sistema dei partiti, e conseguentemente la democrazia dei partiti, sta a mano a mano

disgregandosi e il grande cleavage su cui si era basata tutta la prima Repubblica, la

contrapposizione tra ideologia comunista e ideologia liberale, legata al patto atlantico,

decade del tutto. Si passa da una democrazia caratterizzata dalla forza dei partiti e dal

consociativismo, all’interno della quale il nome del presidente del consiglio era quasi

secondario, ad una democrazia dominata dalla forza dei sondaggi e dei media, legati

molto spesso ad un unico leader carismatico. Si assiste ad un processo di

personalizzazione e mediatizzazione della politica, in cui contano di più i leader e la

loro personalità che gli organismi collettivi, che viceversa erano prerogativa

fondamentale della politica post seconda guerra mondiale.

L’uomo che ha incarnato in Italia questo passaggio è stato Silvio Berlusconi che è

riuscito a comprendere per primo ed influenzare la nuova direzione della politica

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sempre più indirizzata e connessa con i media. Cavalcando l’onda della potenza della

televisione (più precisamente e strumentalmente quella privata, cui le leggi di quegli

anni concessero prerogative e spazi di nuovo potere) vincerà le elezioni nel 1994

intercettando i bisogni di quella piccola, media e grande classe imprenditoriale italiana

spaventata dalla possibilità della sinistra al governo dopo lo scandalo di tangentopoli e il

fallimento della Democrazia Cristiana. L’ascesa del partito di Berlusconi in Italia è

simbolo del cambiamento della democrazia di cui parlava Manin. Nella nuova

democrazia post scongelamento dei cleavages iniziano a contare di più l’audience,

ovvero il pubblico, e la capacità di comunicare con quel pubblico attraverso i media, che

le ideologie forti e le organizzazioni burocratiche dei grandi partiti della seconda metà

del Novecento. Secondo Pasquino (2010, p. 14) la modifica non è avvenuta solo da un

punto di vista politico, ma anche e soprattutto culturale, tanto che il sociologo italiano

arriverà a parlare di berlusconismo definito come “insieme di idee, atteggiamenti che

riescono a cogliere questa fase di cambiamento della politica, della democrazia, della

comunicazione e della società”.

In pratica, sono questi gli anni in cui si comincia ad avere una concezione

completamente diversa della politica e del suo rapporto con i media, in particolare con

la televisione. Per la prima volta la politica entra nei programmi di intrattenimento e

diventa argomento di conversazione nei talk show assoggettata ai principi degli “ascolti

televisivi” ed al contempo condizionante delle abitudini di relazione dei cittadini con i

temi della politica e della democrazia. Prima argomenti di discussione legati

esclusivamente alle assemblee e a momenti di associazione collettiva, ambiti distinti e

seri dove il confronto aveva un peso culturale e sociale, discorsi di politica, di idee e di

democrazia diventano uno dei modi per intrattenersi a casa.

Non ci dilungheremo qui sui risvolti successivi dell’impianto del berlusconismo e dei

fenomeni di narrazione mediatica che hanno caratterizzato la storia del paese per circa

un ventennio.

Saltiamo di fatto all’altro evento della politica italiana che fa comprendere quanto la

capacità di sfruttare le potenzialità dei media sia fondamentale per la nuova democrazia

dei cittadini/audience. S

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A.A. 2024-2025
74 pagine
SSD Scienze politiche e sociali SPS/08 Sociologia dei processi culturali e comunicativi

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher ldambrosio4 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Sociologia della cultura digitale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Napoli Federico II o del prof Grimaldi Emiliano.