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A questo punto possiamo andare a definire il retail marketing. Sbrana nel suo libro

“Contemporary retailing” definisce il retail marketing come: ”Il complesso delle azioni

commerciali del distributore rivolte ai consumatori finali che, nel breve periodo, hanno lo

scopo di convincerli ad acquistare presso i punti vendita di una determinata catena,

influenzando anche il loro comportamento d’acquisto, e - a più lungo termine - quello di

sviluppare e consolidare la loro fedeltà nei confronti dell’insegna (store loyalty)” . Il retail

137

marketing si è affermato nel momento in cui i distributori, superata una certa soglia

dimensionale, hanno iniziato a creare delle proprie strategie commerciali, differenti da quelle

dei produttori. È con la crescita dimensionale che il retailer ha cominciato a pensare ad aspetti

quali le private label, le attività di merchandising, la differenziazione degli assortimenti ecc.

Levy e Weiz definiscono il retailing come “l’insieme di attività commerciali che aggiungono

valore ai prodotti e ai servizi venduti ai consumatori per uso personale o familiare” ,

138

introducendo così il concetto di valore aggiunto, evidenziando la rilevanza di ottimizzare la

propria offerta commerciale per il cliente. Se il retailer non aggiungesse valore alla propria

proposta di beni e servizi, molto probabilmente uscirebbe dalla competizione in breve tempo.

Infine, possiamo tenere in considerazione la visione di Rosenbloom che sostiene che “I retailer

sono imprese commerciali impegnate principalmente nella vendita di beni per il consumo

personale o domestico e nella prestazione di servizi accessori alla vendita di tali beni” .

139

Questo autore pone l’attenzione sul ruolo del retailer di fornire servizi essenziali per creare una

value proposition data dalla somma di benefici di tipo economico, funzionale, emozionale e

simbolico percepiti dai consumatori e che consentono all’impresa di differenziarsi dai propri

competitor.

3.1.1 Evoluzione Retail: dalla nascita della distribuzione moderna al Retail

5.0 La nascita della distribuzione moderna può esser fatta risalire al 1916, quando a

Memphis nel Tennessee nacque un nuovo modello di vendita, successivamente denominato self

service. L’ideatore fu il rivenditore di generi alimentari Peggy Wiggly, che afferma di esser stato

“il primo commerciante a promuovere il libero servizio, l’esposizione dei prodotti a scaffali, il

Sbrana, R., & Gandolfo, A. (2007). Contemporary retailing. Il governo dell'impresa commerciale moderna.

137

Giappichelli.

Levy, M., Weitz, B. A., Grewal, D. (2019). Retailing Management. McGraw-Hill Education.

138 Ennis, S., Scafarto, F., Sansone, M., & Risso, M. (2021). Retail marketing. McGraw-Hill Education.

139 70

prezzo predeterminato e chiaramente visibile, e la barriera delle casse prima dell’uscita” .

140

Difatti, prima che ciò avvenisse, i consumatori che volevano effettuare degli acquisti dovevano

per forza rivolgersi ad un commesso che prendeva la merce da scaffali spesso nascosti alla vista.

Il retailer doveva quindi servire con professionalità e il fattore umano costituita la leva

principale del distributore. Con la nascita dei punti vendita a libero servizio, la figura centrale

della transazione, che fino ad allora era rappresentata dal retailer, comincia a perdere

importanza facendo sempre più posto alla figura del consumatore. Il packaging e il

riconoscimento del marchio divennero fondamentali per i produttori. Nel momento in cui Peggy

Wiggly lascio in licenza il proprio modello, dopo averlo brevettato, questo modello funzionale

venne con il tempo adottato in tutto il mondo, in ogni singolo settore, sebbene con qualche

piccola variante. In generale, grazie al modello self-service si è arrivati a grandi cambiamenti

nel mondo retail: prezzi più bassi, negozi più grandi, parcheggi, gestione delle categorie,

gondole, promozioni in negozio, visibilità in scaffali e planogrammi. Questo periodo viene

ancora soprannominato come Retail 1.0. Tuttavia, bisogna specificare che in Europa il

passaggio da forme di vendita tradizionali alla moderna distribuzione avvenne solo dopo il

secondo conflitto mondiale. Tra i primi paesi adottanti ci furono la Gran Bretagna e i paesi

scandinavi, successivamente la rivoluzione si diffuse nei paesi continentali mentre l’Italia

rimase per lungo tempo un fanalino di coda. La prima forma di distribuzione moderna arriva in

Italia nel 1957 su iniziativa di Rockfeller e di alcune famiglie italiane (Caprotti, Crespi e

Brunelli) con Supermarkets Italiani, ad oggi Esselunga.

Il periodo definito come Retail 2.0 si riferisce a quel periodo che inizia con la

diffusione di strutture distributive di grandi dimensioni in cui venivano vendute categorie

merceologiche molto diverse tra loro. Non a caso, questo periodo è associato al famoso concetto

“tutto sotto lo stesso tetto”, poiché sotto lo stesso tetto venivano concentrati differenti negozi.

È il 1962 quando viene aperto il primo ipermercato Walmart in Arkansas, nonché il 1963

quando nella periferia di Parigi apre il primo ipermercato Carrefour. Tuttavia, il fatto che questo

modello si sia diffuso proprio in quel periodo non è una casualità: fattori come la diffusione

delle automobili, che permettevano ai cittadini di spostarsi e trasportare delle merci

agevolmente, così come l’adozione dell’elettricità, che permise la conservazione di prodotti più

a lungo, contribuirono al successo di questo cambiamento. Il valore generato per i clienti

aumentò drasticamente grazie ad una maggiore scelta nei prodotti e ad una riduzione dei prezzi,

resa possibile dalla maggiore produttività, efficienza e gestione dei costi. Nel giro di quindici

Kotler, P., Stigliano, G. (2024). Rivoluzione retail: 10 principi per il commercio nell'era post-digitale. ROI

140

Edizioni. 71

anni in Francia e in Spagna il formato divenne predominante soprattutto nel settore grocery,

diffondendosi poi in tutto il mondo, anche in mercati emergenti. Anche in questo caso i

cambiamenti portarono ad innumerevoli innovazioni: dai prodotti al marchio privato, alle

offerte multiformato, dai category killer alle catene di fornitura al dettaglio sempre più

complesse. È in questo periodo che nascono i primi centri commerciali, ossia strutture costituite

da una o più gallerie contenenti sia l’ipermercato sia una serie di negozi di vario tipo, arricchiti

di una serie di attività di intrattenimento che avevano lo scopo di offrire al pubblico nuove

motivazioni per frequentare il luogo, al di là dell’approvvigionamento alimentare, nonché per

prolungare la permanenza media complessiva . Questi centri distributivi si posizionavano

141

spesso nelle aree suburbane per via delle loro grandi dimensioni. .

142

L’era del Retail 3.0 è contraddistinta dalla diffusione di Internet e dall’avvento dell’e-

commerce, a metà degli anni Novanta, spinto dall’enorme successo di imprese come Amazon

ed eBay. Difatti, la tecnologia rappresenterà per quest’epoca la vera forza disruptive. Tra le

caratteristiche più innovative di questi nuovi modelli di vendita troviamo le spedizioni a basso

costo, o gratuite, la possibilità per i consumatori di rilasciare delle recensioni e il motore di

raccomandazione. È in questo modo che il consumatore comincia a diventare prosumer, ossia

un consumatore che rilasciando le proprie opinioni e manifestando i propri desideri arriva a

svolgere un ruolo attivo e partecipe all’interno del presso produttivo aziendale. Tramite l’e-

commerce iniziava una nuova era in cui anche gli individui potevano considerarsi retail in

quanto utilizzavano una piattaforma per vendere beni ad altri individui.

Approssimativamente il periodo che va dall’inizio del nuovo millennio fino alla fine

della pandemia di COVID-19 può essere definito come Retail 4.0. Questo periodo è

contrassegnato dalla diffusione di computer, di tablet, di telefoni cellulari inizialmente, e dagli

smartphone in un secondo momento, nonché da connessioni ed infrastrutture tecnologiche

sempre più potenti che sono diventate sempre più onnipresenti, costringendo i retailer a

sperimentare negozi virtuali. In questa fase si consolida il commercio peer-to-peer, la

smaterializzazione dei pagamenti e si ha un vero e proprio boom dell’e-commerce. La

diffusione dell’e-commerce ha contribuito anche nella ridefinizione delle aspettative dei

consumatori in termini di scelta, di accessibilità 24/7, di confrontabilità di prodotti e prezzi, di

Stigliano, G., Kotler, P. (2018). Retail 4.0. 10 regole per l'era digitale. Mondadori Electa.

141 Desai, P., Potia, A., Salsberg, B. (2014). Retail 4.0: The Future of Retail Grocery in a Digital World.

142

McKinsey & Company.

https://www.mckinsey.com/~/media/mckinsey/dotcom/client_service/retail/articles/the_future_of_retail_grocery

_in_digital_world%20(3).pdf. 72

consegna a domicilio. Concetti come multicanalità e omnicanalità diventano fondamentali

143 144

per qualsiasi retailer che in un primo momento ha dovuto cercare di gestire punti online oltre a

quelli fisici, mentre in un secondo momento ha dovuto affrontare la sfida della generazione di

una interazione ben gestita tra mondo fisico e virtuale. Dalla contaminazione tra negozi fisici e

digitali sono nate terminologie come phygital, che stanno ad indicare come la linea di

demarcazione fra vendita online e offline sia sempre più sottile. Attualmente il customer journey

del cliente è confusionario, l’esperienza di acquisto fisica si fonde con quella digitale,

indipendentemente dal canale da cui è partita l’interazione con il retailer. Ad esempio, un

consumatore può vedere un prodotto online, comprarlo e decidere di ritirarlo in negozio, o

viceversa può testare il prodotto nello store fisico ma decidere di acquistarlo in un momento

successivo online. Con la gestione sinergica dei differenti canali, l’esperienza di acquisto del

cliente risulta fluida e senza disallineamenti. Ad oggi però, l’interazione tra canali online e fisici

è quasi data per scontata dai consumatori, per questa ragione la vera differenziazione dai

competitor la si ottiene con l’inserimento di altri punti di contatto, quali tecnologie digitali nei

punti vendita tradizionali che possono migliorare l’esperienza dei clienti in store e tramite social

customer engagement attraverso piattaforme social media. Alcuni esempi di tecnologie digitali

in store sono dati dall’utilizzo di schermi interattivi, chioschi per l’ordine self-service o sistemi

di pagamento mobile. Allo stesso tempo la gestione di siti web, app mobile, pagine di social

media e l’e-commerce, è basata sull

Dettagli
Publisher
A.A. 2023-2024
177 pagine
SSD Scienze economiche e statistiche SECS-P/08 Economia e gestione delle imprese

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher MartaUgolini di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Global Retailing e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano - Bicocca o del prof Di Gregorio Angelo.